Ciascuno di essi, davvero. Penso che
uno dei grandi con i quali ho trascorso un buon lasso di tempo è
Chick Corea,
ma ho anche suonato per molti anni con
Wayne Shorter, ed un bel po' di tempo l'ho anche passato con
Herbie
Hancock: quindi Chick, Wayne and Herbie! Sai, ho lavorato con Chick
per diversi anni, ho anche lavorato con Wayne nel corso degli anni, l'ho incontrato
e abbiamo cominciato a suonare insieme nell'87
e negli ultimi tre anni abbiamo girato molto in vari concerti. È molto importante
per il mio sviluppo come musicista, credo, specie di recente. Chick è stato anche
lui molto importante, ha prodotto il mio primo disco [John
Patitucci, 1988, n.d.r.], registrato
nel 1987. Ho anche suonato con Victor Feldman,
Freddie Hubbard… E ho appreso svariati aspetti relativi alla musica.
A.T.: Di chi vuoi raccontare,
qualcosa, un aneddoto?
J.P.: Con Chick la bella
esperienza è stata che mi ha portato in giro per il mondo, ha reso la mia carriera
internazionale: potevo immaginarne una locale, o al massimo nazionale, avevo già
un po' di registrazioni al mio attivo. E anche con Wayne, è un vero musicista, una
specie di genio. Come Chick, lui ha contribuito parecchio alla musica jazz con le
composizioni, non soltanto suonando. Quindi, a mio avviso Wayne è davvero speciale.
È difficile parlare di questi ragazzi, perché sono molti i modi in cui sono stato
influenzato e forgiato da loro. Potrei parlare davvero a lungo di ognuno di loro.
A.T.: La tua famiglia,
tua moglie, sono importanti per la tua musica?
J.P.: Incredibilmente importanti,
intanto per la mia fede, il mio essere Cristiano… Si pensa che Dio stia al primo
posto nella tua vita, poi viene la famiglia e poi la musica. E' molto difficile
talvolta tirare dritto, perché la musica è molto gelosa e vuole stare in cima, ma
soltanto Dio sta in quella posizione e poi la famiglia. Mia moglie Sachi è anche
lei una musicista, davvero brava, suona il violoncello, quindi capisce la vita di
un artista e cosa significhi.
A.T.: Qualche tempo fa
avete avuto qualche problema in famiglia che adesso sembra tu abbia superato: se
ti va di parlarne, quanto ti ha aiutato la musica?
J.P.: Oh, va bene… Ho fede
in Dio e siamo venuti fuori da quell'esperienza più forti come coppia. Il dolore
ci ha rafforzato – mia moglie è anche lei credente – e dopo abbiamo avuto due bambini,
così si è risolto bene alla fine, e penso di essere stato capace di trasformare
l'aspetto difficile in una cosa grandiosa, rendendoci più forti come coppia. Penso
che fossimo molto vicini dall'inizio, ma ne siamo usciti fuori ancora più vicini
quando abbiamo dovuto combattere per avere altri bambini, sai. E così, mi sento
molto devoto a mia moglie, lei mi è molto devota ed entrambi lo siamo nei confronti
di Dio, naturalmente, e verso i nostri bambini, le nostre figlie! Questo è il motivo
per cui la cosa più importante che possiamo fare è provare a dare ai nostri bambini
il meglio che possiamo dare ed insegnare loro…
A.T.: Quindi condividi
tante cose della tua vita con tua moglie: la musica, il fatto d'essere credenti…
J.P.: Sicuro! E le mie
figlie stanno diventando anche loro musiciste… Una volta mia figlia stava al telefono
e le chiedo:
"Ma
con chi stai parlando?" – E lei: "Oh è Wayne!" e mi dà il telefono ed era
Wayne Shorter! Era una ragazzina, veniva ai tour, andavamo tutti insieme
con Roy Haynes, ha conosciuto
Chick Corea
quando era una bimbetta…
A.T.: Che strumento suona?
J.P.: La piccola il piano,
balla, canta…
A.T.: C'è stato un periodo
nella tua carriera in cui hai avuto una certa influenza brasiliana: a cosa era dovuta?
La necessità di esprimere te stesso, la tua musica e magari il modo di suonare il
basso?
J.P.: Più semplicemente,
quando avevo diciannove/vent'anni, nel 1979,
ho cominciato a suonare con Airto Moreira e Flora Purim, e allora
stavo nella loro band, e sono stati molto cari con me, mi hanno insegnato a suonare
la musica brasiliana, specialmente Airto. E poi ho anche suonato con Oscar Castro
Neves, il chitarrista brasiliano, che vive a Los Angeles, ed anche con Claudio
Slon, il loro batterista, che adesso è morto ma era un grande batterista brasiliano…
Dori Caymmi, e poi ho conosciuto Bevan Manson, Joao Bosco e
vari artisti. Ho cominciato davvero a suonare con un bel po' di musicisti.
A.T.: Così, s'è trattato
di qualcosa avvenuta…
J.P.: …avvenuta perché
mi andava: quando ascoltavo Airto, l'ho conosciuto tramite Chick, mi piaceva e sono
andato a prendere i suoi dischi, negli anni '70,
m'interessavano e pensavo: "Wow, va alla grande, di che si tratta?" Era un
grande insegnante di quel genere, lo intendeva davvero benissimo, era in contatto
con i geni della musica brasiliana, molto legato a Hermeto Pascoal ….meraviglioso!
A.T.: Per un bassista
è molto importante suonare con un buon batterista: fra i grandi batteristi con i
quali hai suonato, chi consideri il massimo, o quello con cui hai sentito di abbinarti
meglio, per il tuo modo di suonare?
J.P.: Non penso di poter
indicarne uno, perché sono stato molto fortunato a suonare con molti batteristi
che suonano ai più alti livelli, sai.
Volendo
palare di adesso, sono impegnato a suonare con Wayne e ho suonato molto con
Brian Blade, per otto anni, e lui è incredibile! E per diversi anni
ho suonato con Dave Weckl anche, e Vinnie Colaiuta, Roy Haynes,
che è il "nonno" di tutti. Ho suonato un po' con Tony Williams. Non ho invece
mai suonato con Elvin [Jones, n.d.r.]. Anche questo giovane che ho
in questo momento, Francisco Mela, molto bravo, e anche grandi come [Horacio,n.d.r.]
"El Negro" Hernandez, e gente come i ragazzi brasiliani, quali Duduka
De Fonseca il batterista brasiliano, Paulo Braga, Giovanni Hidalgo
il grande "conguero", Lewis Nash, Bill Stewart, mi piace Jeff "Twain"
Watts… Ci sono così tanti ragazzi che mi piacciono, con cui suonerei, così tanti
che è difficile sceglierne uno. Anche perché hanno stili molto diversi…
A.T.: Hai parlato di
Roy Haynes con il quale hai suonato nel 2000,
nel trio con
Danilo Perez: cosa puoi dire di quell'esperienza in trio?
J.P.: Lui è stato estremamente
importante per me, perché gli ho sempre detto che è "la storia ambulante del
jazz in un solo uomo"! Perché ha suonato con tutti, da
Louis Armstrong
fino ad adesso, e nessuno ha fatto tanto quanto lui: incredibile! Sotto l'aspetto
storico, lui è il batterista più importante con cui ho suonato: ecco perché rappresenta
l'intera storia del jazz in un unico uomo!
A.T.: Com'è che hai scelto
il basso elettrico a sei corde accanto al contrabbasso acustico?
J.P.: Quando stavo cominciando
a suonare il basso, da giovane, ho cominciato con il basso elettrico, avevo più
o meno dieci anni, e soltanto dopo ho preso a suonare quello acustico, a circa quattordici/quindici
anni: così, per la maggior parte della mia vita ho suonato entrambi, e mi piacevano
parecchio. Sembra che chi ascolta la mia musica preferisca uno all'altro: ad alcuni
dei miei fans giovani piacerebbe che suonassi il basso elettrico per tutto il concerto,
e poi ho jazz fans cui piacerebbe ascoltare solo il basso acustico per tutto il
concerto.
A.T.: D'accordo, questo
per quanto riguarda i fans; e per quanto riguarda te, quale ti permette di esprimerti
meglio?
J.P.: Mi piacciono entrambi,
e li suono tutt'e due. Dipende dal pezzo: voi dite "specifica di brano"! [in
italiano, n.d.r.]. Se un brano è in un modo e ascolto il basso, è un trasporto
emozionale. Talvolta in un contesto musicale, mi piace mischiare e prendo il basso
che ho usato la sera precedente e dico "Bello, ma forse stasera suonerò l'altro!",
così posso offrire al pubblico entrambe le prove ed esso può ascoltare pure suoni
differenti.
A.T.: Forse il basso
acustico suona più "jazzistico", più jazz insomma…
J.P.: Ma anche quello elettrico
lo suono da musicista jazz. Non sono in molti i musicisti jazz che suonano il basso
elettrico, no davvero: Steve Swallow, che lo approccia in modo jazz, storicamente.
Ci sono pochi musicisti, ma tanti altri che invece non lo fanno. Quando suoni il
basso elettrico, molti si immaginano qualcosa di diverso dal jazz…
A.T.: Un rapido excursus
della tua attività negli anni più recenti: dopo il tour europeo di Songs, Stories
and Spirituals, l'ultimo disco a tuo nome in ordine di tempo, hai registrato con
Hank Jones nel 2004, fatto parte del
tour estivo europeo di "reunion" con
Chick Corea,
hai registrato sul disco di
Michael Brecker,
Wide Angels, che ha pure vinto un Grammy Award, hai lavorato con Kenny Barron
e la Hall Orchestra di Detroit, con
Herbie
Hancock nel suo ultimo album non ancora uscito,
con il trio di
John Scofield nonché con Roy Haynes per Birds of a Feather.
Infine, sei stato richiamato da
Wayne
Shorter per il suo "Footprints Live!" E adesso sul suo live "Beyond
the Sound Barrier". Come è stato che Shorter ti ha voluto ancora per suonare e registrare
su questi suoi cd dal vivo?
J.P.: Beh, lo conosco da
quasi vent'anni, ho suonato con lui in lungo e in largo per molti anni. Penso che
far parte di un gruppo così rinomato sia per me una benedizione, è come una famiglia:
il gruppo più importante di cui abbia mai fatto parte, nel quale ognuno ha una uguale
voce nella musica…
A.T.: Cambiamo argomento.
Alcuni ti ritengono l'erede di
Jaco Pastorius:
che ne pensi?
J.P.: "Non lo so, ma"
[in italiano, n.d.r.] adoro il suo modo di suonare… Secondo me, ha dato un
grosso contribuito come compositore. Era "normalmente grande" come musicista, ma
ritengo che il suo modo di comporre fosse bello, la sua musica mi toccava, profondamente.
Anche se non penso che io suoni come lui, è differente. Non è affatto necessario
suonare come lui… Certuni vanno alla ricerca di collegamenti storici, forse, davvero
non so…
A.T.: Come ti senti come
compositore?
J.P.: Amo scrivere musica,
scrivo da quando avevo vent'anni. Ho anche composto per delle raccolte, ho scritto
per quintetti d'archi, ma anche per quartetti, brani per oboe e quartetto d'archi.
Ho scritto molte composizioni nel corso degli anni. C'è una raccolta di un gruppo
da camera italiano, di molti anni or sono, in cui ho scritto per basso a sei corde
ed orchestra da camera, un'orchestra d'archi, e inizialmente è stata eseguita da
un gruppo chiamato "Suono e Oltre", una piccola orchestra da camere di Pescara,
poi è stato suonato anche con la New Japan Philarmonic. Ma recentemente ho scritto
un brano per un quartetto d'archi di New York chiamato "Elements", un progetto speciale:
essi hanno fatto questo progetto speciale anche con una coppia di compositori americani,
John Corigliano e David Del Tredici. Hanno chiesto a circa dieci/quindici
compositori di scrivere dei brani speciali per quartetto d'archi basati su delle
fotografie e lo hanno chiesto anche a me, ed io sono stato molto sorpreso e molto
felice. Ho scelto una foto di mia madre, che è morta qualche anno fa, nella quale
era ancora giovane, una bella foto in cui lei assomiglia… era molto italiana e sembra
come se stesse in un campo di Napoli o qualcosa di simile…
A.T.: Alle sue origini
il jazz comincia come combinazione di culture differenti; sei d'accordo con questa
affermazione?
J.P.: Sì, penso che l'esperienza
africana è stata portata in America e anche ovunque. Purtroppo si trattava di schiavi
e venivano presi da Cuba o dal Brasile. Ma ovunque essi andassero, influenzavano
la musica in modo meraviglioso. È stupefacente, davvero, il modo in cui quella terribile
esperienza è divenuta quella incredibile musica. Questo è stato molto importante,
e anche nella chiesa africano-americana,
l'esperienza
gospel. Poi, la fusione delle armonie provenienti dall'Europa con i ritmi provenienti
dall'Africa, ed il blues, e tutto quello che è avvenuto lo ha reso una forma molto
interessante.
A.T.: Quindi cosa pensi
quando senti parlare di "jazz puro": è possibile oggi?
J.P.: Non so, è difficile…
Perché io penso che il jazz sia sempre stato evolutivo, è una stratificazione di
differenti elementi, motivi di spettacolo, musiche popolari, ed il jazz ha incorporato
tutto ciò …
A.T.: Come insegnante,
cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti al di là di note, ritmo, stile e via
discorrendo?
J.P.: Cerco di infondere
loro la passione a l'amore per la musica, un legame emotivo con la musica, che può
avvenire solo se essi si immergono nella musica, ascoltando, andando a sentire musica
dal vivo, sviluppando una connessione, c'è un interruttore con le emozioni, e questo
è estremamente importante. Ed anche essere di mentalità aperta, imparare differenti
stili di musica, e guardare la musica come una corsa a lunga distanza, non una corsa
di scatto: si impara sempre, è un lungo viaggio.
A.T.: Cosa deve avere
un giovane musicista per diventare un buon jazzista, oggi?
J.P.: Deve possedere un
buon senso della storia: occorre che i giovani ascoltino musica, vadano indietro
a verificare da dove viene la musica, sia che essi partano da
Louis Armstrong
e procedano in avanti, sia che comincino con i più moderni e tornino indietro, devono
comunque ascoltare davvero tanto per diventare consapevoli, perché è elettrizzante
ed illuminante. Ma il modo per acquisire conoscenze connesse alla musica è ascoltare
quanto più possibile. Andare a seguire musica dal vivo è molto importante per comprendere
come i musicisti comunicano attraverso il modo in cui si concentrano sull'obiettivo.
Questo è quello che mi eccitava quando ero giovane: andare a vedere i musicisti
dal vivo… Non soltanto dischi, anche se sono pure questi eccitanti, ma sono un'altra
cosa!
A.T.: Tu sei nato a Brooklyn,
New York, un ottimo posto per un musicista jazz, il centro del mondo jazz: ritieni
che un giovane musicista debba venire a New York per la sua crescita musicale, la
sua esperienza, la pratica?
J.P.: Penso che sia difficile
evitarlo!! Perché ci sono così tanti musicisti che parlano il proprio linguaggio,
tanti musicisti che stanno cercando di essere creativi, a loro modo, nel loro genere
di musica. C'è molto più supporto in cifre a New York che altrove, c'è tanta gente
che cerca di praticare il jazz, gente che viene da tutto il mondo…
A.T.: Qualche musicista
italiano che apprezzi in particolare? Qualcuno che segui con interesse…
J.P.: Molti. Mi piacciono
Enrico
Pieranunzi,
Stefano
Di Battista,
Enrico Rava,
Roberto
Gatto. Fra i bassisti penso a due:
Furio Di Castri
e Giovanni Tommaso. Ed il bassista che suonava con
Stefano
Di Battista, un paio d'anni fa… molto molto bravo… Ma non ne ricordo il
nome …!
A.T.: L'ultima domanda
riguarda un progetto che ti sta particolarmente a cuore, quello del trio-guitar
a tuo nome: si tratta di un trio in cui il chitarrista è Adam Rogers, ma
il batterista varia di volta in volta. Chi sarà dunque il prossimo drummer e cosa
avete in cantiere?
J.P.: Il prossimo sarà
Brian Blade, insieme al quale con Adam Rogers abbiamo pianificato
la registrazione di un nuovo disco, in febbraio.