Udin&Jazz 2008: I will not apologize
di Giovanni Greto
25 giugno 2008
ore 20, Piazza Matteotti
Enzo Favata
tentetto feat.Tenores Di Bitti: The new Village
Enzo Favata, sax tenore e samplers
Riccardo Pittau,tromba
Daniele Di Bonaventura, piano acustico
Alfonso Santimone, piano elettrico Rhodes e live electronics
Danilo Gallo, contrabbasso
U.T.Gandhi, batteria.
Tenores Di Bitti ‘Remunnu e' Locu'.
Daniele Cossellu e Piero Sanna, oche e mesu oche. Pierluigi
Giorno, contra. Mario Pira, basciu
Ore 22 Teatro San Giorgio
Pharoah Sanders Quintet
Pharoah Sanders, sax tenore
William Henderson, piano
Nat Reeves, contrabbasso
Joe Farnsworth, batteria
Il tentetto – 6 musicisti + 4 tenores – è un
laboratorio sonoro itinerante, ideato da
Favata,
che si definisce "un progressista jazz e conservatore folk". La denominazione adottata,
"The new Village", il nuovo villaggio, sottolinea come il gruppo voglia esibire
un sound che dai ghetti di New York passa per la Chicago avanguardistica di fine
anni '60 e si proietta verso quell'inaccessibile
muro polifonico costruito dal quartetto di tenores, cantore dell'antica tradizione
vocale sarda. La piazza centrale di Udine acuisce la gioia dell'incontro, stimola
le improvvisazioni degli strumenti. Si respira una bella atmosfera, anche se
Favata
dopo il concerto si lamenterà con i tecnici del suono, colpevoli di non aver saputo
evidenziare e bilanciare le diverse sonorità. Ma il pubblico ascolta incuriosito
ed affascinato le intersezioni tra una base jazzistica che rievoca l'inizio del
–rock di Miles Davis – pensiamo soprattutto a "Bitches Brew" – e le
voci sarde, ognuna con compiti specifici. Il canto a tenore è una forma peculiare
delle regioni interne della Sardegna, che ha trovato sviluppo nella provincia di
Nuoro e specialmente in quella contrassegnata da montagne ed anguste vallate che
è la Barbagia, dove si trova Bitti, paese di 4500 abitanti. La voce (oche) è quella
del cantante solista che canta in sardo i versi dei componimenti poetici che sono
la base del repertorio dei tenores. Il basso (basciu) si mantiene sulla stessa tonalità
della voce solista, con suono grave e fortemente nasale, che lo distingue così dalla
contra. I loro suoni gutturali vengono tuttavia compensati dal timbro acuto della
mezza voce (mesu oche). Nello sviluppo del canto a tenore, alla voce conduttrice
rispondono altre voci, dando vita ad una composizione, caratterizzata per il ritmo
e l'impiego di sillabe prive di senso logico. Ha un effetto sorprendente vedere
il quartetto "Remunnu 'e locu" – il nome scelto è un omaggio ad un poeta
analfabeta satirico vissuto nel secolo scorso nel rione degli umili e dei diseredati
– passare da momenti in solitudine ad inserimenti nel ritmo funky o jazz del sestetto.
Rassicurati da una sezione ritmica attenta e presente, si sono lanciati in efficaci
improvvisazioni sia il leader al sax tenore che il giovane Pittau alla tromba.
Assolo grintosi e freschi i suoi, che hanno stimolato la fantasia dei propri compagni.
In due ore circa di un set unico che non sembrava finire mai, il veterano
sassofonista – compirà 68 anni in ottobre – ha per così dire ipnotizzato il pubblico
accorso, attraverso la circolarità dei suoi brani, riportandoci indietro di oltre
40 anni e facendoci pensare a quel free intriso di spiritualità, inevitabilmente
legato alla figura di
John Coltrane.
Nonostante l'età, Sanders riesce ancora a suonare con un ‘energia sorprendente.
Le improvvisazioni non lasciano respiro. I clusters e i sovracuti continuano a far
parte del suo stile. Certo i tempi sono cambiati, ma chissà che questo suo immutato
modo di suonare, possa far riflettere circa la coerenza e la serietà che devono
guidare il lavoro di un musicista. Brani lunghissimi, a partire dall'iniziale "Doctor
Pitt" fino a "My favorite things",
"Naima" e il finale "The
creator has a master plane", con il quale Sanders, dopo il cantato,
invoca pace e felicità per ogni uomo. Affidabili i tre partners. Il batterista,
che sostiene con infinite accentazioni di piatti e tamburi i diversi percorsi del
leader e costruisce dei pregevoli assolo, molto ordinati e con un'attenzione particolare
alle dinamiche sonore. E' un lavoro faticoso, perché Farnsworth, non riesce
a ritagliarsi momenti tranquilli o almeno poco concitati. Henderson è pianista
melodico e convince sia nell'accompagnamento che nei lunghi assolo, mentre il contrabbassista
Nat Reevese esegue il suo lavoro con estrema precisione. Unico appunto al
concerto è l'acustica non soddisfacente, per via dei suoni che non giungono limpidamente
ma si disperdono nell'ambiente. Questo potrebbe essere anche un pregio, perché ci
trasporta in certi locali, come il mitico Vanguard o i lofts dell'epoca, che senz'altro
si addicevano ad una musica così ossessiva e ribelle.
Venerdì 27 giugno
ore 19 e 30, Piazza Matteotti
Daniele D'agaro Adriatics Orchestra
Daniele D'agaro, sax tenore e clarinetto, composizioni
Sean Bergin, sax soprano, alto, tenore, flauti, fisarmonica diatonica e voce
Davide Ghidoni, tromba
Bruno Marini, organo Hammond
Saverio Tasca, vibrafono
Mauro Ottolini, trombone e tuba
Stefano Senni, contrabbasso
Han Bennink, batteria
Ore 22, Teatro San Giorgio
William Parker
sextet "Raining on the Moon"
William Parker, contrabbasso
Leena Conquest, canto e danza
Lewis Barnes, tromba
Rob Brown, sax contralto
Eri Yamamoto, piano
Hamid Drake, batteria
Un venerdì molto intenso, questo per Udin&jazz, perché prima dei due concerti,
c'è stato un interessante incontro sul tema scelto dal festival "I will not apologize",
"non mi scuserò", cui hanno partecipato
William Parker
e Amiri Baraka, scrittore e poeta, affiancati da alcuni critici italiani.
Baraka ha parlato dei tempi che corrono, lucidamente e a volte con pessimismo,
confermando come, sì, il free e la Black music sono stati importanti per la causa
della gente di colore, ma molto rimane ancora da fare. Riguardo la corsa alla casa
bianca, entrambi sperano in Obama, anche per l'impatto che il primo afroamericano
eletto negli Usa potrebbe avere nei confronti dell'opinione pubblica.
Dalla corte di Palazzo Morpurgo ci trasferiamo in piazza Matteotti, in
cui spesso le campane della chiesa interagiscono con i musicisti, per ascoltare
la nuova formazione di Daniele D'agaro. E' un concerto spassoso, in cui ritmica
e fiati si compenetrano alla perfezione, grazie anche alla buona vena di Han
Bennink, che ha dimostrato sia le proprie qualità di batterista che quelle di
improvvisatore con poche ma efficaci sorprese cabarettistiche, per caricare ancor
di più i propri partners e il pubblico. Ha evidenziato qualità di istrione il sassofonista
Sean Bergin, spaziando dal blues, ad episodi cantati come un navigato crooner,
a pezzi etnici, vocalizzati mediante un gustoso linguaggio improvvisato. Ghidoni
e Ottolini hanno confermato come molti italiani possano ormai proporsi in
un contesto internazionale, misurandosi senza timore con solisti di gran fama. I
brani sono trascinanti e lo spazio aperto potrebbe indurre a lasciarsi andare
alle danze. Bruno Marini ormai ha accantonato il sassofono, ottenendo lusinghieri
apprezzamenti all'hammond.
Il concerto serale è un ennesimo felice appuntamento con la "Great" Black
Music del quartetto di
William Parker,
affiancato da Leena Conquest al canto e alla danza e, novità, dalla pianista
giapponese Eri Yamamoto, che proviene da studi classici ed ha scoperto il
jazz, quando si è trasferita, giovanissima, a New York. I due fiati sono attenti
alle idee e alla via da seguire indicata dal leader, proponendosi con assolo ed
unisono impeccabili nei temi. Molto calda la Conquest, particolarmente in serata.
Forse impaurita all'inizio, la Yamamoto cresce brano dopo brano, mentre il
grande Hamid
Drake, continua a mostrarci come si deve suonare la batteria: con passione,
rilassatezza, con un'inesauribile creatività e repentini mutamenti ritmici nell'accompagnamento.
Applausi scroscianti per un compositore e musicista tornato ad esibirsi molto frequentemente
nel nostro Paese.
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Data pubblicazione: 02/11/2008
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