Rita Marcotulli, la Signora della porta accanto.
di Olga Chieffi
foto di Francesco Truono
Incontro con la pianista che presenta al Festival
Internazionale Musicale di Ravello il suo Progetto Truffaut.
Cinema e jazz due "amanti" che hanno firmato il nostro Novecento.
E' il momento del jazz al Festival Musicale Internazionale di Ravello, che quest'anno ha aperto le porte anche alla decima musa, il cinema, la quale, questa sera vivrà il connubio con il genere musicale che maggiormente ha influenzato il nostro Novecento, quella generazione di musicisti, l'avanguardia del tempo, che cercando una propria via verso nuove concezioni ritmiche, non poteva non lasciarsi affascinare dal jazz che, uno dei suoi più grandi interpreti, Gene Krupa (drums) definisce: "L'assoluta e ispirata libertà dell'interpretazione".
Il 6 agosto, dopo la proiezione del film di Bob Fosse All that Jazz, assisteremo allo spartito visivo, alla partitura cinematografica della Signora del Jazz italiano, la pianista Rita Marcotulli, la quale con il suo ensemble, composto da
Javier Girotto ai sax soprano e baritono e flauto andino,
Aurora Barbatelli all'arpa celtica,
Pietro Ciancaglini al contrabbasso,
Michele Rabbia alla batteria, Clara Graziano e Gianni Iacobacci
agli organetti diatonici, con un intervento narrante di quest'ultimo, Fabio Gionfrida
al computer, unitamente a Pasquale Minieri supervisore, presenterà il suo
Omaggio a Truffaut, un'opera complessa ed originale pensata e realizzata unitamente alla regista
Maria Teresa De Vito, la quale ha "composto" la sequenza di immagini che scorreranno sullo schermo, in un intento di integrazione dialettica fra i due diversi, eppure simili materiali artistici, le immagini e i suoni.
Abbiamo incontrato via cavo, Rita Marcotulli, apprezzata compositrice e pianista, dalla complessa ma comunicativa creatività, affinata attraverso la sua fresca e colta fantasia.
O.C:
Rita, come nasce il progetto Truffaut?
R.M: Il cinema di Truffaut mi ha sempre emozionato, la sua estetica e un po' quella della "Nouvelle Vague", di usare il cinema come strumento di rivelazione del reale, al di fuori delle regole codificate, il carattere di "scrittura", di linguaggio autonomo da impiegare in nuove strutture estetiche, analoghe a quelle della letteratura, della lirica,
la personalizzazione della visione del mondo, attraverso la quale poter filtrare i fatti e i problemi dell'attualità, l'espressione cinematografica in assoluta libertà, al pari delle altre arti, dalla pittura alla musica, il piano dell'intimo colloquio, del parlar sottovoce, che spazia dallo scatto d'umore all'impennata fantastica, la proiezione della sua esistenza, mi ispirò il compact "The woman next door", a cui
Maria Teresa De Vito ha inteso aggiungere una sequenza
di immagini tratte dai film che mi hanno ispirato quei pezzi".
O.C: Attraverso continue contaminazioni tra verità autobiografica, pezzi di realtà rubata alla vita quotidiana e a quella del set, fantasia pura e citazioni di altri autori ed opere cinematografiche, mescolando una struttura narrativa forte con continue improvvisazioni, Truffaut perviene alla verità del cinema diretto, che è improvvisazione e reinvenzione continua delle proprie forme: è qui il legame col jazz?
R.M: E' proprio così, l'improvvisazione jazz attiva una serie complessa di interscambi. Vi è un livello "intramusicale", in cui i musicisti dialogano tra di loro sulla base di sensibilità e competenze condivise, che generano uno scambio comunicativo e sociale complesso all'interno del gruppo, poiché i musicisti mettono in gioco le proprie idee,
le proprie esperienze, al fine di attivare un dialogo ora armonioso ora conflittuale; un secondo livello è quello "intermusicale" che abbraccia l'appropriazione della scrittura e della "riscrittura" di un brano, la sua reinvenzione, la terza è la completa "liberazione" di un brano che si apre all'interazione con l'ascoltatore che parteciperà "creativamente", secondo il suo sentire e sapere, alla rinascita della forma e del senso.
O.C: Come sono nate le sue composizioni ispirate alle immagini di Truffaut?
R.M: Direttamente dalle sequenze. Ad esempio, sulle immagini della corsa di Antoine, nei
Quattrocento colpi, ascolterai un brano che ti darà la sensazione del volersi liberare dal suo mondo adolescenziale, vincere la sua solitaria battaglia contro l'indifferenza del mondo, o, in
Baci Rubati, la sequenza dello specchio prevede un pezzo basato su di una serie tratta dal nome di Antoine Donel, tradotto in codice morse.
O.C: Il cinema di Truffaut si arricchisce e si trasforma continuamente attraverso le contaminazioni della vita. Scorrendo i nomi della formazione che si esibirà questa sera, leggiamo i nomi del saxofonista argentino
Javier Girotto e di
Aurora Barbatelli all'arpa celtica. La serata sarà "speziata" dalla contaminazione jazzistica.
R.M: Certamente. Ho pensato all'arpa celtica guardando Ragazzo Selvaggio.
Girotto è un sax di matrice argentina, capace di creare atmosfere diversissime e dense di nascite, gli organetti sono lo strumento simbolo della Francia, racconteremo proiezioni, spostamenti negazioni, in una sintesi d'incrocio.
O.C: L'arte è un gioco con finalità molto serie, perché ci fa sperimentare altri mondi possibili, ci aiuta a capire la vita, a viverla meglio. Anche per lei è così?
R.M: Per me la musica è la vita stessa. Ma se il gioco è specchio della vita, il sillogismo dà risultato positivo.
Chiudiamo con l'invito ad un concerto per immagini ove tutto sarà possibile. Nel jazz, ogni cellula musicale viene fagocitata dal solista che la possiede, la plasma genialmente e la regala al pubblico, in un eterno gioco associativo, che non siamo in grado di spiegare, poiché è un modo di svegliarci alla vita che stiamo vivendo.
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 16/08/2003
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