Viggiano Jazz
2005 - I Concerti
Giacomo Aula
• Aldo Vigorito
Antonio Zambrini
Quintet
Venerdì, 19 agosto -
Cortile di Villa Sanfelice
Francesco Peluso per MMS
© MMS Mailing Music Services
2005
Aldo Vigorito e Giacomo Aula
E' ancora la Basilicata
a tener banco. La volontà di voler riproporre precedenti manifestazioni ben riuscite
e un'attenta programmazione sono state le principali motivazioni che hanno spinto
enti, associazioni, club alla proposizione di cartelloni in cui, al cospetto di
un competente ed interessato nuvolo di appassionati, si sono alternati talenti jazzistici
del panorama italiano e d'oltrealpe. Nell'area della Val d'Agri, durante alcune
serate di questo capriccioso agosto 2005, si
è tenuta la terza edizione del "Viggiano
Jazz" che, grazie alla sagace direzione artistica di
Mario Raja,
ha proposto un cast di solisti di riconosciuto spessore. La connotazione itinerante
dei concerti, la proposizione di qualificanti seminari e l'incantevole scenario
offerto dal palco centrale nelle terrazze naturali della Villa Sanfelice di Viggiano,
hanno riscosso una buona partecipazione di pubblico, che ha saputo apprezzare sia
l'impegno dell'associazione promotrice, sia la scelta degli artisti coinvolti. La
rassegna, in linea alle scorse edizioni, ha inteso seguire un duplice itinerario,
nel quale la formazione proposta nei seminari e la presenza di affermati musicisti
del nostro bel Paese, avesse una eguale valenza per i partecipanti agli incontri
agostani. Formula consolidata e scelta meditata è stata quella di riservare, nella
prima serata viggianese, l'apertura ad un musicista originario della regione: il
pianista lucano Giacomo Aula ha ricambiato l'invito con un duo tanto inconsueto,
quanto straordinario per la raffinatezza estetica.
L'eleganza pianistica di Aula affiancata all'equilibrio dinamico del
contrabbasso di
Aldo Vigorito hanno illuminato dalle prime battute un cospicuo parterre,
per altro già suggestivamente immerso in una moltitudine di sollecitazioni ambientali,
con una sobrietà tecnico-strumentale ed un repertorio dalla coloritura pastello.
Con tale asserzione, tengo a precisare, che non si è assistito ad uno scorrere via
di brani eseguiti con un classico incedere di maniera, tutt'altro, il duo ha sfoggiato
una tale sensibilità e personalismo interpretativi che solo perfetti sincronismi
e, soprattutto, ottima conoscenza delle strutture possono realizzare.
Composizioni del pianista di Lagonegro (Further
Search for Peace, Maggio,
Canzone per Nino Rota,
Fedele), una bellissima
rivisitazione di Tomato Kiss
di Larry Schneider e tre emozionanti riletture molto congeniali al duo (Peri's
Scope, Sugar Plum
e Comrade Conrad)
scritture di Bill Evans, aggiunte al composito
Waltz New di
Jim Hall,
hanno rappresentato l'eccellente tavolozza cromatica del concerto fatto di tenui
sfumature, immagini dai contorni arrotondati, paesaggi lontani appena accennati.
Un'ora piena in cui la declamazione del tema, la cantabilità delle melodie negli
assoli ed il gusto per la correttezza timbrica si sono imposte all'attenzione degli
spettatori che hanno ricambiato sottolineando molti passaggi con applausi dettati
da uno spontaneo e divertito gradire. Malgrado le nascoste insidie di un tale impegno,
i due brillanti artisti si sono distinti per la capacità di rendere assolutamente
fruibile una musica, che attraverso una formazione così ridotta, avrebbe potuto
risultare fine a se stessa, invece non ha conosciuto pause ed affaticamento espressivo.
Pertanto, c'è da fare un particolare plauso ad Aula e
Vigorito
sia per la consapevolezza dei propri mezzi, che per il comune linguaggio denso di
un accattivante lirismo poetico. Una pausa di qualche minuto per metabolizzare la
rarefatta essenza del duo e, di lì a poco, un quintetto dall'inconsueta
formazione:
Antonio Zambrini Quintet. Infatti, la seconda parte della
serata del 19 agosto
si è materializzata con un intrigante
intervento del gruppo del pianista e compositore lombardo: le sue doti nella scrittura
dalla connotazione ampia e dinamica e la destrezza nel condurre per mano spericolate
formazioni non hanno deluso le aspettative. L'incedere concreto del contrabbasso
di Tito Magialajo e la percussività del drummin' di
Ferdinando Faraò
sommati ai primi piani dell'accordion di Fausto Beccalossi e del tenore di
Giulio Martino, hanno formato l'asse portante di un quintetto che il suo
leader ha controllato sempre con estrema bravura sia nelle composizioni proprie,
sia in interpretazioni dalle coloriture forti (vedi
Africa del viscerale Abdullah
Ibrahim al secolo Dollar Brand). Anche in questo caso circa un'ora di musica per
presentare un disco di prossima uscita ed inondare di immagini e suoni una platea
in grado di apprezzare variazioni ritmiche, atmosfere balcaniche, contenuti multietnici.
E dopo?
Cosa di meglio del condividere un buon panino con il prosciutto e la degustazione
di un vino rosso della zona? Credo poco o nulla. Ma, ciò è bastato ad istaurare
un clima disteso per scambiare alcune impressioni con i protagonisti della serata.
Il primo a cadere sotto i colpi delle domande è stato
Zambrini
a cui ho chiesto:
F.P.:
Come nasce l'idea di una front line composta da una fisarmonica ed un sax tenore?
A.Z.:
Nel pensare ad un quintetto in cui fossero presenti due voci quali la fisarmonica
ed il sax tenore, ho provato a ribaltare alcuni canoni precostituiti. Ho voluto
assegnare a Fausto Beccalossi il ruolo di prima voce, sovvertendo la subalterna
collocazione della fisarmonica quale eco romantico padano, in contrapposizione alla
seconda voce del tenore di Giulio. In tal modo, entrambi si scambiano, senza mai
sovrapporsi, ruoli e primi piani realizzando una sonorità molto dolce, molto rotonda
che a me piace ed è alla fine è la sonorità di questo gruppo.
F.P.:
L'imminente uscita del disco registrato con questa formazione prevede un progetto
nel tempo?
A.Z.:
Si, assolutamente. L'uscita a breve del disco rafforza la voglia di continuare questo
percorso e, anche se ho fatto altre cose, a questo progetto ho dedicato l'ultimo
anno impegnandomi nella composizione e nella realizzazione degli arrangiamenti,
per questo sarà il principale obiettivo su cui lavorare nel mio prossimo futuro.
F.P.:
Antonio Zambrini
all'estero. Ci vuoi parlare in generale della tua attività sulle scene internazionali?
Quali collaborazioni, esperienze, concerti registrazioni?
A.Z.:
Le mie influenze musicali sono disordinate, varie e discontinue. Ma ho imparato
che questo disordine alla fine è una risorsa, perchè rende la prospettiva più particolare,
forse più originale, a tratti, rispetto ad una preparazione enciclopedica... quindi
non provo più di tanto a colmare le lacune, se non seguendo l'istinto.
F.P.:
Sappiamo che qualche anno fa sei stato per la prima volta in Germania e a Berlino.
Ci vuoi descrivere in dettaglio quell'esperienza, quali impressioni hai riportato
e in particolare quali incontri e fatti significativi ti sono capitati?
A.Z.:
In sintesi, all'estero ho avuto due sostanziali esperienze in tutto, entrambe dovute
all'interessamento di pianisti italiani espatriati, per così dire, che gentilmente
ed amichevolmente hanno reso possibile il mio soggiorno e le mie esibizioni, a parigi
e a Berlino. Fu Achille Gajo, musicista lombardo trasferitosi a Parigi alla
metà degli anni '90,
amico e persona squisita e generosa, ad invitarmi nella Ville Lumière, ad incoraggiarmi
a prendere accordi colà per suonare con il mio trio, cosa che successe poi nel
2001. Oggi, purtroppo, Achille non è più tra
noi, ed il ricordo della sua amicizia assume un valore ed un significato particolari.
Qualche tempo dopo ho avuto per due volte la possibilità di suonare a Berlino, grazie
all'amicizia di Giacomo Aula, il quale oltre ad avermi invitato ed ospitato
lassù, ha anche suonato con me al jazzclub Atalante in qualità di bassista. Grazie
a Giacomo sono entrato in contatto con David Beecroft, saxofonista canadese
residente a Berlino, il quale mi invitò a suonare un una rassegna da lui diretta,
Jazz Composers Nights, sempre a Berlino, nel 2003
(credo). È tutto, per ora. Di fatto suono soprattutto in Italia, e per ora va bene
così...poi si vedrà.
Ancora qualche battuta qua e là con gli organizzatori ed alcuni amici, sempre
presenti agli appuntamenti che contano, poi è la volta dei due virtuosi Aula
/ Vigorito.
F.P.:
Da dove parte l'idea di misurarsi attraverso una formula così rischiosa per le
sue insidie nascoste?
A.V.:
In realtà, ci siamo conosciuti musicalmente
circa quattro anni fa in una situazione simile. Eravamo in duo e, come spesso accade,
ci si incontra e si sceglie un territorio comune che individuammo in un, più o meno,
repertorio evansiano con l'aggiunta di brani originali (nel caso specifico di Giacomo).
L'aria era quella con diverse passioni comuni ed Evans era una di quelle che esaltò
l'incontro, poi nel tempo siamo andati anche oltre. Questa sera abbiamo voluto riproporre
questa formula a distanza di tempo consapevoli che fa parte di noi e, quindi, quando
capita l'occasione la viviamo con entusiasmo.
G.A.:
Il duo è un arma a doppio taglio che può appiattirsi nella mera riproposizione di
temi e brani, perciò necessita di una terza essenza intrisa delle emozioni che provi
per quel repertorio e anche la consapevolezza che il tuo compagno di viaggio provi
e condivida le stesse passioni. Ovviamente, sappia condividere gli stessi rischi
e voglia impegnarsi in modo simile, in quanto non è assolutamente semplice rendere
efficaci brani in duo: le insidie sono tante e, sebbene si goda di molta libertà,
i rischi sono maggiori che nel trio. Tuttavia, pur essendo una formula meno canonica
o timbricamente più povera di altre, mi appassiona realizzarla, in particolar modo,
con Aldo. Tale esperienza, nata da un'occasione molto informale in un piccolo jazzclub,
ha rappresentato un ottimo banco di prova per conoscersi, ma in seguito abbiamo
avuto altre prove piú impegnative, come il concerto al Festival di Berlino per il
Cinema Italiano, con Andrea Marcelli alla batteria e Giorgio Licalzi
alla tromba, nel 2002.
A.V.:
Tornando al duo comunque devo dire
che è fortemente stimolante, anche in ragione dell'assenza della batteria, lasciando
che, sia il pianoforte, sia il contrabbasso, occupino uno spazio ampio da esplorare
di volta, in volta.
G.A.:
Il problema dei piccoli o piccolissimi gruppi è nella massima spontaneità: la strutturazione
spesso non è elevata e se non c'è il piacere e la freschezza di fare musica insieme
si rischia di cadere nel manierismo. Sicuramente, è più facile nascondersi in un
quintetto o in un ottetto, dove arrangiamenti e composizioni possono essere affrontati
in modo non totale. In un duo, ma anche in trio, la scelta dei partner è fondamentale:
l'interazione, il respirare e condividere la stessa idea, lo scambiarsi conoscenze
reciproche o punti di vista diversi, evidenziano una storia interpersonale che,
a volte, risulta prevalente ai parametri professionali.
A.V.:
Non dimentichiamo che nel duo c'è
anche il profondo piacere del gioco.
F.P.:
Mettendo un momento da parte il concerto di questa sera, vogliamo parlare dei
vostri ultimi progetti discografici da leader?
A.V.:
Napolitanìa
è il mio ultimo lavoro da leader uscito per l'etichetta
Wide Sound nel
2003. Fare questo disco in quartetto con la
bellissima voce del soprano di
Stefano "Cocco" Cantini,
la morbida percussività di Peppe Lapusata alla batteria ed il pianismo creativo
di Francesco Nastro,
mi ha dato molte soddisfazioni. A me piace suonare in situazioni, anche le più disparate,
ma volevo lasciare una traccia tangibile delle mie composizioni e delle mie esperienze
di vita, attraverso il supporto audio. Credo che questo sia un po' il desiderio
di tutti i musicisti e mi auguro di continuare su questa strada, pur mantenendo
tanti impegni e collaborazioni in corso.
G.A.:
Sono usciti e stanno uscendo diversi nuovi lavori, in cui figuro come co-leader
o guest soloist. Space Night
del trombettista Nils Wülker per Sony BMG del 2003
che viene quest'inverno pubblicato anche in Italia. Poi
Trios Version 3.0 di
Gordon Johnson su Tonalities del 2004, la
collezione di trii che include Steve Gadd, Jay Epstein, Peter Erskine,
Kenny Werner, Phil Markowitz, Bill Carrothers e poi ancora,
freschissimo di stampa, il nuovo album del sassofonista Douglas Little con
Kevin Washington alla batteria e Jeffrey Bailey al contrabbasso. Si
chiama The Phoenix,
è stato prodotto da Tesca Records di Minneapolis. Saremo in tour di presentazione
italiana a fine Novembre a Cosenza, Bergamo, Padova, Lagonegro, Avellino e Cava
de' Tirreni.
F.P.:
Quali prospettive per questo duo o altre collaborazioni incrociate?
G.A.:
Penso che le cose vadano fatte con naturalezza portandole avanti senza forzare i
tempi e mirando alla maturazione lenta di ogni produzione. In questo caso particolare
spero di continuare con questo duo; Aldo ha fatto parte del mio trio italiano in
alcune circostanze significative, oltre all'esperienza di Berlino, per esempio il
gruppo con la cantante californiana Judy Niemack e il chitarrista Jean
François Prins, belga di origini italiane, al Catanzaro Jazz Fest del
2004. Anche mi ricordo diversi anni fa Aldo
prese parte ad uno dei primi tour con Doug Little, in Puglia e Campania,
all'epoca con
Salvatore
Tranchini alla batteria.
A.V.: Giacomo mi ha coinvolto
in diverse occasioni sia in Germania, come ora da lui ricordato, ma anche in Italia
ed io mi auguro che queste collaborazioni abbiano un seguito: lo credo assolutamente
possibile anche se, al momento, non saprei dirti esattamente in quale contesto.
G.A.: Fra musicisti ci può
essere un legame molto stretto basato sull'empatia o ci può essere un rapporto di
semplice stima professionale in cui si riconosce nell'altro un amico idoneo a ricoprire
un certo ruolo. In questo Aldo riesce appieno, facendo intuire una interazione più
profonda che si addice a gruppi allargati, allo stesso modo nel duo o trio: ciò
facilita lo sviluppo di progetti di qualità che entrambi vogliamo perfezionare.
Dunque, uno sguardo alle lancette dell'orologio, i saluti di rito, l'appuntamento
alla prossima, ma soprattutto il distacco da un paesaggio accogliente in cui si
è consumata una notte di buona musica.
Luca Bonvini/Carla
Marcotulli Quintetto
20 agosto 2005 di Mauro
Lorusso e Stefania Paterniani
Un concerto che ha saputo catturare l'attenzione del pubblico in tutto
il suo svolgimento. L'autore infatti non ha previsto interruzioni musicali nella
narrazione delle poesie interpretate muovendosi agilmente in diverse tipologie di
canto (dalla lirica al jazz) musicate sia dalla Marcotulli che da egli stesso.
Gli applausi si sono fatti sentire solo alla fine del concerto (di circa un'ora)
a ragione del fatto che sicuramente il pubblico ha colto il significato dell'evento,
fatta eccezione per gli applausi che i singoli musicisti si sono meritati a seguito
dei loro virtuosismi. La formazione che si è esibita non è stabile quindi va maggiormente
sottolineata la perfetta intesa e professionalità che fa onore al nome che portano.
In particolare si è distinto Leveratto in un solo che si inseriva perfettamente
nell'ambiente poetico delle musiche di Bonvini il quale ha sicuramente catturato
l'attenzione del pubblico sia per la presenza scenica sia per lo strumento che suonava
e ovviamente per come lo suonava: si tratta dello "Slide trumpet" un ibrido
tra tromba e trombone, della tromba ha le dimensioni e del trombone il resto. Il
suono era molto vicino alla tromba, lo slide, tipico del trombone, permetteva al
musicista di glissare il suono simulando dei versi quasi animaleschi...come alla
ricerca di una nota che una volta trovata rimaneva sospesa.
La suite era suddivisa in due parti. La seconda parte è stata presentata
con estrema sensibilità e misticismo dal compositore che si è lasciato ispirare
dal vissuto storico del paese di Viggiano per introdurre la registrazione vocale
dell'autore stesso delle poesie (Walt Witman), ottenuto grazie ad uno dei primi
esperimenti di registrazione del XIX secolo.
Un aneddoto di Luca Bonvini di un paio di sere prima del suo concerto:
lo abbiamo incontrato e conosciuto bevendo del vino dopo una session in paese io
e altri tre allievi del seminario, dopo averci dedicato una interessantissima versione
di 'Round Midnight solo
tromba, ci ha preannunciato il suo slide trumpet spiegandoci che lo aveva
progettato e fatto costruire egli stesso a New York.
Esibizione Orchestra laboratorio
21 agosto 2005 di Mauro Lorusso e Stefania Paterniani
L'orchestra nel suo organico era completa: sezione fiati, voci, piano,
tastiere, sezione ritmica e chitarre.
Diretta dal maestro
Raja
che è riuscito a coordinare benissimo tutti i componenti in così pochi giorni, l'orchestra
ha eseguito 5 brani di cui Flakes
di Steve Lacy,
In A Silent Way di J.Zawinul,
Sonnymoon for two di Sonny
Rollins, Mood Indigo
e Take the "A" train
di Duke Ellington; più un bis in cui sono stati chiamati in causa due pianisti:
Aula e
Zegna
che si sono cimentati contemporaneamente in un blues.
Zegna
in particolare si è distinto per non essersi lasciato andare a virtuosismi ma per
aver sintetizzato in un solo le numerose spiegazioni tenute durante le sue lezioni.
L'orchestra si è esibita nei giardini pubblici del paese davanti ad un discreto
numero di persone, un ottimo panorama e uno squisito aperitivo a base di vino, formaggi
e taralli in abbondanza; in questo contesto ogni musicista ha trovato spazio nell'orchestra
per esprimersi con un solo e presentazione al seguito; a conclusione dell'evento,
ma anche del seminario, il sindaco di Viggiano ha consegnato l'attestato di frequenza
in un elegantissimo foglio pergamenato ad ogni seminarista firmato dal docente del
proprio strumento.
Riccardo Zegna
21 agosto 2005 di Mauro Lorusso e
Stefania Paterniani
"Grazie" al pianoforte, le cui corde hanno retto tutte eccetto una fino alla
fine del concerto, il maestro
Zegna
ha sicuramente dato prova della sua esperienza eseguendo brani che impegnavano lo
strumento in esigenze musicali che assolutamente non era in grado di soddisfare.
Nella seconda parte del concerto si sono susseguite interpretazioni tra
le quali un brano di Monk, Misterioso, proposto
con gusto soprattutto nella ricerca di note che potessero rimanere nel registro
centrale della tastiera vista l'inutilità armonica del resto del pianoforte...nonostante
questo è riuscito a comunicare le sue intenzioni e la sua espressività. Scarno il
suo stile (o magari quella sera gli andava così...) ma incisivo e di forte presa
come una persona di poche parole ma buone...nella sua musica c'era colore e ogni
brano aveva una sua sonorità...credo che non a caso abbia proposto Monk visto che
anche le composizioni di quest'ultimo si prestano così bene a giocare sui suoni
di poche note e alle loro combinazioni. Bravo pianista e bravo didatta di personalità
umile e diretta,
Zegna
è un musicista di notevole esperienza tant'è vero che le sue lezioni si sono svolte
sulla base dei suoi racconti di vita fatta di "incontri ravvicinati" con
molti dei più grandi della storia, critiche a concerti, consigli sugli ascolti,
ascolti guidati con tanto di danze ritmiche e tra tutto questo injazzamento ci siamo
conosciuti poi sulla tastiera.
Ma tornando al concerto: si è concluso con tre brani in cui il maestro
ha accompagnato il canto della sua compagna Susanna, molto femminile ed energica
ma anche spiritosa e dalla voce chiara e sensuale. Hanno divertito il pubblico soprattutto
per il loro gioco d'intesa e per come lui facesse del suo meglio per farle da "cuscino"...
fino a che il pianoforte non ha ceduto...
Maurizio Giammarco Tricycles
21 agosto 2005 di Mauro Lorusso e
Stefania Paterniani
Il concerto in questione è stato sicuramente un colpo di scena perchè
non ci si aspettava una tale carica di energia che nel pubblico si è concretizzata
con la richiesta direi unanime del bis. Stupisce l'utilizzo degli effetti spesso
gestiti dal batterista John Arnold che con un computer portatile sfumava
in apertura e chiusura dei brani, notevole il talento del bassista Dario Deidda
ed il ruolo che ha ricoperto: ha saputo infatti colmare la mancanza di uno strumento
armonico, e si è impegnato a contrappuntare il sax e cantare diverse melodie. La
formazione, per l'occasione, si è esibita in trio e con perfetta disinvoltura ha
portato a compimento un bellissimo concerto in cui i richiami ad alcuni classici
del jazz e le reinterpretazioni con cui sono stati eseguiti hanno avuto un ottimo
riscontro nel pubblico.
Giammarco
con i suoi sax ha colorato e coordinato le musiche della serata garantendo dinamiche
molto forti che caratterizzavano ulteriormente i brani. La "modernità" del concerto
è ciò che lo distingue dalle serate precedenti sia per lo stile esecutivo, in cui
i tre giocavano a "passarsi" idee da sviluppare, (tutto sembrava improvvisato tanto
che alla richiesta del bis
Giammarco
ha preannunciato che loro tre, sapevano dove e come iniziavano ma non come finivano...)
sia per le sonorità utilizzate e che lo rendono originale.
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Data pubblicazione: 01/11/2005
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