Intervista con Fabio Morgera marzo 2015 di Achille Brunazzi
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Fabio Morgera è un trombettista di origine napoletane che ha lasciato
l'Italia – questo forse il motivo per cui il suo nome è ingiustamente meno « gettonato
» rispetto ad altri più alla « moda » nel nostro paese – per gli Stati Uniti che
sono divenuti la sua casa per lunghi anni. Contrariamente a molti musicisti italiani,
Morgera è un'artista riconosciuto e molto rispettato a New York e non solo per via
della sua lunga esperienza nella splendida band dei « Groove Collective »,
ma anche per l'attitudine a mettersi costantemente in discussione senza sé e senza
ma, misurarsi con una città – New York - che non ti regala niente e altresì per
l'autentico interesse verso la comunità afro-americana allo scopo di conoscere le
radici antropologiche del jazz e della musica black in senso più generale. In questa
intervista Morgera parla della Black American Music (BAM) – il nuovo acronimo coniato
da Nicholas Payton qualche anno orsono - approfondendone genesi socio-culturale
e musicale, della sua esperienza americana, e della direzione artistica del Festival
BAM di Bari che ha inaugurato la sua prima edizione con il concerto di Wayne
Escoffery il 5 Marzo scorso.
BAM: un acronimo creato da
Nicholas Payton qualche anno fa. Potrebbe esserci il «rischio» che si tratti
anche di un'operazione di marketing e dunque con fini commerciali ?
Ci sono perlomeno tre ragioni per adottare questa denominazione, la prima è etica,
perché restituisce la paternità della musica nera ai neri (ma guarda un po') e si
libera delle frequenti implicazioni razziste e discriminatorie dell'industria jazz;
la seconda è estetica (jazz spesso vuol dire musica senza elementi black, senza
poliritmi, senza blues, musica che non ci interessa più di tanto), e la terza è
economica perché non solo restituisce al musicista, nero o bianco o viola che sia,
la centralità' della musica e quindi anche i proventi che gli spettano, ma è anche
una questione di appeal: la denominazione Black American Music infatti, senza spiegazioni
aggiuntive, dà subito un'idea di ritmo e divertimento, e quindi invoglia e incuriosisce
i giovani, mentre la parola Jazz suona vecchia, e suggerisce loro un'idea di musica
noiosa, da ascoltare seduti su una poltroncina senza potersi muovere, proprio come
fanno gli anziani. C'è molto rispetto da parte dei giovani per questo modo di vedere
la musica, ma poca propensione ad avvicinarvisi e specialmente a pagare un biglietto
per andare ad ascoltarla.
Storicamente qual è l'origine della Black American Music
e quali ne sono stati e sono gli ambasciatori più rappresentativi ?
Basta consultare il mio approfondimento pubblicato sulla mia
pagina Facebook.
Esistono «differenze» tra la musica suonata dai neri e
quella suonata dai bianchi, accettandone la semplificazione solo da un punto di
vista didascalico?
Esistono differenze fra cultura Black e cultura Europea, cioè fra una visione Afrocentrica
e una Eurocentrica. Visto che l'Africa è la culla dell'Uomo e della civiltà, conviene
scegliere la prima. Vanno però anche studiati bene i poliritmi di derivazione Afro,
le claves, il blues ecc. Il colore della pelle è irrilevante.
Perché il periodo «elettrico» di Miles Davis fu oggetto
di critiche così feroci ? L'album «On The Corner» fu visionario, dal momento che
sembrava più un manifesto futurista al pari delle opere di Picasso del periodo cubista?
Lo fu perché il jazz guarda sempre la musica nera attraverso la lente eurocentrica,
senza capirne l'essenza.
Cosa hai imparato durante il tuo periodo – lungo – newyorkese
? Quanto è stato arduo guadagnarsi il rispetto dell'ambiente musicale – e non solo
– in una città tradizionalmente molto «dura» e che non fa sconti a nessuno ?
Durante il mio periodo newyorchese ho imparato troppe cose per raccontarle. Ma credo
che la cosa più importante è che ho conosciuto i musicisti neri da vicino suonandoci
spesso e capendo da che tipo di storia proviene questa musica. D'altronde ero partito
per questa ragione. Fino a quando non si entra nella storia e nella vita quotidiana
dei neri, non si potrà mai assorbire a fondo la loro musica. Molti sono gli italiani
che vanno a studiare in America, ma la maggior parte di loro si ritrovano a suonare
solo con ebrei, irlandesi, italoamericani, insomma con tutti tranne che con i neri.
Entrare nel mondo di questi ultimi non è facile, bisogna fare uno sforzo perché
molti possono sembrare diffidenti dei bianchi, e come si può dar loro torto? Bisogna
dimostrar loro di stare dalla loro parte perché si aprano. Già se dicono che sei
"cool" lo si può considerare un complimento. Ma quando uno come Frank Lacy
ti dice "You're Black" mentre stai suonando con lui, beh, allora puoi dire
di esserci veramente dentro. Può anche darsi che vedano me in modo più benevolo,
perché essendo diversamente abile, so di certo cosa vuol dire essere discriminato...
Non so, è una mia supposizione. Il rispetto i neri te lo danno subito, specialmente
se ti comporti bene, e dimostri di essere umile e che, insomma, ci stai provando,
tutto qui. Appena conobbi personalmente
Clark Terry,
mi invitò a suonare sul palco del Village Vanguard, e andò a finire che mi chiese
di restare per tutto l'ultimo set. lo stesso tipo di cosa mi è successo con tanti
altri. Se ci sono dei musicisti con la puzza sotto il naso a NYC, sono nell'ambiente
di Broadway o nella musica classica europea , non nella musica afroamericana.
Hai origini napoletane: quanto possono essere simili New
York e Napoli da un punto di vista artistico e musicale, soprattutto?
Poco, molto poco, NYC include tutte le culture, Napoli solo alcune. Comunque Napoli
può essere sicuramente più stimolante rispetto ad altre città italiane.
Avresti suonato nello stesso modo se non fossi vissuto
a New York così a lungo ?
No! Basta ascoltare il mio primo disco e il mio ultimo. Mi sono allontanato sempre
di più dall'estetica europea (Kenny Wheeler ad esempio, nonostante mi piaccia
sempre moltissimo) e mi sono avvicinato sempre di più a un estetica Black. Difatti
oggi quando inizio una composizione parto dal ritmo e dalle figurazioni ritmiche
della melodia
Nel tuo periodo newyorkese chi sono stati i tuoi maestri
e mentori? Donald Byrd, Roy Hargrove, Eddie Henderson, Butch Morris
Come mai (se lo hai fatto definitivamente) hai lasciato
gli Usa per l'Italia?
Questa e' una domanda che mi fanno tutti ma mi fa comunque piacere risponderti perché
qui ho il tempo di enumerarne le ragioni che sono tante. Innanzitutto devo precisare
che, avendo doppia cittadinanza (italiana e statunitense) e avendo passato la maggior
parte della mia vita negli States e la maggior parte della mia carriera musicale
a NYC, non ho assolutamente rotto i ponti e mi torna facilissimo passar lì due o
più mesi all'anno tornando a suonare nei club di sempre (Fat Cat, Smalls, Zinc Bar)
e con gli amici di sempre (Orrin Evans, Saul Rubin, Roy Hargrove,
EJ Strickland ecc. ecc. ma anche italiani come
Marco Panascia
e Gianluca Renzi).
Anzi ora è anche meglio perché riesco in pochi mesi a convergere tutte le mie attività
di musicista, produttore, collaboratore di pubblicazioni, direttore artistico, o
perfino di appassionato di strumenti di ottone o scacchista o amante di cucina esotica!
Comunque la decisione di tornare a risiedere a Firenze è maturata nel
2012 per vari motivi.
Non sono un'amante degli USA in particolare, anzi mi dà fastidio
la mentalità anglo-protestante dove si vive per lavorare, si va di fretta, e
dove l'amicizia, quando c'è, esiste solo grazie ai rapporti di lavoro. Dove
la maggior parte dei newyorchesi è egoista, single ma col cagnolino, e pensa
solo a fare carriera. Dove i musicisti sono considerati degli intrattenitori
e gli si è sempre dato una percentuale infinitesimale dei proventi di club,
ristoranti ecc. a dispetto del fatto che vivono in una città con affitti fra
i più cari del mondo. Io sono andato negli States per imparare Black Music,
e imparare il possibile dalle minoranze sfruttate, quindi non perché mi piaccia
l'America, a cui preferisco mille volte la nostra bistrattata Italia, pur se
vergognosamente razzista al pari degli USA, e corrotta anche di più.
Pur avendo già raggiunto un buon successo giovanissimo in
Italia con Gaslini, ho abbandonato una carriera sicura per andare ad abbeverarmi
alla fonte della musica afroamericana, o Black American Music. Credevo di restare
un anno, invece ne sono rimasto 30, arrivando anche ad una Grammy Nomination.
A questo punto la mia missione e ' di condividere e diffondere in Italia ciò
che ho imparato in questo lungo lasso di tempo, ma ovviamente , essendo anche
italiano, riesco a mettermi nei panni dei miei colleghi o allievi anziché comportarmi
solo da "americano".
A New York i grandi maestri sono morti quasi tutti, ed io
ho già avuto la grande soddisfazione di arrivare ad un livello per poter collaborare
con quelli nuovi, fra cui vorrei citare, oltre ad Hargrove, Evans,
JD Allen ecc. anche il grande Hector Martignon. E continuerò a
collaborare con loro.
Sono felicemente sposato con mia moglie che è Asian-American
e con un figlio piccolo che andrebbe definito Eurasian-American. Nonostante
senta più discriminazioni a Firenze che a New York, credo che l'Italia sia un
posto migliore per crescere un piccolo uomo, e vorrei tanto che diventasse uno
di quei "nuovi italiani" che salveranno l'Italia fra 20 anni..
Alla mia età sento il dovere di stare accanto a mia madre
e di darle la felicità di avere accanto il suo nipotino.
E'
corretta la critica secondo la quale attualmente l'espressività dei musicisti è
stata sacrificata sull'altare della tecnica ? Per essere « innovators » serve –
come dice Keith Jarrett – lavoro su se stessi e molto meno sullo strumento?
Sì'. La musica è molto di più di uno strumento. Una persona spirituale, con dei
valori come rispetto e amore per tutti, suonerà molto meglio di una persona egocentrica
o invidiosa. Purtroppo l'Eurocentrismo porta sempre a voler vincere e conquistare
gli altri, e in musica spesso questo si risolve in un vuoto concetto di "bravura".
La musica non respira se si ha una mentalità prevaricatrice. La visione Afrocentrica
invece vuole condividere e arrivare a più alti livelli spirituali attraverso la
musica - assieme agli altri. Ci vuole considerazione, rispetto, amore.
Del Marsalis style e pensiero applicato alla diffusione
dei classici del jazz e della musica americana cosa pensi?
Non saprei. Il Jazz ha sempre cercato di vendersi ai bianchi ricchi. Non ho un debole
per Marsalis, di cui mi sono piaciuti solo un paio di album. Comunque è stato
il primo artista in assoluto ad eccellere sia nella musica europea che in quella
afroamericana.
Parlaci della tua esperienza con la fantastica band dei
«Groove Collective» e dei tuoi progetti attuali
Proprio oggi ammiravo la medaglia che mi arrivò a casa quando fummo nominati per
un Grammy Award nel 2006 e mi sono messo a riascoltare
qualcosa della moltissima musica che abbiamo prodotto, riconoscendo i miei arrangiamenti
per fiati quasi dovunque. Se ho avuto il mio quarto d'ora di grande fama negli States
è stato con loro. Ma all'epoca me ne sbattevo, mi interessava solo studiare bebop.
I miei progetti attuali sono sempre i NYCats, con i quali suonerò a Bari e poi a
Roma e in Toscana, ma anche a NYC ad agosto. Poi molti altri, la mia Natural
Revolution Orchestra di Firenze, per cui scrivo e che dirigo utilizzando anche
la Conduction. E poi le collaborazioni che ho in Italia con Gaetano Partipilo,
con Vito Di
Modugno e
Jerry Bergonzi,
con Pietro Condorelli...Inoltre sto iniziando ad avere richieste dai conservatori
italiani per dare seminari di elementi di Black Music e Conduction, due discipline
di cui credo ci sia molto bisogno in Italia
Recentemente hai assunto la direzione artistica del BAM
Festival di Bari: cosa ti ha spinto ad accettare questo incarico e soprattutto qual'é
il progetto artistico legato al festival? Come hanno reagito i tuoi colleghi americani
al tuo invito? In ultima analisi Bari: è una delle città - a mio avviso - dove esiste
da moltissimi anni un grande feeling verso il jazz e la black music, condividi?
Sì' a Bari è una città movimentata dove ci sono molti appassionati di Black Music.
Infatti ricordo con piacere i concerti di Groove Collective al Fez di
Nicola
Conte negli anni Novanta. Già durante la stesura del suo libro "BAM,
il jazz oggi a New York", avevo informato il giornalista e autore
Nicola Gaeta delle rivoluzionarie affermazioni di Nicholas Payton, e
a convincerlo della fortissima spinta innovativa che queste avevano. Nicola è una
persona sensibile che ha colto subito l'importanza di questo nuovo movimento, inserendo
l'acronimo perfino nel titolo del libro, nonostante il libro sia principalmente
una guida alla New York musicale odierna, più che un manifesto del BAM. Tornato
in Italia, ho notato quanto molte programmazioni di festival jazz fossero piene
di noiosi duo, o comunque piene di musicisti che propongono progetti che hanno poco
o nulla a che fare con la musica nera. E così ho comunicato a Nicola Gaeta il forte
bisogno che c'è di diffondere la musica afroamericana in Italia, e magari realizzare
il mio sogno di organizzare un festival BAM, seppur senza l'aiuto di fondi pubblici.
Nicola è stato subito d'accordo, perché lui stesso è da sempre un grande amante
della black music, perfino ex Dj, ed è un uomo sorprendente dalle mille risorse...
Dopo nemmeno un giorno, mi ha chiesto di stilare una lista di artisti e un eventuale
budget perché forse c'era una possibilità.... Con la gentile collaborazione e produzione
di Michele Bisceglie, ci abbiamo provato, e dopo mille difficoltà, ora siamo pronti!
Quindi devo ringraziarli molto perché senza di loro non sarebbe successo! E' da
notare che questo è il primo festival con questa denominazione, in Europa, e credo
anche nel mondo. Gli artisti da me scelti sono i primi e più importanti esponenti
di BAM, e hanno aderito con molto piacere e belle speranze, specialmente il grandissimo
Gary Bartz, il quale ha dimostrato di essere la bellissima persona che è,
mettendosi a completa disposizione per consigli e suggerimenti.
Ai giovani italiani (e non solo) che volessero intraprendere
la carriera musicale nel jazz, quali consigli daresti ?
Il JAZZ troppo spesso non è musica afroamericana, e quando lo è, è vista attraverso
la lente eurocentrica. Se uno vuole suonare come i jazzisti italiani che vanno per
la maggiore non c'è bisogno di andare lontano, basta imitare loro. Se invece si
è interessati alla musica nera, sarebbe opportuno passare qualche anno almeno a
New York, New Orleans ecc, o anche molti anni, ma poi tornare e condividere le proprie
esperienze con gli altri, come sto cercando di fare io stesso.