Quattro chiacchiere con...Livio Minafra
dicembre 2011
di Alceste Ayroldi
Sei nato in una famiglia di musicisti: un destino segnato
il tuo, ma hai mai pensato di "fare altro" nella vita?
Si, in realtà volevo fare il cuoco! Sarei andato all'alberghiero più
volentieri che al Conservatorio! Poi però ho trovato in Gioacchino Rossini un esempio
di sintesi e così faccio il musicista e il cuoco a tempo perso! I cibi, le spezie,
la ricercatezza dei prodotti naturali ed il verde piuttosto che la carne li vedo
collegati al mio vivere la musica, fatta di olfatto, intuizione, assenza di convenzione
o comunque mix e scoperte spontanee, verdi.
Quando ti sei "innamorato" della musica jazz? Quale è stato
il primo brano che hai ascoltato?
Se sei figlio di musicisti non conoscerai mai la musica
con un disco ma – per fortuna mia – dal vivo.
Antonello
Salis,
Gianluigi
Trovesi, Cecil Taylor, Peter Kowald, Sakis Papadimitriou…
hanno caratterizzato la mia visione della musica. Si, visione prima che ascolto
della musica poiché ho avuto sempre la fortuna di accostare il musicista alla musica;
la persona nel quotidiano che poi si rivelava sul palco. E' l'eredità più grande
dei miei genitori. E quindi l'accaldato Salis sempre bizzarro era lo stesso sul
pianoforte, oppure i racconti di Trovesi che faceva la stessa musica misteriosa
e vivace. Oggi pure io ciò che sono nella vita sono sul palco.
Hai studi accademici alle spalle e sei docente nei Conservatori.
Forse è pleonastico chiedertelo, ma ritieni utile la formazione conservatoriale
per un musicista?
Se penso al solito
Antonello
Salis o ad Ash Dargan, suonatore aborigeno di didjeridoo, be',
no. Però poi penso che imparare è sempre cosa buona. Imparare la tradizione classica,
quella jazzistica ma allo stesso tempo individuare e coltivare la propria personalità
attraverso tutto ciò che ti è intorno, senza barriere di stili. Il deficit, se vogliamo,
in conservatorio, ma anche nelle scuole private, è proprio questo. Ti insegnano
a suonare in tutti gli stili, come tutti i grandi, ma si dedica poco niente alla
ricerca del proprio stile. Il proprio stile non passa dal rifacimento di qualcosa
che un altro ha fatto ma dal ricercare e miscelare spontaneamente ogni proprio amore
ed istinto musicale. Sono convinto che ognuno abbia un proprio colore e suono, anzi,
è la più grande lezione che un Grande ci possa lasciare: trova te stesso.
Nell'arco della tua storia musicale, sei passato dal large
ensemble al piano solo: quale è la tua formazione ideale? In quale contesto senti
più adeguata la tua musica?
Per il momento il mio piano solo, ma in certi momenti anche il mio quartetto. Comunque
in chiunque si racconta improvvisando, mi ritrovo; in chiunque ci metta anche il
corpo e sudi mentre suona. In chi si sente limitato tecnicamente ma ha un'anima.
Visti i risultati di Surprise, il tuo ultimo lavoro,
sembra che il quartetto sia il giusto equilibrio armonico per il tuo lavoro di composizione.
Come è nato il Livio Minafra 4tet?
Quando Enzo Vizzone e Michele Mozzicato dell'Egea mi chiesero di formare
un gruppo, io cercai di formare una miniorchestra. Avevo bisogno di strumentisti
jolly, ovvero che suonassero più strumenti e che magari suonando uno strumento
dessero l'impressione di star suonando più d'uno strumento! Tant'è vero che il suono
che ne vien fuori dal Cd è generoso. A tratti mingusiano, a tratti Area, ma anche
Ravel e Brian Eno.
Quindi
dopo i due piano solo (dapprima
La dolcezza del Grido
- Leo Records 2002 e poi
La fiamma e il cristallo
- Enja Records 2008) l'idea è stata: moltiplichiamo
Livio e vediamo cosa viene fuori: Surprise!!! Ma questo è il risultato finale perché
in realtà questo gruppo ha una lunga incubazione. Ho impiegato due anni a capire
di quali musicisti avessi bisogno. C'era da leggere bene ma anche improvvisare bene.
Bisognava saper spaziare tra gli "stili" ma anche averne uno proprio. Bisognava
suonare più di uno strumento e possibilmente essere delle mie parti e magari mio
coetaneo. Con dapprima
Fabrizio
Scarafile ai sax e dopo
Gaetano Partipilo
oltre che Maurizio Lampugnani, ci sono riuscito. Per
Domenico Caliri
ho fatto un'eccezione, perché rispondeva alle idee che mi frullavano in testa pur
risiedendo a Bologna. Dopodiché ho scritto tutte le composizioni/canovacci (con
eccezione di "Minimal Core" che ha scritto proprio Caliri) pensando a cosa
potessero aggiungere loro con la fantasia. Tant'è vero che prima delle prove in
quattro ho fatto delle prove in duo con ciascuno di loro, proprio a limare e chiarire
le mie note.
E Surprise lo hai composto già pensando al quartetto?
Si, come un sarto!
Sembra proprio che vi siate divertiti a suonare questo
disco...
Diciamo che ho indovinato i compagni di giochi musicali e il resto è venuto da sé!
Facciamo finta che devi aggiungere un elemento a questo
quartetto, quale strumento e quale musicista sarebbe?
Una voce. Quindi ancora una volta non un basso. Con la fantasia aggiungerei Demetrio
Stratos ma se devo indicare dei viventi allora Oscar Boldre. Oppure
Ernst Reijseger col suo violoncello in fiamme. E comunque presto suoneremo
con Bearzatti, ma non posso dire altro!
Stai girando mezzo mondo (anzi, tutto quanto): quali differenze
riscontri sia dal punto di vista organizzativo che dell'impatto della tua musica
con il pubblico?
Organizzativamente il quadro è molto variegato. Sostanzialmente c'è più professionalità
nell'organizzare eventi artistici che una volta. Ciò che per contro mi dispiace
constatare è che sono pochi i luoghi in cui c'è accoglienza anche umana e non solo
professionale; voglio dire luoghi in cui ti accoglie il direttore artistico col
quale magari vivi momenti conviviali ed entri nello spirito del festival oltre che
del paese. Oggi si va verso un professionismo abnegante per l'artista, dal computer
al taxi. Se conosci il direttore artistico cinque minuti prima del concerto già
sei fortunato, per il resto sei confinato come una animale da circo che aspetta
di entrare in arena, in camerino, magari da solo. E pensare che gli artisti suonano
molto meglio se accolti anche umanamente e calorosamente in un festival. Diciamo
che quando succede è una festa e il musicista suona meglio!
Se tu dovessi elencare ciò che influenza la tua musica
a chi o cosa daresti priorità?
Darei priorità a tutto ciò che "non ha a che fare" con la musica. La mia musica
nasce dall'adrenalina che ho di vivere. Poi magari un attimo dopo fischiettando
o sul pianoforte senza volerlo ottengo le sensazioni che stavo vivendo sublimate
in una melodia o in delle cellule ritmiche. Adoro un atteggiamento di "incosciente
coscienza" dove tutto ciò che è odore, energia, occhi di uomo e di animale converge
nel mio microcosmo!
Chi sono i tuoi pianisti di riferimento? E qual è l'artista
(in generale, anche non musicista) con il quale avresti voluto (o vorresti) collaborare?
Pianisti di riferimento? Oltre al già citato Salis, Misha Alperin,
Slava Ganelin, Cecil Taylor,
Herbie Hancock come viventi. Del passato pianisti compositori come
Ravel, Debussy, Joplin, Ellington e
Bill Evans.
Artista in generale del passato? Mi immagino con Totò, Pasolini,
Fellini, con ruoli bizzarri tra la musica e le invenzioni sonore nel cinema
più astratto.. o con Stratos. Artisti di oggi invece: ho particolarmente
amato duettare con
Bobby McFerrin e mi piacerebbe rifarlo. Non ho mai duettato invece con
Han Bennink.. Dopodiché un giorno vorrei fare qualcosa col mio conterraneo
Caparezza. Cosa? No so!
Chi sono, a tuo parere, i musicisti attualmente più interessanti?
E perché?
Di jazz italiano credo Ottolini, Bearzatti, Fabrizio Puglisi,
Luca Aquino,
Raffaele Casarano, Redi Hasa: sono nomi che portano freschezza
al jazz, nuove idee. Sono la mia speranza nel vedere il jazz tornare ad essere strano.
Si è messo troppo la giacca. Tant'è vero che io personalmente ormai non bado più
al genere musicale ma alla personalità di un artista. I veri artisti – ovvero quelli
che testardamente offrono la loro visione della musica – sono dei veri e propri
generi inclassificabili; se riesci a classificarli, be' qualcosa non va!
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Suonare, insegnare Jazz a Messina (dove sostituisco
Salvatore
Bonafede tornato a Trapani) e calmarmi, perché per fare diventare realtà
i miei sogni musicali sto più sul computer che sul pianoforte, o anche all'aria
aperta.
La tua attuale playlist (cosa ascolti?)
Ben Allison, Pierre Zazzarini, Värttinä, Area,
Ash Dargan, Compagnie Lubat, Wendy Carlos,
Bill Evans,
Cecil Taylor,
Antonello
Salis
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 19/02/2012
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