Intervista a Stefano Bollani
gennaio 2004
di Ada Rovatti
La settimana dal 13 al 18 gennaio Stefano Bollani si è esibito al Blue
Note di New York pertanto ne ho approfittato per andarlo a sentire. Ha suonato
insieme a Enrico Rava, Gianluca Petrella, Roberto Gatto e Rosario Bonaccorso.
Nonostante il freddo glaciale (intorno a -20 Gradi!) il club era quasi tutto pieno.
E' stata la seconda volta che sentivo Stefano Bollani "live" al piano: la prima volta
è stata circa tre anni fa sempre qui a New York con una band "all stars" presentata da Umbria Jazz alla Town Hall.
All'epoca ero rimasta colpita dalla tecnica e dalla fluidità con cui suonava ed
è stato un piacere risentirlo in un posto un po' più intimo come il BlueNote in un repertorio più personale.
La prima parte del set è stata di solo piano e quindi ho potuto gustare a pieno il talento di Bollani che ha rapito il pubblico con interpretazioni sofisticate di standards e composizioni originali (tra le quali una scritta durante lo stesso pomeriggio, ancora senza titolo...forse ispirata dalla Grande Mela?)
E' seguita un'ottima e intensa performance di Enrico Rava e il suo quintetto, sempre con Bollani al piano, in cui ho potuto apprezzare la versatilità dello stesso Bollani come accompagnatore.
Alla fine del set sono riuscita a fargli qualche domanda. Oltre ad essere un incredibile ed entusiasta pianista Stefano si
è dimostrato anche una persona disponibile e come si dice "Down to earth" ovvero con i piedi per terra.
A.R.:
Quando è nata in te la passione per il piano?
S.B.: Più o meno all'età di 6 anni: volevo fare il cantante e giustamente
i miei genitori mi dissero che studiare canto come voce Bianca non era una grande idea e mi consigliarono invece di suonare uno strumento; io optai per il piano. Una scelta abbastanza casuale forse influenzata da una tastiera elettronica che avevamo in casa.
Quasi subito è diventata una passione, tant'è che non ho mai pensato di fare altro nella vita. Sono stato molto fortunato, all'età di 6 anni avevo già chiaro quale sarebbe stato il mio mestiere!
A.R.: Chi sono stati i tuoi maestri nell' ambito del Jazz?
S.B.: A 12 anni ho iniziato ad andare a lezione da
Luca Flores che è quel pianista di cui parla Veltroni in uno dei suoi libri. E' uscita una specie di biografia di questo sfortunatissimo pianista fiorentino morto 10 anni fa.
Ho avuto la fortuna di averlo come insegnante, io ero ancora bambino e veniva a casa a farmi lezione.
Più avanti sono andato da Mauro Grossi a Livorno e poi ho fatto un anno ai seminari di Siena con Franco D'Andrea.
A.R.:
Quali sono invece i "maestri" del Jazz che ti hanno influenzato?
S.B.: Il primo "amore" per me
è stato Oscar Peterson perchè, credo sia naturale per un bambino o ragazzo essere colpito dalla velocità e dalla tecnica e lui era il più veloce!
Poi mi sono appassionato ad Art Tatum e più avanti, con calma, ho capito che c'era anche un'altro modo di suonare il piano (Flores me lo aveva già anticipato ma all'epoca non ci volevo credere!) e finalmente intorno ai 15 anni mi sono innamorato di
Bill Evans. Da lì in poi ho cominciato a diventare "onnivoro" infatti sono un grande acquirente di dischi e ho sempre cercato di sapere tutto quello che è stato ed è Jazz.
A.R.:
Da uno dei tuoi primi Cd "Bollani Licusati Melani", come ti vedi adesso rispetto al Bollani di allora?
S.B.: Sai, 10 anni fa avevo 20 anni
... Mi vedo con molta indulgenza.
Non so neache se fu davvero un inizio di carriera quel disco, probabilmente no. In realtà non era un disco ma la registrazione della serata finale di un premio che abbiamo vinto. Ci sono solo tre pezzi per cui non aveva intenzione di essere un vero e proprio disco…Da quando ho iniziato a fare dischi sul serio, intendo pensati, mi
è sempre piaciuto che avessero un'identità forte; cioè, un conto è suonare dal vivo, ma il disco deve rimanere e quindi voglio che ci sia a monte una ricerca ben ponderata.
A.R.:
Come scegli I tuoi musicisti?
S.B.: Li ho sempre scelti fra persone con cui ho anche un rapporto di amicizia.
Per esempio il mio trio Ares Tavolazzi, Walter Paoli o l'Orchestra del Titanic
sono quasi vicini di casa, per lo più toscani, con cui sono cresciuto.
Forse più andrò avanti e più sarà diverso: sto cominciando a collaborare anche con persone di altri paesi, per esempio ora suono con 2 ragazzi danesi, e con loro prima
è nata una collaborazione artistica e dopo siamo anche diventati amici.
Credo sia abbastanza normale quando si suona insieme.
A.R.:
Che differenza vedi tra l'ambiente jazzistico statunitense e quello italiano?
S.B.:
Non saprei dire. non sono stato abbastanza qua.
Ad occhio direi il tipo di lavoro.. sembra molto diverso.
Qui sembra ci sia tanto lavoro nei clubs, ma il vero business credo che gli statunitensi lo facciano quando vengono in Europa e in Italia, cioè quando vengono a fare le tournèe europee e sono coccolati e viziati in un certo senso nei teatri e festivals.
Noi italiani abbiamo avuto per anni solo i clubs, la vitaccia, I turni in studio con musiche che non ci piacevano ecc. ma credo che ora invece ci sia stata una specie di
... riscossa per cui la qualità del nostro lavoro è molto migliorata.
Noi adesso suoniamo in Festivals non solo in Italia ma anche in Europa; per esempio io raramente suono in un club per cui posso dire che "a casa mia" la qualità
è migliore.
Il problema è che io non vengo quasi mai a suonare in America e quindi non c'è questo scambio, però comunque va bene anche così.
A.R.:
Qual è il più bel complimento che hai ricevuto e da chi?
S.B.:
Non sarà il più bello ma è il primo che mi viene in mente: All'epoca suonavo con
Irene Grandi e una sua amica che poi è diventata anche amica mia disse ad Irene: "Il vostro pianista
è da urlo continuo!"
A.R.:
Invece quale è stata la critica più severa?
S.B.: Generalmente
i giornalisti sono abbastanza buoni con me per cui non sono molto severi.
Penso le critiche più severe sono quelle che mi faccio da solo ma non le dico mai ad alta voce e siccome sorrido sempre non sembra che soffra.
Ci sono serate in cui non mi piaccio quasi per niente, solitamente perchè suono magari troppo, nel senso che mi piacerebbe suonare meno e più intensamente ma poi mi accorgo che mi scappa la mano, un problema di facilità sulla tastiera...forse...
A.R.:
Tra tutti gli impegni che hai, hai occasione di insegnare, fare seminari ecc?
S.B.: Non ho molte occasioni ma l'hanno scorso l'ho fatto 3 volte.
Mi sono divertito molto e credo che anche i ragazzi si siano divertiti perchè comunque in un paio di giorni, stando tutti insieme, si ha sempre modo di approfondire diversi argomenti, parlare ecc.
Sono sempre stato fortunato e ho sempre incontrato persone molto intelligenti e aperte.
A.R.:
Hai incontrato qualche giovane musicista di cui non abbiamo ancora sentito parlare?
S.B.: Sì, ho incontrato per esempio un pianista di nome Claudio Filippini che credo abbia circa 21 anni. Si
è appena trasferito a Roma dagli Abruzzi.
E' molto in gamba e ho notato che nel famoso Top Jazz di Musica Jazz nessuno lo ha ancora votato...probabilmente perchè non ha ancora fatto un Cd a nome suo.
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 09/02/2004
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