Dario Cecchini Four Winds
Parma, Controtempi 21 aprile 2009
di Marco Buttafuoco
Controtempi è una suggestiva rassegna che ogni anno, a Parma, rende onore alla
musica e all'arte degli anni 70, anni ribollenti e contraddittori, in ogni caso
ricchi di sperimentazione. Oltre a riproporre star e situazioni di quel passato,
(quest' anno si è esibita ad esempio la PFM) il festival lancia anche nuovi progetti,
in omaggio allo spirito di quei tempi lontani. Quest' anno ad esempio ha commissionato
a Dario Cecchini, leader dei Funk Off, una interessante performance
per quartetto di soli fiati.
Il musicista toscano ha chiamato a questo appuntamento
tre big del jazz italiano: Achille Succi ha portato con sé il clarinetto
basso ed il sax alto,
Marco Tamburini tromba e flicorno, mentre Mauro Ottolini
si è messo al collo un gigantesco sousafono bianco, che di tanto in tanto lasciava
per brevi sequenze di trombone.
Cecchini (che oltre al diletto baritono si è cimentato anche con saxsoprano
e flauto) ha scritto per questo ensemble una lunga suite nella quale a sequenze
che i musicisti leggevano sul pentagramma venivano alternate momenti di fervida
improvvisazione. Il gruppo aveva alle spalle solo un paio di prove, ma questo non
poteva certo mettere in difficoltà improvvisatori di quel calibro. I quattro sono
riusciti a catturare l'attenzione di un pubblico folto accorso probabilmente per
ascoltare il secondo set della serata, l'esplosiva proposta delle cinque batterie
rockeggianti del gruppo "La drummeria". Un pubblico quindi poco a suo agio con la
tradizione afro-americana.
Certo
la proposta dei nostri eroi non era facile. Chi segue i Funkoff sa quanto Cecchini
ami una scrittura di confine fra i vari stili del jazz e tante altre musiche, ma
qui tutto aveva una dimensione molto cameristica e soprattutto non c'erano percussioni
cui ancorarsi, Lo stesso Ottolini lamentava, scherzosamente, come tutta l'
impalcatura ritmica gravasse quasi esclusivamente sul suo ingombrante compagno di
viaggio.
"Sono davvero soddisfatto – diceva Cecchini al termine del set, mentre
il gruppo aspettava, di chiudere la serata unendosi in una session stralunata alle
cinque batterie che intanto ruggivano sul palco - i ragazzi hanno saputo continuamente
creare e proporre situazioni nuove, sentieri molto lontani dalle tracce di partenza.".
In effetti dal palco è arrivata una musica fluida e cangiante, tenuta
assieme dalla calce del funk, materiale prediletto dell'autore, ma che lasciava
anche risuonare memorie e danzare fiamme di jazz tradizionale, di be-bop, di Stan
Kenton, di sperimentazione contemporanea. Quello che intrigava era il gioco dei
timbri, soprattutto in alcuni dialoghi divertenti ed efficaci fra i vari strumenti:
Gil Evans era il nome che più veniva alla mente. Per la ricchezza sonora, ma anche
per quella incantevole souplesse che la sua musica sapeva trasmettere. "Questa
musica può far pensare a lui, ma anche a Quincy Jones, è davvero un grande onore
– dice Cecchini - In effetti nello scrivere queste pagine, e nel suonarle in
scena, avevo in mente tutta la tradizione jazzistica e il compendio che ne hanno
fatto i grandi come Gil, anche Duke e Mingus. Questa musica l' ho ascoltata ed amata
fin da bambino, dal momento che la mia era una famiglia di adoratori del jazz. Ho
lavorato quindi, come sempre, sulla tradizione, e con questo termine intendo anche
le tante bande cittadine della nostra Italia. la musica delle nostre piazze. Da
lì ho cercato, come sempre, di andare avanti. E' inutile oggi ripetere le gesta
di Bird o Trane, cercare di suonare come loro. C'è già troppa gente in giro che
cerca di farlo. Noi dobbiamo cercare una strada nuova, utilizzando le carte ed i
tanti punti di riferimento che i grandi ci hanno lasciato in eredità. Spero di potere
avere l' occasione di affinare questo progetto, che è ancora in gran parte da definire.
Io vorrei ad esempio utilizzare anche il tuba in alcune situazioni. Mauro ha preferito
il sousapphone, strumento dal suono più leggero e diretto. C'è ancora da sperimentare,
magari in un disco."
Sarebbe davvero un peccato che questo gruppo non avesse l' occasione di
riproporsi dal vivo. Che rimanesse confinato nella memori di una sola sera, di un
solo concerto.
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Data pubblicazione: 04/07/2009
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