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Remebering Butch Morris...
Foto e testo di Gianmichele Taormina

Il Primo ricordo personale di Butch Morris è quello di una persona seria, profondamente legata al suo lavoro, estremamente disponibile ad ogni confronto e dialogo col pubblico, con gli appassionati, con la critica.

Era il 1999 quando lo incontrai per la prima volta al festival jazz "Rumori Mediterranei" di Roccella Jonica. Butch mi concesse ospitalità dentro questa aula bollente invasa dalla violenta calura che caratterizza da sempre le estati concertistiche roccellesi. In fondo ad un angolo seguivo le prove dell'orchestra formata da validi giovani musicisti provenienti dall'area della musica classica e gli innesti di jazzisti oramai navigati come Enzo Rocco, già da qualche tempo chitarrista al fianco di Carlo Actis Dato.



I movimenti della conduction di Butch, plastici, leggiadri, estatici, di tanto in tanto si bloccavano nell'approfondimento e nell'analisi dettagliata dei passaggi affrontati dall'orchestra. Morris si arrabbiava. Si adirava avendone motivo, su una nota fuori posto, su di un passaggio forse irregolare che nessuno, nemmeno i loro interpreti, riuscivano ad individuare concretamente, cercando di comprenderne il perché.

Morris era fatto così: spiegava in ogni suo dettaglio la propria legge fisica, la traduzione gesticolare delle proprie strutture. Spesso impiegava giorni – tre o cinque – soltanto per far entrare i propri musicisti nel vivo dei suoi contenuti filosofici. Diceva che era più importante parlare dei propri concetti prima che agire con la musica.

Ed ecco che il suo volto si infervorava. Il suo sangue evidente, ribolliva su tutto il corpo e l'espressione illuminata esplodeva in tutta la sua forza, in tutta la sua energia, in quella sua capacità di comunicare e di sottolineare, sempre a gesti, la necessità delle proprie argomentazioni. Gli occhi prendevano fuoco. Le vene e i muscoli delle braccia quasi emergevano evidenti dalla pelle. Butch dirigeva un'orchestra anche quando parlava... Rimeditava addirittura le proprie frasi, anche con pause definite, a marcare ciò che un attimo dopo avrebbe espresso proprio come un silenzio tra una pagina e un'altra di un suo arrangiamento.

L'ho ritrovato così ancor più energico e motivato, saggio e ironico quando lo riteneva, nel corso del triennio 2006-2008 ospite a Sant'Anna Arresi in Sardegna per il festival Ai Confini tra Sardegna e Jazz.

Si usciva insieme la sera, si assisteva comodamente ai concerti sorseggiando sempre con qualcosa da bere in mano, oppure si andava al mare di buon mattino, presso certe calette irraggiungibili a strapiombo su scogliere nascoste dalla statale. Luoghi in un primo momento apparentemente anonimi ma che Butch conosceva molto bene per la frequenza e l'affetto che lo legava al festival sardo ma soprattutto alle persone che ne realizzavano il cartellone. Si. Butch si dimostrava anche amicone e cordiale con chi lo avvicinava al bar condividendo qualche buon bicchiere di vino o al ristorante mangiando del pesce appena pescato.
Gli argomenti che esternava erano trai più vari. Toccavano la politica e il disarmo, il razzismo e la poesia. Oppure incuriosito chiedeva lui sullo stato e la condizione del mostro Paese.

Anche le notti del dopo concerto, si trascorrevano così. Discutendo animosamente di certi colleghi americani dei quali per correttezza non diceva il nome che nei tempi passati criticarono le sue scelte, tra le quali quella di abbandonare la tromba per le proprie idee compositive o di essere troppo rigido nella propria visione personale riguardo la sua musica rischiando spesso l'incomprensione anche da parte degli addetti ai lavori. Ribadiva inoltre che "non si sarebbe mai prostituito davanti a compromessi che altri musicisti hanno vergognosamente accettato".
Non era un suo vanto ma ci teneva a sottolineare, quando poteva, questo suo tipo di integrità.

Butch in Sardegna amava avventurarsi a piedi effettuando un percorso lunghissimo di quasi un'ora che andava dalla spiaggia di Porto Pino, nei pressi della quale si svolgevano le prove delle sue conduction, fin sopra al paesino, raggiungendo infine il palco dove si svolgeva il festival di Sant'Anna Arresi. Diceva che pur non separandosi mai dai suoi toscani, era comunque salutare compiere questo gesto quotidiano che lo riconnetteva col mondo, con la natura.

L'intervista concessa al sottoscritto nell'estate del 2008 che qui potete leggere è il frutto di una lunghissima disquisizione durata ben due ore sulla sua conduction. Il suo sogno era quello di pubblicare un libro rappresentativo ed esplicativo delle proprie concezioni portate avanti in più di trent'anni di studio e di scrittura profonda del proprio materiale.
Purtroppo attualmente l'uscita del volume "Conduction Workbook" di cui ampliamente si parla nell'intervista, non ha visto ancora la luce per la complessità dell'opera e per le molteplici rivisitazioni che lo stesso Morris operava nella continua ottimizzazione del progetto.
Il lavoro di un'intera vita che non si sa bene se abbia subito uno stop considerata la scomparsa del Maestro ma che ci auspichiamo sia presto edito negli States e in contemporanea anche in Italia grazie all'accurata traduzione di Daniela Veronesi.

Ci piace comunque pensare che Butch Morris sia stato un innovatore puro. Uno di quelli che mai scese a compromessi di qualsiasi sorta. E questo non perché lo ha decretato la Penguine Guide to Jazz o qualche raro lungimirante articolo di trent'anni fa uscito per Down Beat.

Butch, seguendo il suo affascinante istinto e il pericoloso gusto del rischio, ha mosso con passione e infaticabile dedizione un originalissimo linguaggio che a compimento di un lavoro quaratennale riteneva ancora perfettibile e mutabile di variazioni. Morris lo ha affrontato coraggiosamente infischiandosene delle correnti accomodanti che tra gli anni Settanta e questo nuovo secolo si sono susseguite nell'affollato vocabolario del jazz. A questo progetto, quello della conduction, si è dedicato con rigore e precisione indiscutibile, scegliendo accuratamente volta per volta i musicisti, i luoghi, i progetti e le intenzioni. Sfidando la propria natura con ideali irraggiungibili di bellezza e ricercatezza fino a raggiungere vette estreme difficilmente realizzate da altri compositori.

Seppur apprezzando il lavoro altrui, Butch Morris resterà nel suo ideale e inattaccabile rifugio, sempre un "non allineato" col mondo, avendo portato a compimento una preziosa parte di quello che tiene ancora in piedi lo spirito, il vortice e la rivoluzione storica della musica afroamericana.







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Data pubblicazione: 17/03/2013

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