Rumori mediterranei - Roccella Jazz Festival
BlueLocride
Reggio Calabria, Locri, Gerace, Siderno, Martone, Roccella Jonica, 17-26 agosto
2006
di Vincenzo Fugaldi
foto di Vincenzo Fugaldi e Alessia Scali
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Gallery di Alessia Scali::..
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Gallery di Francesco Truono::..
Superato
il ragguardevole traguardo dei cinque lustri, il festival di
Roccella,
giunto alla sua XXVI edizione, continua a espandersi nel tempo e nello spazio, abbracciando
il capoluogo e l'intera Locride.
L'elemento nuovo introdotto dalla direzione artistica del festival curata
da Paolo Damiani
potrebbe avere come titolo La parola ai musicisti. Una nuova sezione del
festival ha previsto concerti pomeridiani in solitudine presso il Convento dei Minimi
di Roccella, protagonisti Gabriele Mirabassi, Alessandro Gwis,
Luciano Biondini e
Bebo Ferra,
preceduti da interviste condotte con competenza ed eleganza di toni da Maurizio
Franco. Ascoltare la voce dei musicisti che si raccontano, prima del concerto,
crea una sorta di familiarità, quasi una complicità con l'ascoltatore. La dimensione
solitaria, impervia, rischiosa, costringe i musicisti a mettersi a nudo, a scoprirsi
totalmente. E le parole dei musicisti sono state spesso interessanti almeno
quanto i suoni da loro prodotti. Gabriele Mirabassi ha espresso delle riflessioni
molto interessanti sul significato più profondo dell'essere musicisti di jazz: "ho
sempre pensato che il jazz sia un modo di ‘immaginarsi' musicisti che è completamente
alternativo a quello della musica colta, e alternativo a quello della musica popolare".
Ha poi parlato della vocazione del jazz a 'rubare', 'carpire' elementi
dalle altre musiche, a inglobare tutto ciò che può essere utile ai fini artistici.
Ed ha anche condotto interessanti riflessioni sul suo musicista di riferimento,
Michel Portal, che ha spianato la strada eseguendo per primo un certo tipo
di musica che non tiene conto dei confini tra jazz e musica contemporanea, e sulla
musica del Brasile, di cui si rivela profondo conoscitore. Tutto ciò ha preceduto
un concerto breve ma intenso, particolarmente favorito dalla dimensione acustica,
in cui Mirabassi ha mostrato un totale controllo del suono e della dinamica
dal pianissimo al fortissimo, esplorando ogni registro dello strumento, con una
pulizia davvero rara. Gwis, pianista degli Aires Tango, alla sua prima
esperienza importante per piano solo, ha invece elaborato composizioni di taglio
classico, con riferimenti ad Egberto Gismonti e al tango.
Luciano Biondini ha iniziato la sua intensa performance in solitudine,
per poi chiedere l'intervento del fedele compagno di avventure musicali
Javier
Girotto, e riproporre un paio di loro composizioni. Ha chiuso
la serie il chitarrista
Bebo Ferra,
che ha eseguito con successo alcune sue composizioni originali tratte dai suoi cd
più recenti, rendendo omaggio ai modelli Metheny e Gismonti, tra cui
Ninna nanna per Lele,
Eja, il classico
My man's gone now e
Matisse Dance di
Paolino
Dalla Porta.
Nel
caldo, affollato e bellissimo lungomare di Reggio Calabria il festival ha preso
avvio con le avvincenti note del pianoforte di
Rita Marcotulli,
reduce da un anno intenso che ha visto la pubblicazione di due suoi lavori discografici
(il cd in trio con Palle Danielsson e Peter
Erskine registrato alla Casa del Jazz e il recente
The
light side of the moon, per piano solo). La pianista ha proposto soprattutto
brani provenienti da quest'ultima felice produzione discografica, da una luminosa
versione della celeberrima Us and
them dei Pink Floyd, a
Koinè,
Tuareg, e
Antoine Doinel, tratto
dal suo precedente lavoro The woman next door, riuscitissima trasposizione
in musica dell'anima artistica dell'indimenticabile François Truffaut, con la sua
inconfondibile eleganza, rapidità e leggerezza. La
Marcotulli
ha convinto per spontaneità, tecnica, inventiva e gusto sia come esecutrice che
come compositrice.
Il numerosissimo pubblico presente ha poi particolarmente apprezzato l'esibizione
dei Buena Vista Social Club, capitanati dai quattro senatori 'Guajiro'
Mirabal, 'Cachaíto' Lopez, Jesús 'Aguaje' Ramos (direzione, voce
e trombone) e Manuel Galbán (chitarra), con la consueta carrellata di brani
cubani, impreziosita in particolare dalla voce del cantante Carlos Calunga,
dalla buona tecnica pianistica di Roberto Fonseca, dal sax soprano, clarinetto
e flauto di Javier Zalba. Tra gli immancabili bis,
El Cuarto De Tula.
Un
forte impatto 'popular' ha avuto anche l'Orchestra di Piazza Vittorio esibitasi
a Locri, interessante proposta che riunisce musicisti italiani, tunisini, brasiliani,
cubani, statunitensi, ungheresi, ecuadoregni, argentini, senegalesi nel tentativo,
forse utopistico ma sicuramente interessante e meritevole di sperimentazione, di
creare una sorta di comunicazione musicale ecumenica, che prende il nome da una
piazza di Roma che accoglie stranieri provenienti da tutto il mondo,
e
che potrebbe diventare un modello di convivenza pacifica e integrazione. Diretta
da Mario Tronco, il tastierista degli Avion Travel, l'orchestra, non priva
di suggestione, ha un forte impatto ritmico percussivo, ed è principalmente caratterizzata
da uno strumento africano, la kora, dall'oud arabo, dalle voci di Carlos Paz,
Houcine Ataa e Ziad Trabelsi e da un'interessante contrapposizione
fra una sezione d'archi e una di ottoni, che creano efficaci impasti sonori. Il
tutto in una logica comunicativa di tipo multietnico, senza particolari riferimenti
jazzistici.
La piazza delle Tre Chiese di Gerace ha ospitato un incontro tra letteratura
e musica, questa volta tra lo scrittore Marco Lodoli, che ha letto un suo
racconto, "Il professore" con il supporto di
Bebo Ferra
alla chitarra e
Paolino
Dalla Porta al contrabbasso. Il duo, molto efficace, che ha già al suo
attivo due incisioni discografiche, crea atmosfere liriche e talvolta felicemente
metheniane, e avrebbe meritato decisamente più spazio, e un ruolo autonomo, non
subordinato alla parola. Spazio che invece ha potuto felicemente avere un altro
collaudato duo, quello tra
Javier
Girotto, sax soprano e flauto e
Luciano Biondini, fisarmonica. Anch'essi già alla seconda prova
discografica, mostrano un'intesa notevolissima, segno della grande versatilità di
Biondini nell'adattarsi ad ogni contesto, e creano intense suggestioni
negli ascoltatori, affascinati dal suono e dal fraseggio di
Girotto,
che dona senza risparmiarsi i suoni della sua anima argentina, trovando nel vertiginoso
tappeto ritmico-armonico creato da
Biondini lo sfondo ideale. Hanno eseguito composizioni di
Biondini (Prendere
o lasciare, Mosaico,
A Francy), e di
Girotto
(Aires Tango,
La abeja en el jardin,
El cacerolazo).
Immancabile bis è stato
A Don Atahualpa.
Per
la prima volta, il festival ha interessato anche il paese di Siderno Superiore,
un piccolo centro fuori dai circuiti turistici. Qui si è celebrato uno dei momenti
più intensi di questa edizione, con l'esibizione del quartetto guidato dal clarinettista
Gabriele Mirabassi, con Paolo Alfonsi alla chitarra, Salvatore
Maiore al contrabbasso e Francesco D'auria alla batteria e percussioni.
Il quartetto propone pregevoli temi di Mirabassi (i mossi
Chisciotte e
Girotondo,
Nosside, sognante song
composta a Roccella Jonica, la ninna nanna
Otto anni,
Struzzicadenti,
Arrivederci e grazie) e
brani brasiliani, da Cheio e dedos
del chitarrista e compositore Guinga, a uno choro degli anni '30 del Novecento scritto
per clarinetto, a un altro choro di natura sorprendentemente contrappuntistica.
Gli equilibri all'interno del quartetto sono perfetti: il leader può distendere
i bei temi e i suoi eccezionali assoli su un accompagnamento ideale, con il sostegno
armonico della chitarra classica di
Alfonsi,
un chitarrista che merita maggiore spazio sulla scena musicale italiana per conoscenza
dell'armonia, gusto, pulizia di tocco. Ma non meno efficaci si dimostrano Maiore
e D'Auria, il primo dotato di una maturità musicale ampiamente consolidata
e il secondo sorprendente per creatività e fantasia alla batteria e in particolare
alle percussioni. Memorabile un brevissimo suo brano eseguito in duo con Mirabassi,
utilizzando uno strumento costruito da uno svizzero, simile a uno steel drum
e a una tabla, che ha creato un'atmosfera leggera, sottile, delicatissima, tutta
basata sulle risonanze create dal metallo e dal pianissimo del clarinetto. Un momento
musicale prezioso, che lascia senza fiato, e ti verrebbe voglia di riascoltare,
e riascoltare… Il bis è di Chico Buarque, lo splendido
Valsa Brasileira.
Martone,
o della polifonia, si potrebbe dire. Credo non sia casuale l'accostamento dei due
gruppi esibitisi la sera del 22 agosto nella piccola cittadina teatro di tanti eventi
interessanti durante gli ultimi anni del festival di Roccella: Arlesiana Chorus
"En Clave Negra" e Shin Quartet. Polifonie vocali del sud d'Italia e
della Georgia contrapposte in due concerti insoliti e sorprendenti. L'Arlesiana
Chorus, diretto da Carlo Frascà, opera da anni nel territorio della ricerca
etnomusicale, scavando tra le espressioni musicali dei paesi che hanno subito la
dominazione spagnola, tra voci, flauti, archi e percussioni, con ospite il travolgente
sax soprano di Raul Colosimo. Gli esiti sono interessanti: di buon impatto
gli impasti ritmici, efficaci gli interventi vocali.
Lo
Shin Quartet, composto da Zaza Miminoshvili, chitarra, Zurab Gagnidze,
basso e voce, Mamuka Gaganidze, percussioni e voci e Mamuka Tchitchinadze,
percussioni, propone un felice e solare incontro tra le tradizioni polifoniche georgiane
e una musica con riferimenti a certa fusion di impianto solo apparentemente semplice,
con influssi del primo John Mclaughlin, la cui travolgente velocità è evidentemente
il modello cui si ispira il chitarrista del gruppo.
Meriterebbe un pezzo a parte, il concerto degli Aires Tango all'Auditorium.
Si intitolava Escenas Argentinas, come il penultimo cd del gruppo. Spettacolo
multimediale, che si avvale della proiezione sincronizzata di splendide immagini
fotografiche di Giancarlo Ceraudo, aventi per oggetto l'Argentina di oggi
ma anche i concerti del gruppo. Prende allo stomaco, il brano che
Girotto
dedica, col flauto andino, alla grande tragedia argentina. Sullo schermo scorrono
le immagini dei militari assassini, poi quelle dei desaparecidos, poi quelle delle
madri di Plaza de Majo in corteo.
E
ti rendi conto che quella musica reca in sé una rabbia, un dolore e una nostalgia
vere, sincere, che non si spegneranno mai. È, nel senso migliore del termine, musica
di grande valore politico. Eccellenti e concentratissimi i musicisti, con una particolare
menzione per Michele Rabbia, creativo funambolo delle percussioni, vero motore
di tutto l'ensemble.
"I Cosmonauti russi" è un ambizioso progetto del chitarrista Battista
Lena, pubblicato su un doppio cd dall'etichetta francese Label Bleu.
La vicenda scritta da Marco Lodoli narra del naufragio nello spazio di tre
astronauti russi, e nella versione proposta a Roccella era interpretata dall'attore
Rocco Papaleo nella parte del cosmonauta e dal soprano Alda Caiello
nella parte della stella cattiva, che attende i cosmonauti nel vuoto.
La
sempre ardua commistione fra parola recitata e musica qui vede contrapporsi alle
due voci un organico di ben venti musicisti, con la chitarra del leader in primo
piano. I riferimenti musicali sono principalmente quelli delle musiche per il cinema
e delle musiche bandistiche.
La costa occidentale degli Stati Uniti, la mitica West Coast, è sempre
stata fucina di talenti jazzistici. Ed è all'insegna di un hardbop ruvido e sanguigno
che ha iniziato il proprio lungo concerto il quartetto capitanato dal contrabbassista
Morrie Louden, strumentista dalla tecnica prodigiosa, accompagnato da
Donald Edwards alla batteria, Pierre De Bethmann al pianoforte
e il ben noto in Italia Seamus Blake al sax tenore. Il mainstream hardboppistico
proposto dal quartetto è abbastanza compatto ma senza particolari slanci; la musica
produce atmosfere totalmente diverse e una delicatezza particolare durante gli interventi
vocali di
Gretchen Parlato, giovane cantante dalla voce esile ma ben controllata
tecnicamente, con un gusto particolare per le atmosfere brasiliane. Il brano finale,
recitato e cantato a più voci, era dedicato proprio al festival di Roccella.
Una serata da ricordare, da incidere a lettere d'oro, quella del
24 agosto
a Roccella. Un magico preludio hanno offerto
Rita
Marcotulli e Andy Sheppard, tra il torrenziale eloquio sassofonistico
di Sheppard, la delicatezza del tocco della
Marcotulli,
assoluta empatia, rare alchimie sonore, splendidi temi originali di entrambi (tra
tutti ricordo del sassofonista
Lullaby for Igor, pieno di ironia e di tenerezza, e della pianista
Waves and Wind), e brani
altrui, come Us and them,
uno dei brani del mitico album "The dark side of the moon" dei Pink Floyd, e come
bis il lirico e intenso Spiritual
di
Charlie Haden, brano che chiude l'album "Beyond the Missouri Sky".
"Raining on the piano" era il titolo del nuovo progetto di William
Parker. Già sulla carta si preannunciava interessante. Oltre al leader, Leena
Conquest, vocals e movement, Lewis Barnes, tromba, Rob Brown,
alto, Eri Yamamoto, pianoforte, Gerald Cleaver, batteria.
Il
concerto inizia con un lungo brano free, dedicato ai bambini del Rwanda, dove
Parker lascia il contrabbasso per un torrenziale assolo al double reed.
La funzione del brano - come talvolta usava fare l'AEoC - è quella di svuotare la
mente dell'ascoltatore, per prepararlo a ricevere la musica con animo libero da
ogni scoria. Ed è bellezza allo stato puro, quella che arriva subito dopo. Le parole
risuonano nei cuori: … Great Black Music … Ancient to the Future ….
La voce di Leena Conquest è da brivido: pur personalissima, ricorda la migliore
Abbey Lincoln. Entra in un interludio ieratico e suggestivo, dove il contrabbasso
e la batteria tengono un polso free, mentre il piano e i fiati nell'esposizione
del tema si muovono in ambito tonale. Poi scatta leggera, velocissima, e danza.
Danza come una dea afroamericana, sull'improvvisazione libera di Barnes e
Brown, ed è come uno strumento in più ad improvvisare sulla scena, ma uno
strumento che ascolti con gli occhi, rapiti, attoniti, incantati.
Le
asprezze dell'inizio del concerto vanno man mano stemperandosi: sembra che Parker
voglia stipulare un patto di complicità con l'ascoltatore, chiedendogli all'inizio
disponibilità assoluta, per poi donargli una musica serena, di sorprendente semplicità,
vera forza guaritrice dell'universo. E la sensazione che si ha, ad un certo punto,
è quella di stare ascoltando un nuovo gigante della black music, che perpetua
e rinnova la musica, uno che è già, oggi, la storia del jazz che avanza. I brani
proseguono: lo spiritual Great
Spirit, Land Song,
una riflessione su chi sia il vero proprietario dell'America, condotta dalla voce
di Leena sul basso profondo di Parker (che come il compianto Malachi
Favors non usa una testina per amplificare lo strumento, ma un microfono, ottenendo
un suono meno definito ma più profondo), che ricorda dall'incipit alcune
cose del miglior
Archie Shepp;
un trascinante brano dedicato allo scrittore preferito di Parker, James
Baldwin, e una delicata ballad finale dedicata al trombettista Art Farmer.
ll bis è una canzone venata di profonda nostalgia che rimane a lungo nella testa,
dopo il concerto. Resta da osservare che il gruppo ha una coesione fortissima: nessuno
tende a prevalere sugli altri, grazie alla sensibilità di tutti e alla non appariscente
ma ferrea leadership di Parker. Tutti i solisti svolgono egregiamente il
ruolo loro affidato, ma una menzione particolare merita il batterista Gerald
Cleaver, innovativo, acuto, semplicemente perfetto.
La giornata del 25
è iniziata all'Auditorium, per una gremita esibizione di Giorgio Rossi, che
interagiva coreograficamente con il canto di Paola Turci, che ha eseguito
alcune sue canzoni, insieme a brani di Leo Ferrè, Domenico Modugno e classici come
Cucurrucucù Paloma e
la gardeliana Volver.
Dalla Turchia, una proposta inusuale, quella della pianista Ayse Tutuncu
insieme a tre percussionisti, un batterista e un clarinettista, per un articolato
repertorio contenente brani originali, omaggi a Monteverdi e Debussy,
Reactionary Tango di Carla
Bley. Colori, spontaneità, una gradevole semplicità caratterizzano la proposta.
Di
scarsa progettualità ha peccato invece la musica proposta dal quartetto del pianista
londinese Stan Tracey, con il figlio Clark alla batteria, il veterano
Bobby Wellings al sax tenore e Andrew Cleyndert al contrabbasso, con
ospite speciale la cantante Norma Winstone. La scelta di proporre soprattutto
standard o composizioni di Tracey (Amoroso),
senza attingere al ricco e interessantissimo repertorio della cantante, ha probabilmente
reso l'incontro estemporaneo e poco incisivo.
Spring is Here e
Crepuscule with Nellie
tra i brani eseguiti. Bis con Blue
Monk.
L'ultimo
concerto del festival è stato quello del cantautore e pianista calabrese
Sergio Cammariere,
esibitosi con il suo abituale gruppo comprendente un efficacissimo
Fabrizio Bosso
alla tromba, oltre a una ritmica affiatata composta da Luca Bulgarelli al
contrabbasso e Amedeo Ariano alla batteria. Teso, emozionato,
Cammariere
ha avuto qualche momento di incertezza, ma ha portato a buon fine il lungo e applaudito
concerto, ospitando anche gli assoli di Gabriele Mirabassi e di Roswell
Rudd.
La serata era iniziata alla grande, proprio con il trombone di Roswell
Rudd, insieme ad
Archie Shepp,
Reggie Workman e Andrew Cyrille.
Shepp
ha suonato più il tenore rispetto al soprano, recando ancora a tratti nel suo bellissimo
suono e nel fraseggio segni di quella "fire music" che lo rese grande e rivoluzionario
protagonista della storia dal jazz, dando quindi in certi momenti al pubblico ancora
i brividi dei suoi tempi migliori; si è anche seduto al pianoforte, con stile scarno
ed essenziale. La ritmica, contrabbasso e batteria, è tra le più solide e compatte
di tutta la storia del jazz, e faceva da eccezionale traino e stimolo per i due
fiati. Fin dalle prime note del brano iniziale del concerto, il travolgente
U-jamaa, dal disco "Montreux
One", si è notato che i quattro veterani erano in ottima forma. Seguivano composizioni
di Rudd (The stars are in
your eyes, una ballad a tempo medio, in cui il trombonista ha sviscerato
ottimi assoli nel suo intramontabile stile impregnato di libertà e tradizione preboppistica,
e Keep your heart right);
Bird Song, introdotto
da un assolo di batteria, con uno sviluppo iterativo, e infine due bis, il primo
cantato da uno
Shepp che si ispirava in parte, con esiti imbarazzanti, a Nat
King Cole, unico momento non memorabile di tutto il concerto.
Decisamente uno dei concerti di punta di tutta la rassegna, assieme a
quello di William Parker.
Dunque un arrivederci a tutti i fedeli appassionati del festival jonico
al 2007, per scoprire quali nuove alchimie, quali nuovi incroci tra musiche e arti
escogiterà l'inventivo e instancabile direttore artistico
Paolo Damiani.
Le Foto di Gianmichele
Taormina
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
31/05/2010 | Intervista a Jean-Luc Ponty: "Negli Stati Uniti, durante gli anni '70, è stato davvero entusiasmante, perchè c'era molta sperimentazione: era lo spirito del tempo. Avveniva nella società, con i movimenti per cambiarla, ed era lo stesso nell'arte e nella musica. Erano gli artisti a tracciare la strada, mentre oggi sono gli uomini d'affari a decidere ogni cosa. Tutti, nei programmi radio, i dj, le case discografiche, specialmente in America, erano veri appassionati di musica, molto spesso musicisti loro stessi, così noi eravamo totalmente liberi di esplorare, di sperimentare, e infatti le novità erano molto apprezzate..." (di Vincenzo Fugaldi) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 08/10/2006
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