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Intervista a John Patitucci
di Antonio Terzo

È fra i contrabbassisti più quotati del panorama internazionale, ed anche se da qualcuno è ritenuto "troppo virtuosistico", il suo modo di suonare continua ad incantare le platee, sia al contrabbasso che al basso elettrico a sei corde. Stiamo parlando di John Patitucci, che dopo la recente apparizione al festival di Roccella Jonica a fianco di Wayne Shorter, si accinge a breve a tornare in Italia con un nuovo progetto a proprio nome.

A.T.: La tua carriera è ricca d'esperienze: Dizzy Gillespie, Stan Getz, Wayne Shorter, Corea, sono alcuni dei nomi con cui hai suonato. Chi, fra essi, consideri importante sia come artista che nella vita in generale, tanto da essergli grato?
J.P.: Ciascuno di essi, davvero. Penso che uno dei grandi con i quali ho trascorso un buon lasso di tempo è Chick Corea, ma ho anche suonato per molti anni con Wayne Shorter, ed un bel po' di tempo l'ho anche passato con Roccella 2005Herbie Hancock: quindi Chick, Wayne and Herbie! Sai, ho lavorato con Chick per diversi anni, ho anche lavorato con Wayne nel corso degli anni, l'ho incontrato e abbiamo cominciato a suonare insieme nell'87 e negli ultimi tre anni abbiamo girato molto in vari concerti. È molto importante per il mio sviluppo come musicista, credo, specie di recente. Chick è stato anche lui molto importante, ha prodotto il mio primo disco [John Patitucci, 1988, n.d.r.], registrato nel 1987. Ho anche suonato con Victor Feldman, Freddie Hubbard… E ho appreso svariati aspetti relativi alla musica.

A.T.: Di chi vuoi raccontare, qualcosa, un aneddoto?
J.P.: Con Chick la bella esperienza è stata che mi ha portato in giro per il mondo, ha reso la mia carriera internazionale: potevo immaginarne una locale, o al massimo nazionale, avevo già un po' di registrazioni al mio attivo. E anche con Wayne, è un vero musicista, una specie di genio. Come Chick, lui ha contribuito parecchio alla musica jazz con le composizioni, non soltanto suonando. Quindi, a mio avviso Wayne è davvero speciale. È difficile parlare di questi ragazzi, perché sono molti i modi in cui sono stato influenzato e forgiato da loro. Potrei parlare davvero a lungo di ognuno di loro.

A.T.: La tua famiglia, tua moglie, sono importanti per la tua musica?
J.P.: Incredibilmente importanti, intanto per la mia fede, il mio essere Cristiano… Si pensa che Dio stia al primo posto nella tua vita, poi viene la famiglia e poi la musica. E' molto difficile talvolta tirare dritto, perché la musica è molto gelosa e vuole stare in cima, ma soltanto Dio sta in quella posizione e poi la famiglia. Mia moglie Sachi è anche lei una musicista, davvero brava, suona il violoncello, quindi capisce la vita di un artista e cosa significhi.

A.T.: Qualche tempo fa avete avuto qualche problema in famiglia che adesso sembra tu abbia superato: se ti va di parlarne, quanto ti ha aiutato la musica?
J.P.: Oh, va bene… Ho fede in Dio e siamo venuti fuori da quell'esperienza più forti come coppia. Il dolore ci ha rafforzato – mia moglie è anche lei credente – e dopo abbiamo avuto due bambini, così si è risolto bene alla fine, e penso di essere stato capace di trasformare l'aspetto difficile in una cosa grandiosa, rendendoci più forti come coppia. Penso che fossimo molto vicini dall'inizio, ma ne siamo usciti fuori ancora più vicini quando abbiamo dovuto combattere per avere altri bambini, sai. E così, mi sento molto devoto a mia moglie, lei mi è molto devota ed entrambi lo siamo nei confronti di Dio, naturalmente, e verso i nostri bambini, le nostre figlie! Questo è il motivo per cui la cosa più importante che possiamo fare è provare a dare ai nostri bambini il meglio che possiamo dare ed insegnare loro…

A.T.: Quindi condividi tante cose della tua vita con tua moglie: la musica, il fatto d'essere credenti…
J.P.: Sicuro! E le mie figlie stanno diventando anche loro musiciste… Una volta mia figlia stava al telefono e le chiedo: Roccella 2005"Ma con chi stai parlando?" – E lei: "Oh è Wayne!" e mi dà il telefono ed era Wayne Shorter! Era una ragazzina, veniva ai tour, andavamo tutti insieme con Roy Haynes, ha conosciuto Chick Corea quando era una bimbetta…

A.T.: Che strumento suona?
J.P.: La piccola il piano, balla, canta…

A.T.: C'è stato un periodo nella tua carriera in cui hai avuto una certa influenza brasiliana: a cosa era dovuta? La necessità di esprimere te stesso, la tua musica e magari il modo di suonare il basso?
J.P.: Più semplicemente, quando avevo diciannove/vent'anni, nel 1979, ho cominciato a suonare con Airto Moreira e Flora Purim, e allora stavo nella loro band, e sono stati molto cari con me, mi hanno insegnato a suonare la musica brasiliana, specialmente Airto. E poi ho anche suonato con Oscar Castro Neves, il chitarrista brasiliano, che vive a Los Angeles, ed anche con Claudio Slon, il loro batterista, che adesso è morto ma era un grande batterista brasiliano… Dori Caymmi, e poi ho conosciuto Bevan Manson, Joao Bosco e vari artisti. Ho cominciato davvero a suonare con un bel po' di musicisti.

A.T.: Così, s'è trattato di qualcosa avvenuta…
J.P.: …avvenuta perché mi andava: quando ascoltavo Airto, l'ho conosciuto tramite Chick, mi piaceva e sono andato a prendere i suoi dischi, negli anni '70, m'interessavano e pensavo: "Wow, va alla grande, di che si tratta?" Era un grande insegnante di quel genere, lo intendeva davvero benissimo, era in contatto con i geni della musica brasiliana, molto legato a Hermeto Pascoal ….meraviglioso!

A.T.: Per un bassista è molto importante suonare con un buon batterista: fra i grandi batteristi con i quali hai suonato, chi consideri il massimo, o quello con cui hai sentito di abbinarti meglio, per il tuo modo di suonare?
J.P.: Non penso di poter indicarne uno, perché sono stato molto fortunato a suonare con molti batteristi che suonano ai più alti livelli, sai. photo by Antonio Terzo (Jazz al Metropolitan, 2003)Volendo palare di adesso, sono impegnato a suonare con Wayne e ho suonato molto con Brian Blade, per otto anni, e lui è incredibile! E per diversi anni ho suonato con Dave Weckl anche, e Vinnie Colaiuta, Roy Haynes, che è il "nonno" di tutti. Ho suonato un po' con Tony Williams. Non ho invece mai suonato con Elvin [Jones, n.d.r.]. Anche questo giovane che ho in questo momento, Francisco Mela, molto bravo, e anche grandi come [Horacio,n.d.r.] "El Negro" Hernandez, e gente come i ragazzi brasiliani, quali Duduka De Fonseca il batterista brasiliano, Paulo Braga, Giovanni Hidalgo il grande "conguero", Lewis Nash, Bill Stewart, mi piace Jeff "Twain" Watts… Ci sono così tanti ragazzi che mi piacciono, con cui suonerei, così tanti che è difficile sceglierne uno. Anche perché hanno stili molto diversi…

A.T.: Hai parlato di Roy Haynes con il quale hai suonato nel 2000, nel trio con Danilo Perez: cosa puoi dire di quell'esperienza in trio?
J.P.: Lui è stato estremamente importante per me, perché gli ho sempre detto che è "la storia ambulante del jazz in un solo uomo"! Perché ha suonato con tutti, da Louis Armstrong fino ad adesso, e nessuno ha fatto tanto quanto lui: incredibile! Sotto l'aspetto storico, lui è il batterista più importante con cui ho suonato: ecco perché rappresenta l'intera storia del jazz in un unico uomo!

A.T.: Com'è che hai scelto il basso elettrico a sei corde accanto al contrabbasso acustico?
J.P.: Quando stavo cominciando a suonare il basso, da giovane, ho cominciato con il basso elettrico, avevo più o meno dieci anni, e soltanto dopo ho preso a suonare quello acustico, a circa quattordici/quindici anni: così, per la maggior parte della mia vita ho suonato entrambi, e mi piacevano parecchio. Sembra che chi ascolta la mia musica preferisca uno all'altro: ad alcuni dei miei fans giovani piacerebbe che suonassi il basso elettrico per tutto il concerto, e poi ho jazz fans cui piacerebbe ascoltare solo il basso acustico per tutto il concerto.

A.T.: D'accordo, questo per quanto riguarda i fans; e per quanto riguarda te, quale ti permette di esprimerti meglio?
J.P.: Mi piacciono entrambi, e li suono tutt'e due. Dipende dal pezzo: voi dite "specifica di brano"! [in italiano, n.d.r.]. Se un brano è in un modo e ascolto il basso, è un trasporto emozionale. Talvolta in un contesto musicale, mi piace mischiare e prendo il basso che ho usato la sera precedente e dico "Bello, ma forse stasera suonerò l'altro!", così posso offrire al pubblico entrambe le prove ed esso può ascoltare pure suoni differenti.

A.T.: Forse il basso acustico suona più "jazzistico", più jazz insomma…
J.P.: Ma anche quello elettrico lo suono da musicista jazz. Non sono in molti i musicisti jazz che suonano il basso elettrico, no davvero: Steve Swallow, che lo approccia in modo jazz, storicamente. Ci sono pochi musicisti, ma tanti altri che invece non lo fanno. Quando suoni il basso elettrico, molti si immaginano qualcosa di diverso dal jazz…

A.T.: Un rapido excursus della tua attività negli anni più recenti: dopo il tour europeo di Songs, Stories and Spirituals, l'ultimo disco a tuo nome in ordine di tempo, hai registrato con Hank Jones nel 2004, fatto parte del tour estivo europeo di "reunion" con Chick Corea, hai registrato sul disco di Michael Brecker, Wide Angels, che ha pure vinto un Grammy Award, hai lavorato con Kenny Barron e la Hall Orchestra di Detroit, con Herbie Hancock nel suo ultimo album non ancora uscito, con il trio di John Scofield nonché con Roy Haynes per Birds of a Feather. Infine, sei stato richiamato da Wayne Shorter per il suo "Footprints Live!" E adesso sul suo live "Beyond the Sound Barrier". Come è stato che Shorter ti ha voluto ancora per suonare e registrare su questi suoi cd dal vivo?
J.P.: Beh, lo conosco da quasi vent'anni, ho suonato con lui in lungo e in largo per molti anni. Penso che far parte di un gruppo così rinomato sia per me una benedizione, è come una famiglia: il gruppo più importante di cui abbia mai fatto parte, nel quale ognuno ha una uguale voce nella musica…

A.T.: Cambiamo argomento. Alcuni ti ritengono l'erede di Jaco Pastorius: che ne pensi?
J.P.: "Non lo so, ma" [in italiano, n.d.r.] adoro il suo modo di suonare… Secondo me, ha dato un grosso contribuito come compositore. Era "normalmente grande" come musicista, ma ritengo che il suo modo di comporre fosse bello, la sua musica mi toccava, profondamente. Anche se non penso che io suoni come lui, è differente. Non è affatto necessario suonare come lui… Certuni vanno alla ricerca di collegamenti storici, forse, davvero non so…

A.T.: Come ti senti come compositore?
J.P.: Amo scrivere musica, scrivo da quando avevo vent'anni. Ho anche composto per delle raccolte, ho scritto per quintetti d'archi, ma anche per quartetti, brani per oboe e quartetto d'archi. Ho scritto molte composizioni nel corso degli anni. C'è una raccolta di un gruppo da camera italiano, di molti anni or sono, in cui ho scritto per basso a sei corde ed orchestra da camera, un'orchestra d'archi, e inizialmente è stata eseguita da un gruppo chiamato "Suono e Oltre", una piccola orchestra da camere di Pescara, poi è stato suonato anche con la New Japan Philarmonic. Ma recentemente ho scritto un brano per un quartetto d'archi di New York chiamato "Elements", un progetto speciale: essi hanno fatto questo progetto speciale anche con una coppia di compositori americani, John Corigliano e David Del Tredici. Hanno chiesto a circa dieci/quindici compositori di scrivere dei brani speciali per quartetto d'archi basati su delle fotografie e lo hanno chiesto anche a me, ed io sono stato molto sorpreso e molto felice. Ho scelto una foto di mia madre, che è morta qualche anno fa, nella quale era ancora giovane, una bella foto in cui lei assomiglia… era molto italiana e sembra come se stesse in un campo di Napoli o qualcosa di simile…

A.T.: Alle sue origini il jazz comincia come combinazione di culture differenti; sei d'accordo con questa affermazione?
J.P.: Sì, penso che l'esperienza africana è stata portata in America e anche ovunque. Purtroppo si trattava di schiavi e venivano presi da Cuba o dal Brasile. Ma ovunque essi andassero, influenzavano la musica in modo meraviglioso. È stupefacente, davvero, il modo in cui quella terribile esperienza è divenuta quella incredibile musica. Questo è stato molto importante, e anche nella chiesa africano-americana, l'esperienza gospel. Poi, la fusione delle armonie provenienti dall'Europa con i ritmi provenienti dall'Africa, ed il blues, e tutto quello che è avvenuto lo ha reso una forma molto interessante.

A.T.: Quindi cosa pensi quando senti parlare di "jazz puro": è possibile oggi?
J.P.: Non so, è difficile… Perché io penso che il jazz sia sempre stato evolutivo, è una stratificazione di differenti elementi, motivi di spettacolo, musiche popolari, ed il jazz ha incorporato tutto ciò …

A.T.: Come insegnante, cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti al di là di note, ritmo, stile e via discorrendo?
J.P.: Cerco di infondere loro la passione a l'amore per la musica, un legame emotivo con la musica, che può avvenire solo se essi si immergono nella musica, ascoltando, andando a sentire musica dal vivo, sviluppando una connessione, c'è un interruttore con le emozioni, e questo è estremamente importante. Ed anche essere di mentalità aperta, imparare differenti stili di musica, e guardare la musica come una corsa a lunga distanza, non una corsa di scatto: si impara sempre, è un lungo viaggio.

A.T.: Cosa deve avere un giovane musicista per diventare un buon jazzista, oggi?
J.P.: Deve possedere un buon senso della storia: occorre che i giovani ascoltino musica, vadano indietro a verificare da dove viene la musica, sia che essi partano da Louis Armstrong e procedano in avanti, sia che comincino con i più moderni e tornino indietro, devono comunque ascoltare davvero tanto per diventare consapevoli, perché è elettrizzante ed illuminante. Ma il modo per acquisire conoscenze connesse alla musica è ascoltare quanto più possibile. Andare a seguire musica dal vivo è molto importante per comprendere come i musicisti comunicano attraverso il modo in cui si concentrano sull'obiettivo. Questo è quello che mi eccitava quando ero giovane: andare a vedere i musicisti dal vivo… Non soltanto dischi, anche se sono pure questi eccitanti, ma sono un'altra cosa!

A.T.: Tu sei nato a Brooklyn, New York, un ottimo posto per un musicista jazz, il centro del mondo jazz: ritieni che un giovane musicista debba venire a New York per la sua crescita musicale, la sua esperienza, la pratica?
J.P.: Penso che sia difficile evitarlo!! Perché ci sono così tanti musicisti che parlano il proprio linguaggio, tanti musicisti che stanno cercando di essere creativi, a loro modo, nel loro genere di musica. C'è molto più supporto in cifre a New York che altrove, c'è tanta gente che cerca di praticare il jazz, gente che viene da tutto il mondo…

A.T.: Qualche musicista italiano che apprezzi in particolare? Qualcuno che segui con interesse…
J.P.: Molti. Mi piacciono Enrico Pieranunzi, Stefano Di Battista, Enrico Rava, Roberto Gatto. Fra i bassisti penso a due: Furio Di Castri e Giovanni Tommaso. Ed il bassista che suonava con Stefano Di Battista, un paio d'anni fa… molto molto bravo… Ma non ne ricordo il nome …!

A.T.: L'ultima domanda riguarda un progetto che ti sta particolarmente a cuore, quello del trio-guitar a tuo nome: si tratta di un trio in cui il chitarrista è Adam Rogers, ma il batterista varia di volta in volta. Chi sarà dunque il prossimo drummer e cosa avete in cantiere?
J.P.: Il prossimo sarà Brian Blade, insieme al quale con Adam Rogers abbiamo pianificato la registrazione di un nuovo disco, in febbraio.







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COMMENTI
Inserito il 20/5/2010 alle 20.03.31 da "ernestora"
Commento:
Patitucci è un grandioso musicista al basso elettrico ma SOPRATTUTTO AL CONTRABBASSO mi fa letteralmente vibrare. La sua maturità stilistica col CB esce completamente fuori, mi piace raccontare un piccolo episodio. Era al Teatro Olimpico da Roma un pò d'anni fa in turnee col Weckl, in pratica l'ACOUSTICK BAND,io avevo lasciato, con un mio amico,il mio posto su in" piccionaia" e stavamo appoggiati in piedi al palcoscenico,il momento fatidico è stato quando John si è prodotto in un assolo col CB come solo lui sa fare,in pratica un brano nel brano, circolare,inizio-sviluppo-finale d'assolo senza forzature stilistiche tanta passione e cantabile da morire,un pò come Pat Metheny che fa il massimo essendo sempre piacevolissimo...insomma finisce il brano, scoppia l'applauso,io rimango"mezzo metro da terra" in una sorta di divinazione,guardandolo direttamente negi occhi!!! MA QUELLO CHE SUCCEDE E' CHE ANCHE LUI IN MEZZO AL FRAGORE DEGLI APPLAUSI MI FISSA NEGLI OCCHI, METTE GIU'IL CONTRABBASSO E FA QUEI SETTE METRI CIRCA VERSO DI ME E MI VIENE A DARE LA MANO!!!!!!!!!!!!!!!Ecco qual'è la sensibilità di un artista del genere,non dimentico un momento così.Al basso elettrico è altrettanto mostruoso ma ha un suono troppo cristallino anche perchè usa 6 corde,grande grande l'anima latina è una garanzia, grazie e scusate la prolissità del racconto, ma è stata una cosa unica! saluti Ernesto Ranfi
 


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Data pubblicazione: 21/01/2006

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