Questa non può essere considerata una recensione e nemmeno un'intervista.
E' una conversazione con un mio carissimo amico.
Si tratta di
Luca Cacucciolo.
Luca è un pianista e compositore, nato a Bari 34 anni fa. Si occupa di jazz da una
quindicina d'anni, dopo una solidissima preparazione classica con il Maestro
Flavio Peconio di Bari e dopo aver frequentato i corsi di Nico Marziliano
e Davide Santorsola presso la Scuola "Il Pentagramma", sempre a Bari.
Si specializza con Ettore Fioravanti,
Enrico
Pieranunzi e
Franco D'andrea,
frequentando i seminari di
Siena Jazz.
Il jazz diventa ben presto tutt'uno con la sua vita.
Conosco Luca da qualche anno, da quando si è trasferito a Milano. Ricordo
il nostro primo incontro in un club dove mi ero recata ad ascoltare un "Tribute
to Bill Evans",
in trio. Il gruppo era composto da
Ferdinando
Faraò, alla batteria, Stefano Scopece al basso e per l'appunto
Luca Cacucciolo
al pianoforte. Conoscevo già da tempo
Ferdinando
e Stefano e, da appassionata che sono della musica di
Bill Evans,
mi ero precipitata ad ascoltarli, finita la mia lezione al "serale" di piano jazz.
Ma quella serata finì con qualcosa di totalmente imprevisto per me: la
mia prima jam session, accompagnata da
Ferdinando
e da Stefano. E con
Luca seduto
di fianco a me, per farmi coraggio.
Sono momenti che, per chi vive il jazz come lo vivo io, non si scordano
più. Così è nata la nostra amicizia. Ci tengo molto a raccontare questo episodio,
perché da quel momento ho trovato in Luca un amico generoso che mi ha sempre
incoraggiata e che mi ha anche insegnato tante cose.
E' da tempo che
Luca mi
parlava del suo nuovo disco "Kind of Illusion".
Un lavoro che ha avuto una lunga gestazione, ma che finalmente ha visto la luce
ed il risultato è stato di grande soddisfazione.
Si tratta di un lavoro realizzato con il suo trio, insieme a Mattia
Magatelli al contrabbasso e Riccardo Tosi alla batteria. Special guest:
Francesco Bearzatti
al sax.
Il disco presenta tutti brani originali composti da
Luca,
eccettuato solo il primo pezzo (Lullaby for Sara),
composto da Mattia Magatelli, ed una ghost track,
Eu Sei Que Vou Te Amar, di Antonio Carlos Jobim
e Vinícius de Moraes.
Luca ama
molto la musica di Jobim, ma trattandosi dell'unica cover sul proprio cd, ha preferito
optare per la "ghost track".
L'idea è quella di ascoltare il cd assieme e di commentarlo, brano per
brano, ma ... come vedete abbiamo anche divagato parecchio. Chiedo a Luca come fa
a comporre. Mi spiega che compone solo su ispirazione, perché gli sarebbe davvero
impossibile creare musica in altro modo. Per questo motivo ci vuole tempo, prima
di riuscire a disporre del numero sufficiente di pezzi per creare un nuovo disco.
La seconda track (Beijing's Dream)
rievoca il viaggio in Cina che
Luca fece
lo scorso anno. Ricordo perfettamente quando me ne parlò per la prima volta, una
sera che eravamo al Leoncavallo, qui a Milano. Riprendiamo quel discorso da dove
lo avevamo lasciato. Fu un viaggio strano, mi racconta
Luca.
Un altro mondo per davvero, totalmente diverso dal nostro, anche a causa dei grossi
problemi di comunicazione incontrati… nessuno che parlasse inglese… un vero senso
di smarrimento in un posto sconosciuto dove nessuno riesce a capirti né tu a capire
loro…Luca mi racconta di avere composto questo brano in un momento di forte nostalgia,
proprio quando si trovava a Pechino. Pensava ad una ragazza con la quale gli sarebbe
piaciuto iniziare una storia, una volta tornato in Italia. Si sentiva trasportato
lontano dalla malinconia, ma anche dalla suggestione di una passione ancora tutta
da vivere, consapevole di trovarsi però in un posto così distante e così diverso,
con quegli odori, con quei colori così insoliti. La sua musica dà proprio questa
sensazione. Un totale contrasto. Ma durante questo viaggio, non ci accorgiamo di
passare da una realtà all'altra. E' questo l'aspetto che maggiormente mi colpisce,
ascoltando questo brano. Mi ritrovo quasi senza nemmeno pensare ad evocargli
di avere provato la medesima sensazione leggendo un libro, parecchi anni fa:
Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco. Eco riusciva, attraverso la sua narrazione,
a trasportare il lettore in momenti temporalmente molto distanti fra di loro, ma
esattamente allo stesso modo di Beijing's Dream: senza far avvertire il "passaggio"…
Anche il pezzo che segue, Loopy girls,
ha a che fare con la sfera sentimentale. Qui
Luca riflette
sulla propria oggettiva difficoltà nel relazionare con persone che non abbiano il
suo stesso feeling. Si mette in discussione, lui per primo, ma mette in discussione
anche le donne e la loro volubilità o la loro mancanza di comprensione… Chi è alla
fine "quello sbagliato"? Il nostro discorso si trasforma in una serie di riflessioni
fatte a voce alta.
Luca si
è reso conto di aver scelto la musica come propria compagna, assegnandole un ruolo
che viene prima di qualunque altra cosa, anche a costo di grosse rinunce. Tuttavia,
a differenza di altri artisti che ho conosciuto e che si pongono al centro del proprio
universo, Luca
si considera (forse anche troppo) responsabile delle situazioni che ha vissuto,
e si pone continui perché.
Il brano successivo "Three Weeks"
segue lo stesso filo conduttore. Tre settimane per chiedersi se è possibile diventare
"normali", uguali a tutte le altre persone… Tre settimane per arrivare alla consapevolezza
di come si è fatti dentro. Dalle sue parole e dalle considerazioni severe che fa,
emerge chiaramente che Luca talvolta giudichi la propria sensibilità artistica come
una mancanza, anziché una dote….
Il quinto brano "Fallin' Snow Dance"
è una ballad dalla struttura armonica alquanto complessa. La ascoltiamo attentamente
e ci riconcentriamo sulla musica. Ma di nuovo, come in ogni conversazione spontanea,
gli argomenti mutano rapidamente, compaiono e scompaiono senza che ce ne rendiamo
neanche conto. La musica è certamente il filo conduttore, ma nel caso di Luca la
musica è anche la sua vita e ci troviamo quindi a parlare di lui da bambino e di
suo padre, grande appassionato di jazz. Fu proprio grazie a lui che Luca iniziò
ad interessarsi seriamente alla musica, all'età di 12 anni. Poi un flash: il racconto
di un'emozione unica, incredibile, che
Luca provò
all'età di 17 anni, quando assistette ad un concerto dal vivo di Miles Davis.
Di nuovo riprendiamo a parlare delle composizioni presenti su questo cd.
I temi sono semplici, minimalisti, orecchiabili. Quasi mi sento in colpa nel pronunciare
questo aggettivo, "orecchiabile", riferito alle sue melodie. Perché mi pare di sminuirne
la bellezza. Invece
Luca lo
apprezza. Anzi, lo trova calzante. Mi dice che gli fa piacere quando magari qualcuno,
dopo aver ascoltato qualche suo pezzo, sia subito nella condizione di canticchiarlo.
Personalmente, trovo che la semplicità nel comporre una linea melodica sia un grande
pregio. Pochi sanno comporre così. Sono pennellate che descrivono emozioni, sensazioni,
ricordi in maniera nitida e riconoscibile.
Siamo già arrivati al settimo brano, "Elizauma",
una bossa, un altro pezzo assai complesso armonicamente. Luca mi conferma di amare
molto la bossanova.
Il brano che segue è un suo tributo a
John Coltrane,
il jazzista che per
Luca rappresenta
il massimo punto di riferimento. Ci sono due dischi, mi confessa Luca, che a suo
avviso sono le opere più grandi di tutta la storia del jazz: A Love Supreme,
di John Coltrane
e You Must Believe in Spring, di
Bill Evans.
Due opere diversissime. Due opere fondamentali. La prima è intrisa di energia e
spiritualità, un'opera che proietta "verso il cielo", verso il sublime. La seconda
invece un'opera tormentata, dalla quale emerge tutta la fragilità dell'essere umano,
un'opera terrena, impregnata di malinconia e di grandissimo dolore. Anche qui vi
è un enorme contrasto: fede e speranza da una parte, disperazione e vuoto dall'altra.
Sentimenti totalmente contrapposti che tuttavia caratterizzano l'essere umano con
tutte le sue contraddizioni. E Luca è molto sensibile in entrambe le direzioni.
E' attratto da entrambi questi poli, paradiso e inferno, in un certo senso.
Divago. Domando a
Luca cosa
ne pensi del free jazz, un linguaggio che a me pare molto lontano dal suo mondo.
Luca mi conferma di non "sentirlo". Si considera un musicista mediterraneo, melodico,
sebbene talvolta sappia creare anche delle sonorità più acide e "cattive". Mi fa
capire comunque che, proprio per le caratteristiche difficilmente inquadrabili di
questo genere musicale, risulti molto arduo distinguere (nel panorama contemporaneo
ed europeo) artisti mossi da un'ispirazione profonda ed onesta (sia pure totalmente
distanti dal circoscritto fenomeno del free jazz nero delle origini), da altri musicisti
che forse hanno adottato questa strada solo come "atteggiamento" (se non addirittura
come paravento dietro cui celare qualche lacuna…).
Ma ecco l'ultima track del cd: il nono brano,
Joe's Smile, che si fonde con la ghost track. "Joe's
smile" … è il sorriso di Giuseppe, un allievo di
Luca.
Giuseppe è un ragazzo tetraplegico, in grado di muovere solo due dita.
Luca ha
inventato un modo "diverso" per insegnargli la musica ed è stato ripagato proprio
dal suo sorriso, il giorno che Giuseppe è riuscito a fare due note.
Ed ecco la ghost track: Eu Sei Que Vou Te Amar.
Tra le varie versioni esistenti del pezzo di Jobim/De Moraes, quella che ha particolarmente
ispirato Luca si trova sull'album "Lagrimas Negras" realizzato da Bebo
Valdes con il cantante flamenco Diego el Cigala. Si tratta di una versione
in spagnolo, eseguita in trio. E' un pezzo che gli piace molto, pur essendo completamente
fuori contesto, rispetto a tutti gli altri brani del suo cd.
Quante cose che ci siamo raccontati. Ora domando a Luca di parlarmi delle
sue svariate esperienze musicali e delle diverse formazioni in cui suona, anche
se alcune di esse mi sono già familiari:
Per primo, il "Luca Cacucciolo Trio", con Mattia Magatelli
e Riccardo Tosi, più
Francesco Bearzatti
come special guest.
Quindi la big band "Avant Orchestra", diretta da Marco Fior,
trombettista. Luca aveva sempre suonato in contesti più piccoli. Iniziare a suonare
in una big band, simile alle grandi orchestre di Duke Ellington o di Count
Basie, per lui è stata una grandissima emozione ed è stata l'opportunità di
sperimentare un approccio alla musica completamente diverso. Ormai sono circa tre
anni che Luca è entrato nella Avant Orchestra.
Luca
si considera un musicista creativo. Mi spiega che in una big band invece ti accorgi
di essere "al servizio della band" stessa e capisci che devi lasciare maggiore spazio
alla creatività di tutti.
Una recente collaborazione che ha riscosso un grande successo lo scorso
mese di novembre è stata proprio la serie di concerti tenuti dalla grande cantante
Mary Setrakian,
qui a Milano, accompagnata per l'appunto dalla Avant Orchestra.
Sempre in tema di canto, Luca è considerato un ottimo accompagnatore al
pianoforte. Lo dice con semplicità, senza apparire immodesto. Ma la riprova di questa
sua abilità sono le sue svariate collaborazioni con bravissime cantanti. Una fra
tutte, Monica Della Vedova.
Tornando alle formazioni strumentali, abbiamo il quintetto "Europe
Connection", con Luca Cacucciolo al piano,
Gaetano Partipilo
al sax, Yuri Goloubev al basso,
Gianlivio
Liberti alla batteria e
Alberto
Parmegiani alla chitarra. Con questa formazione uscirà presto un nuovo
cd, ormai pronto per essere pubblicato.
Un altro trio classico, l' "Interplay Trio", un tributo a
Bill Evans,
di cui vi accennavo all'inizio, insieme al batterista
Ferdinando
Faraò e al bassista Stefano Scopece.
Un quartetto, "New Feel Quartet", con Francesco Bianchi
al sax (Francesco milita da diversi anni anche nella Avant Orchestra), Mattia
Magatelli al basso e Michele Salgarello alla batteria.
Ma bisogna anche aggiungere alcuni gruppi funky o di latin jazz, due generi
che Luca ama molto.
Si è fatto sera. E' inverno e il buio è arrivato in fretta. Luca si congeda
(rimandando per l'ennesima volta una spaghettata che gli ho proposto da almeno un
paio d'anni). Capiterà sicuramente un'altra occasione. Mi dice di avere incastrato
tutta una serie di impegni, per questa serata, una delle poche, rarissime sere libere
che, nella sua vita totalmente dedicata alla musica, può riservare ai rapporti interpersonali,
agli amici, alle ragazze.
Lo capisco e per questo non insisto.
Mentre attende l'ascensore, Luca mi parla ancora di musica, di
Brad Mehldau.
… Ci tiene a dirmi che questo artista è uno dei suoi preferiti. Lo considera un
mito in trio, ma lo trova grandissimo anche come sideman in varie formazioni (mi
cita ad esempio il quintetto di Kurt Rosenwinkel e l'album "Deep Song",
un disco che, a suo avviso, è un capolavoro). Me lo dice entrando in ascensore…
Ci salutiamo con un abbraccio affettuoso.
E' la tua serata di libertà, ciao
Luca.
Divertiti.
Rossella Del Grande per Jazzitalia
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 23/04/2007
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