Evviva l'Italia del Jazz (o Jass che dir
si voglia)
dicembre 2013
di Marco Losavio
Il jazz in televisione e, particolarmente alla RAI, ha subìto una flessione drammatica
per anni e anni, sopraffatto da talent e porcherie simili, fino a quando, nel
2011, siamo stati improvvisamente svegliati
dal nostro torpore culturale da un barlume: l'annuncio di una trasmissione musicale
condotta addirittura da
Stefano
Bollani. Increduli, ci si è chiesti: suonerà o farà le imitazioni? Presenterà
brani della musica di cui è eccelso esponente o farà le canzoni a richiesta? I dubbi,
tutti rigorosamente amletici, sono stati fugati solo dopo la visione. E quindi,
Stefano
Bollani, facendo leva su un'immagine televisiva conquistata cercando
di mediare l'abilità musicale a quella di entertainer è riuscito, con sommo stupore
e curiosità dei più, a ritagliarsi e cucirsi addosso uno squarcio di RAI TRE notturna
con un programma in cui poter persino cercare di divulgare la musica Jazz (o jass
che dir si voglia). Ovviamente, la lista delle cose possibili è subito diventata
sterminata: pillole di nozionistica, ospiti di gran pregio intervallati da qualche
intervento più "televisivo", esecuzioni di classici e originals con qualche
immancabile canzuncella "in jazz", chiacchierate con musicisti interferite
da gag con co-protagonista del cabaret, e così via verso una trasmissione che, di
puntata in puntata, ha trovato una forma ed una formula che nella seconda replica,
a parere di chi scrive, è diventata ottimale, per i contenuti, per i tempi e per
gli spazi. L'equilibrio di tutti gli ingredienti necessari a realizzare un'ottima
trasmissione musicale è stato raggiunto. E quindi, Bollani ora si sostiene decisamente
da sé nonostante i giornalisti, oltre che gli appassionati, nonché emeriti colleghi
del conduttore, hanno sempre qualcosa di migliore che avrebbe dovuto fare e non
ha fatto.
Dopo lo choc culturale di "Sostiene
Bollani", ci si aspettava di essere tutti ricondotti in letargo, ma ecco che
arriva un'altra notizia incredibile. Adesso non è RAI TRE bensì RAI DUE a mandare
in onda niente po' po' di meno che un reportage su alcuni elementi della storia
del jazz condotto addirittura da
Renzo Arbore. E il parallelo è subito fatto. Nel primo caso si ha
un grande musicista che deve ogni tanto fingere di saper fare un po' lo showman,
nel secondo caso abbiamo un grande showman che deve ogni tanto fingere di saper
fare il musicista. Qui, la lista delle storie possibili è però ridotta a un episodio
decisamente nazional popolare: i palermitani che emigrano e contribuiscono ad inventare
il jazz (o jass che dir si voglia), prevalentemente nella persona di
Nick La Rocca.
Una storia raccontata in modo corretto anche se estrapolata da un contesto più composito
e, soprattutto, resa troppo leggenda. I giornalisti dell'establishment si sono subito
mossi in articoli nei quali si sottolinea la bellezza della trasmissione da un lato,
il dispiacere di come mai questi programmi siano relegati alla terza serata dall'altro
(peraltro consuetudine di Arbore), e la scoperta del notizione, sconosciuta ai più,
che "Nick La
Rocca, un italiano (!), è tra coloro che ha "inventato" il jazz" (o
jass che dir si voglia). Ma probabilmente non è noto agli stessi più che anche prima
del Novecento vi erano alcune orchestre come la John Robichaux Orchestra
o che nei primi del Novecento vi erano molti musicisti come Jelly Roll Morton,
Tony Jackson, Kid Ory, Manuel Perez, Freddie Keppard,
Joe "King" Oliver,
Buddy
Bolden che già bazzicavano da quelle parti (e non solo, se si considerano
la California e Chicago). Il buon
Nick La Rocca,
con la Original Dixieland Jass Band, non suonava musica degna di rilievo ma la fortuna,
come spesso in questi casi, ha voluto che il loro disco registrato per la Victor
si fosse divulgato oltre ogni previsione rappresentando un ottimo esempio di come
la fame culturale si approvvigiona di quel che arriva, soprattutto se non ha scelta.
E potrebbe anche essere importante far comprendere meglio che
Nick La Rocca
nasce e cresce a New Orleans pertanto è americano e che, sebbene abbia genitori
siciliani, di Salaparuta, il padre Girolamo, nato nel 1854, a soli 22 anni, nel
1876, si trasferisce a New Orleans e lì vi rimane. Certo, le radici sono indelebili
e permangono, ma quanto di Ciuri, ciuri scorra nel sangue del cornettista
Nick La Rocca
è ovviamente lasciato ai posteri, che ne costruiscono leggende. Come l'influenza
avuta nei confronti di
Louis Armstrong
il quale, se proprio si vuole trovare qualche connessione tra il suo genio e
la musica suonata da oriundi europei in quel periodo, si dovrebbe pensare piuttosto
a Bix Beiderbecke.
Quindi, nonostante ci sia del vero circa la coincidenza di quanto fatto da La Rocca
con le primigenie della musica afro-americana, in questo caso l'equilibrio di tutti
gli ingredienti necessari a raccontare una reale e sostenibile origine del jazz
(o jass che dir si voglia), è saltato facendo impazzire come una maionese un racconto,
oggi consolidato, che è "leggermente" più articolato e sostanzialmente diverso.
E quindi, il jazz raccontato da Arbore non si sostiene da solo né tantomeno con
l'apporto di Nick
La Rocca & C., ma è comunque una storia di casa nostra accaduta in un periodo
storicamente importante ed è quindi positivo che la si racconti. E poi ci piace
che sia vero, sebbene pare che non lo fosse, che il prode Nick e la ODJB avessero
inciso il primo disco di jazz (o jass che dir si voglia), così come ci piace, dopo
tutto questo racconto, sentirci bravi se affermiamo che "i jazzisti italiani
sono i secondi migliori al mondo dopo gli americani". E meno male, vien da dire,
perché esser primi in questo "sport" non si sa cosa importi (o comporti) anche perché
l'Europa è così ricca di musicisti eccelsi tanto quanto gli Stati Uniti ne abbiano
invece di mediocri. Chiediamoci piuttosto qualcosa di più serio: ma gli americani
sono i secondi pizzaioli al mondo dopo gli italiani?
Nota sugli ascolti (fonti web):
"Da Palermo a New Orleans - E fu subito Jazz", su RAI DUE, è stato visto
da 319 mila telespettatori per lo share del 4,24%
"Sostiene Bollani", su RAI TRE, è stato visto da punte di 800 mila telespettatori
per uno share del 8,85%
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
15/06/2006 | 16 giugno 2005: un anno fa la scomparsa di
Henghel Gualdi lasciava un grande vuoto oggi ancora più forte. Jazzitalia
lo ricorda attraverso le testimonianze di: Nando Giardina della Doctor Dixie Jazz Band,
Renzo Arbore, Pupi Avati, Lele Barbieri, Luigi Barion,
Gianni Basso, Franco Cerri, Teo Ciavarella, Felice Del Gaudio,
Gianni Giudici, Annibale Modoni, Marcello Rosa, Jimmy Villotti... |
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Data pubblicazione: 28/12/2013
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