Intervista a Franco D'Andrea
novembre 2013
di Marco Buttafuoco
foto di Riccardo Crimi
Abbiamo incontrato
Franco D'Andrea
prima dell'esibizione del trio con Daniele D'Agaro e Mauro Ottolini
a Parma Jazz Frontiere. Gli argomenti di cui parlare con il musicista di Merano
sarebbero moltissimi, a cominciare dalla sua ulteriore riconferma come musicista
dell'anno nel referendum di Musica Jazz. D'Andrea è persona di molteplici interessi
artistici, ma era la proposta di questo trio tanto insolito e tanto poco documentato
(sia discograficamente sia giornalisticamente) ad intrigare il cronista. Fatti i
dovuti complimenti per l'ennesimo successo di critica, abbiamo provato a fare il
punto con il maestro su questo progetto:
"In effetti, come trio vero e proprio non abbiamo ancora inciso. Solo nel primo
disco di Traditions and Clusters sono incisi circa venticinque minuti in
cui Mauro, Daniele e io suoniamo insieme, ma non in trio, perché c'era con noi
Han Bennink, che in quell'occasione specifica suonava non la batteria ma
il solo rullante. E' stata una sua idea. Han non è mai convenzionale, è capace di
creare continuamente situazioni inedite. Io stesso mi chiedevo come sarebbe andata
a finire, ma suonando mi accorsi ben presto che Han stava elaborando trame ritmiche
preziose e nuove. Non era una sezione ritmica a interagire, ma nemmeno un solo tamburo.
Era un panorama sonoro affatto nuovo."
Quando hai avuto l'idea di suonare insieme a due fiati senza basso e batteria?
L'idea non è proprio mia. Fu Paolo Piangerelli, uomo sempre pieno d'intuizioni
e che ha molto infoltito la mia discografia, a propormi la collaborazione con
Fabrizio Bosso
e Gianluca Petrella,
giovani emergenti di cui si diceva un gran bene. Paolo pensava a un quintetto tradizionale,
ma vagheggiava anche a un trio con me e due contrabbassi. Gli proposi di un progetto
che unificasse l'idea di questi due trii, con i due bassi in appoggio e io a spingere
i due ottoni. Un progetto affascinante ma anche complicato: alla fine ho lavorato
per qualche anno solo con Fabrizio e Gianluca. Ero molto soddisfatto di quel progetto.
Bosso e Petrella erano allora due giovani leoncini ruggenti. Io da tanto tempo suono
una musica basata su una"polifonia improvvisata", nella quale i soli emergono a
tratti, senza alcuna programmaticità. Mi piace dar vita a d una sorta di moderna
band di New Orleans, una band che tiene di quell'epoca quasi esclusivamente la parte
improvvisata. Certo ci sono riff e parti arrangiate, ma questi elementi strutturali
non sono determinanti. Mi piace lavorare su composizioni brevi nelle quali può emergere
facilmente il colore necessario a un percorso improvvisativo alla fine del quale
si sa sempre dove si arriva e come finisce un brano, ma il cui inizio è sempre indeterminato.
Non è nemmeno necessario un programma, una scaletta: la usavo all'inizio ma poi
non l'ho più ritenuta necessaria. Occorre invece avere soluzioni finali, sapere
come chiudere insieme un pezzo singolo o una suite. Con Fabrizio e Gianluca siamo
andati avanti a lungo e con splendidi risultati. Il trombone di Petrella aveva anche
la capacità di supplire all'assenza del contrabbasso e garantiva un maggiore equilibrio;
inoltre e forse soprattutto, Gianluca ha un vasto repertorio di "effetti speciali"
necessari a una proposta musicale come la mia. I piccoli gruppi mancano sempre di
qualcosa: nel nostro caso era assente la ritmica tradizionale, ma a mancare in un
piccolo ensemble possono essere anche altre voci. Contare su un musicista capace
di usare gli effetti vuol dire completare il panorama timbrico, riempire certi vuoti.
Funzionava bene ma i due, soprattutto Bosso, cominciavano a spiccare il loro volo
e ad avere, giustamente, sempre di più progetti loro ed una loro visibilità. Rischiavamo
di perdere la continuità. In quel periodo conobbi Daniele D'Agaro. Il clarinetto
è uno strumento di grande estensione: non può certo occupare il posto della tromba,
ma può interagire in maniera diversa e originale con il trombone. Provai ad inserirlo
al posto della tromba in qualche concerto e mi sembrò che la cosa funzionasse. Io
sono affascinato dal jazz a cavallo fra gli anni venti e trenta del secolo scorso,
fra New Orleans e la Swing Era, dall'Ellington del Jungle Style. Il clarinetto,
dimenticato dal bop era uno strumento essenziale di quei linguaggi musicali. Linguaggi
che io cerco di reinterpretare alla luce delle esperienze più recenti del jazz,
a partire dal free.
Anche Petrella, tuttavia, cominciò a essere via via meno disponibile. Fu in quel
periodo che rincontrai Mauro Ottolini, mio allievo al conservatorio di Trento.
Lo avevo un po' perso di vista. Lo ricordavo come un giovane pieno di talento ma
troppo legato alla lezione di strumentisti come A. Johnson e Frank Rosolino.
Io avevo provato a orientarlo verso Kid Ory o Roswell Ruud, ma senza grande
successo. Quando ci ritrovammo Mauro era diventato un esploratore delle possibilità
timbriche del suo strumento e un ricercatore di nuovi linguaggi. Avevo quindi il
mio nuovo trio con due partner che conoscono perfettamente il jazz antico, quel
ricco e pittoresco sottobosco abitato anche da musicisti purtroppo poco documentati
su disco, ed al tempo stesso impegnati nelle ricerche più innovative. Mauro è oramai
un facitore di suoni nuovi (preziosissimo, quindi, per l'effettistica). Daniele
ha vissuto in Olanda ed ha suonato con tuti i protagonisti di quella scena tanta
folle e tanto importante per l'elaborazione di linguaggi innovativi, di confine.
Suoniamo una musica molto libera i cui il bilanciamento è dato dai i riff. Là
nascono le idee che via via ognuno lancia agli altri. Sono segnali, messaggi in
codice che preparano una situazione nuova su cui il trio si deve avventurare. Il
meccanismo ricorda quello di una squadra di calcio, in cui meccanismi di gioco
predefiniti suggeriscono possibilità di finalizzazioni sempre diverse. Sono le
carte che ogni volta giochiamo in maniera diversa e ogni nostro concerto, o
quasi, vede accadere qualcosa di diverso.
Mi sembra però che il bop sia fuori dal tuo panorama artistico
E' oramai un linguaggio acquisito. Io non voglio minimamente sminuirne l'importanza.
Tutte le ricerche più avanzate nascono da lì. Il bop ha raccolto l'eredità del passato
ed ha aperto nuovi scenari impensabili all'epoca dei primi gruppi di Satchmo. E'
la centralità del jazz, soprattutto in un gigante come Monk che riassume tutta l'esperienza
della musica afro-americana, dal blues all'honky-tonky. Il bop ci ha dato l'apertura
mentale per andare avanti. Non è superato, ma acquisito. Non è un punto di arrivo.
E' lo spirito che ci fa cercare il nuovo.
Per chiudere questo colloquio vorrei chiederti come spieghi il successo di questa
nostra musica, che, nata sulle strade polverose percorse dagli ex schiavi neri americani
è entrata nella sensibilità di milioni e milioni di persone in tutto il mondo?
E' un miracolo che ancora oggi mi affascina e mi intriga. Potremmo dire che l'Africa
ci ha dato la libertà ritmica ed ha preso da noi la capacità melodica. Il blues
ci ha insegnato a spaziare fra le note ed ha permesso di ascoltare le altre musiche
del mondo. Il jazz ha qualcosa di ingenuo e di primitivo in sé, è strettamente legato
alla danza ed all'espressione corporea. E' soprattutto una musica di
libertà. Tutto questo ha certamente contribuito alla sua affermazione. Ma il
perché sia entrato nella nostra anima di europei come in quella dei giapponesi e
di tanti altri popoli, in tutte le classi sociali, è la riprova che l'arte è
anche sempre un mistero. Un mistero che sono felicissimo di vivere dal di
dentro. Ho settantadue anni ed ancora oggi mi entusiasmo e mi commuovo nel
sentire e nel suonare questa musica sempre nuova e sempre aperta. Ringrazio il
destino di avermi dato la possibilità di incontrarla.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
21/06/2009 | Bologna, Ravenna, Imola, Correggio, Piacenza, Russi: questi ed altri ancora sono i luoghi che negli ultimi tre mesi hanno ospitato Croassroads, festival itinerante di musica jazz, che ha attraversato in lungo e in largo l'Emilia Romagna. Giunto alla decima edizione, Crossroads ha ospitato nomi della scena musicale italiana ed internazionale, giovani musicisti e leggende viventi, jazzisti ortodossi e impenitenti sperimentatori... (Giuseppe Rubinetti) |
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Data pubblicazione: 02/02/2014
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