Album d'esordio per Kekko Fornarelli, giovane pianista barese, questo Circular Thought cattura immediatamente l'attenzione grazie al suo perentorio avvio, una vigorosa e incalzante Footprints, che mette subito in luce l'incisivo interplay del trio, ampliato con la grintosa voce strumentale del sempre più convincente Francesco Bearzatti. Il versatile sassofonista contribuisce con misura anche nella pacata versione dello standard For Heaven's Sake e nel vivace originale Il Grande Bluff, caratterizzato dalla notevole libertà espressiva che i componenti del gruppo si concedono, mai disgiunta dall'indispensabile controllo della forma.
Più meditativi e lirici risultano invece i tre episodi, ulteriori esempi della vena compositiva del leader, in cui il quarto componente è Marco Tamburini. Si va dalla delicata ballad che dà il titolo al disco, con il piano a fornire elegante contrappunto alle volute sonore intessute dal trombettista, al conclusivo Andante passando per le cadenze da love song di Mari, brano dagli accenti evocativi, permeato da un equilibrato tocco di romanticismo: qui
Fornarelli, oltre a ritagliarsi un riuscito intervento solistico, concede spazio, in apertura e chiusura, ai calibrati virtuosismi di Maurizio Quintavalle e Mimmo Campanale.
Particolare attenzione, ovviamente, meritano le due esecuzioni in trio, dove il maggiore spazio disponibile permette di valutare al meglio le peculiarità strumentali del nostro, ben sostenuto dall'efficace sezione ritmica. Un classico, Bluesette di Toots Thielemans,
con il fraseggio fluido e insieme frastagliato del pianista in evidenza; ed
ancora un originale, The Acrobat, la cui atmosfera in continuo ed evolutivo mutamento è ben rappresentata dal titolo, che richiama l'immagine di un precario equilibrio, di una situazione in bilico e per questo tonificante, atta a tenere i sensi in continua allerta.
In conclusione, Circular Thought è un lavoro pregevole, frutto di un serio e ben meditato approccio alla pubblicazione discografica.
Fornarelli mostra, come tratto distintivo, un pianismo angoloso e moderno, derivante da un tenace spirito di ricerca e da una salutare tendenza a sfuggire in maniera sistematica ai cliché, ai percorsi stereotipati e privi di rischi. Traspare in controluce un ascolto attento ed una buona conoscenza dei maestri del passato (e contemporanei), ma al tempo stesso una sicura ed istintiva rielaborazione della materia sonora, una chiara e positiva tensione verso una cifra stilistica personale.
Alfonso Tregua per Jazzitalia