Confini di momenti perfetti? Non facili da raggiungere in duo. Pochi albums
di tal genere ripagano delle attese: quanti ne abbiamo ascoltati, in definitiva
lanciati sul mercato discografico solo per rimpinguare cataloghi o produzioni maniacali
dedite alla ricerca dell'effetto?
Ora, invece,
Rita Marcotulli
ed Andy Sheppard:
una prova da considerare con attenzione per le variopinte esplorazioni, per gli
attimi di idillica sospensione, per gli excursus meditativi improvvisi e destinati
a svanire in eteree figurazioni dal linguaggio ora morbido ora graffiante, sempre
volutamente distante da eccessi virtuosistici o coloriture troppo ardue.
La musica dei due, anche presentando costruzioni non di rado complesse,
non cede a cerebralismi per i quali non sarebbe stato facile trovare quella sintonia
profondissima che, invece, finisce per connotare l'intero progetto. Fraseggi intelligenti,
suggestioni formalmente eclettiche, un sound che appartiene alla temperie culturale
contemporanea: i due artisti mostrano abilità nel trasformare elementi della tradizione
jazzistica e sanno improvvisare e spaziare in contesti stilistici differenti, ferma
restando una coerenza sintattica di struttura, senza mai avvertire l'urgenza di
percorrere pirotecnie e ramificazioni figurali che pure la fantasia d'entrambi possiede
sia intellettualmente che tecnicamente.
Prendono così vita momenti di grande delicatezza, variazioni dinamiche
imprevedibili, istanti di carattere sobrio nei quali essi sembrano trovarsi perfettamente
a proprio agio, là dove l'abilità esecutiva lascia il posto all'ispirazione e al
talento, alla varietas dei moti dell'animo, come in "Element",
adeguato incipit dell'opera.
Marcotulli
e Sheppard
non sembrano amare architetture armoniche complicate ed istrioniche: questo buon
gusto anima accordi spaziosi, secondo quanto parrebbero suggerire anche i temi più
introversi ("Les mains d'Alice"), nei quali
i due danno la sensazione di ascoltarsi con grande attenzione e affetto reciproco:
in "Monkies business", pentagramma ricco di
suggestioni world, la sintonia emotiva tra i due irradia nella parte centrale un'angolosa
cantabilità, uno slancio ritmico pieno e disegnato su combinazioni introspettive
e astrazioni quasi misteriose, senza formule rigide, meditando più sui registri
strumentali che sul raggiungimento definitivo dello "stile".
Ed allora può sorprendere la rilettura di "Us
and them" (frutto magnifico dell'impressionismo psichedelico dei Pink
Floyd), trasognata ed immaginifica, onirico balenio d' inusuale perizia.
In tal senso l'accompagnamento della pianista appare spesso insinuante,
vicino ad un'estetica ellingtoniana ben racchiusa nella mente e nel cuore (come
non ricordare la straordinaria prova del Duke con
John Coltrane
nell'indimenticabile Lp dell'Impulse?), e allo stesso tempo, all'occorrenza, esibire
una grinta ed una potenza di forte spessore melodico, tale da dipingere nuances
persino quando il discorso musicale affronta tempi tutt'altro che moderati.
Senza accumuli di tensione, dialogando con pacatezza e sensibilità, il
duo disegna un sound generoso, frasi sussurrate, limpide e leggere: momenti senza
confini, allora, un iter artistico appagante, originale, da ricordare con piacere
ed una certa, indistinta, serenità.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 04/11/2007
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