Intervista a Aldo VIGORITO
dicembre 2003
di Massimiliano Cerreto
Jazzitalia:
Lei ha recentemente pubblicato
Napolitanìa
(Wide Sound), il suo secondo disco; come è nata in lei l'esigenza di realizzare un altro album solista dopo
Do It
(Ariston)?
Aldo Vigorito:
Non volevo soltanto una musica che sentissi davvero mia od avere semplicemente il controllo del mio lavoro; ragioni queste che sono spesso alla base di un disco solista. Sentivo piuttosto l'esigenza, l'urgenza interiore come amo definirla, di realizzare un fermo-immagine di alcuni momenti della mia carriera. A volte è necessario fare il punto su cosa si è…
J.:…chi è Aldo Vigorito oggi?
A.V.:
Sono uno con le orecchie molto aperte; un musicista che desidera ancora imparare da ciò che mi circonda. Difficile però dare un'immagine unitaria del mio essere musicista. In me convivono molte anime; non amo la staticità.
J.:
In
Napolitanìa suona il suo quartetto; ce ne parla?
A.V.:
Da alcuni anni lavoro con il trio del pianista Francesco Nastro composto, oltre che da me, anche dal batterista
Peppe La Pusata. Per Napolitanìa
ho dato vita ad un mia formazione in cui ho voluto anche il sassofonista
Stefano "Cocco" Cantini. Avevo suonato con lui solo una volta, ma lo conoscevo bene da un punto di vista musicale…
J.:…come sceglie allora i suoi musicisti?
A.V.:
Gli incontri possono essere casuali, ma occorre che, a prescindere dallo stile e dalle peculiarità di ciascuno, ci si ritrovi ad avere un linguaggio musicale comune.
J.:
Rimanendo in tema di peculiarità ci descriverebbe i musicisti che lavorano con lei?
A.V.:
Francesco Nastro è un musicista creativo ed appassionato; con lui non sai mai quale è la direzione che può prendere la musica.
Peppe La Pusata l'ho scelto perché avevo bisogno di un batterista che non si limitasse a portare il tempo. Mi piace la sua capacità d'improvvisare e di sottolineare il tempo con molta elasticità.
E, del resto,
Napolitanìa non è certo un disco dal groove martellante.
Stefano ha una "voce" incredibile; avevo bisogno della sua sensibilità.
J.:
In
Napolitanìa il suo strumento non prevale mai ed appare quasi che sia dato uno spazio maggiore al piano ed al sax; come mai?
A.V.:
Non volevo un disco "bassocentrico". Più in generale tutta la parte ritmica è stata ridimensionata ed armonizzata con gli altri strumenti; volevo che a prevalere fosse la dimensione melodica. La batteria, ad esempio, è stata ripresa utilizzando solo due microfoni panoramici ed uno per la grancassa.
J.:
Quando è nata in lei la passione per il contrabbasso?
A.V.:
In realtà ho incominciato a suonare, e avevo circa 16 anni, con il basso elettrico, ma la musica che ho sempre suonato è il jazz. Il passaggio dal basso elettrico al contrabbasso è stato quasi immediato perché è uno degli strumenti che proprio col nascere del jazz assume una sua identità. In origine, in particolare nel dixieland, aveva la funzione di sostituire il Basso-tuba.
J.:
Hai mai pensato al contrabbasso uno strumento solista?
A.V.:
Ha una funzione ritmica, melodica ed armonica e trovo che sia indispensabile, ma non l'ho mai voluto considerare né suonare come uno strumento solista.
J.:
Il jazz è indubbiamente una parte importante della sua vita; come vive la sua dimensione di jazzista?
A.V.: Sono innamorato del jazz e sono felice di vivere di ciò che amo. Inutile dire che la realtà del jazz in Italia è molto difficile anche se la situazione attuale è sicuramente migliore rispetto quella relativa ai miei inizi.
J.:
Chi sono stati i suoi maestri?
A.V.:
Il Conservatorio è stato importante per acquisire una padronanza dello strumento e naturalmente per la mia formazione musicale in senso ampio. Per quanto riguarda il jazz penso che, aldilà di un breve periodo di studio con Riccardo Del Frà alla Saint Louis di Roma, posso considerarmi un autodidatta. Ascoltare i dischi dei grandi jazzisti di tutti i tempi mi ha aiutato moltissimo.
J.:
Quali sono gli artisti che preferisce?
A.V.:
Mi limiterò a soli tre nomi: Miles Davis, Bill Evans e Chet Baker.
J.:
Che strumento usa?
A.V.:
Uso un Grunert, un contrabbasso di un artigiano tedesco e talvolta il mio primo contrabbasso realizzato dall'artigiano napoletano
Marino Tarantino.
J.:
Progetti?
A.V.:
Ho appena terminato una tournèe con il cantante americano Miles Griffith (Wynton Marsalis) ed una con il trio di Francesco Nastro ed attualmente sono impegnato con le registrazioni del prossimo disco di
Enrico Del Gaudio; tra pochissimo uscirà anche l'album che ho inciso con Salvatore Tranchini. Mi piacerebbe anche ricordare un altro disco cui tengo molto che è "Trane's grooves" di Carla Marciano; dedicato alla musica di John Coltrane.
J.: Dalla musica di Wayne Shorter interpretata da Riccardo Distasi ed
Ondina Sannino in "Omage to Wayne Shorter", album cui lei ha partecipato, a quella di John Coltrane; nostalgia o cosa?
A.V.: Ciò che rende straordinaria la musica
jazz è la sua capacità di rinnovarsi nelle interpretazioni dei suoi musicisti e
pertanto non ritengo sia corretto parlar di un operazione all'insegna della
nostalgia. Penso che alla base di tutto ciò vi sia il tentativo di mantenere
viva la cultura del jazz; quella cultura cui sono orgoglioso di appartenere.
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Data pubblicazione: 04/01/2004
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