Ecco un lavoro di cui prendere nota sul serio. Un lavoro che rimarrà,
senza ombra di dubbio, per molto tempo un vero punto di riferimento. Un lavoro che fornisce un reale importante contributo all'evoluzione del linguaggio musicale di matrice jazzistica ma che non ha confini e potrebbe espandersi in qualsiasi direzione.
Un lavoro pregevole da ogni punto di vista. Innanzitutto compositivo: non c'è un solo brano scontato, ogni soluzione ritmico o armonica che sia lascia sempre una dose di imprevedibilità che rende l'ascolto addirittura affascinante. Ci si ritrova immersi in un avvolgente manto sonoro in cui si scopre come la scrittura di ogni parte sia fortemente funzionale ad una globalità dapprima egregiamente pensata e poi, bisogna dirlo, magnificamente eseguita.
Un eccellente utilizzo dei fiati, i narratori delle storie, con Dario Cecchini
che, soprattutto al baritono, si interseca perfettamente con il tenore e il soprano del leader. Una sapiente cesellatura al piano, al Rhodes e alle tastiere da parte di Pino Iodice , fornisce il contorno ad ogni storia, ne disegna le scene con tutti i cambi presenti. Un apporto che ha dell'artistico, al di là dell'ambito musicale, è quello di
John Arnold che in modo quasi impercettibile aggiunge gli accenti aiutando l'ascoltatore a rimanere sempre ben saldo e attento allo svolgersi e all'evolversi della musica. In una storia non possono mancare il tempo e lo spazio e Gianluca Renzi col suo contrabbasso puntella con precisione e profondità i beat delle articolate strutture costruite da
Giammarco delimitando gli spazi in cui i solisti possono muoversi e dettando i tempi per il rientro.
Un altro fattore qui molto curato è la dinamica. Non solo i singoli musicisti fanno molta attenzione ai volumi e agli interventi misurati evitando la minima sovrapposizione ma riescono a fare degli spazi vuoti tra un suono e l'altro un vero e proprio ulteriore elemento musicale, un elemento che fornisce sospensione e che aiuta a rendere i brani quasi galleggianti, fluttuanti.
Infine, l'uso intelligente dell'elettronica presente nelle tastiere di Iodice e nei loop di
John Arnold dimostra ancora di più, se mai ce ne fosse bisogno, di come gli stilemi legati alla tradizione afroamericana non vanno più cercati nei mezzi bensì nelle intenzioni.
Un plauso a Giammarco che ha fatto dei Megatones un prosieguo di spessore al pari di ciò che furono i
Lingomania e, per certi versi, ancora di maggior pregio considerato quanto si è detto e fatto in musica.
Marco Losavio per Jazzitalia