WD 116 |
Ondina
Sannino - Riccardo Distasi
Homage to Wayne Shorter
1) FOOTPRINTS
2) BEAUTY AND THE BEAST
3) E.S.P.
4) ADAM'S APPLE
5) FEE-FI-FO-FUM
6) MAHJONG
7) NEFERTITI
8) BLACK NILE
9) WAYNE
Ondina Sanninio -
vocals
Riccardo Distasi -
piano,
keyboards
Fabrizio Bosso -
trumpet
Stefano Calcagno -
trombone
Giulio Martino - tenor
and soprano sax
Mike Stern - guitar
Aldo Vigorito - double
bass
Giuseppe La Pusata -
drums
Pasquale Bardaro -
vibes
Emidio Ausiello -
percussion |
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Il giornale della Musica
- novembre 2002 -
Pietro
Mazzone
Felice esordio discografico della vocalist campana Ondina Sannino questo omaggio
a Shorter: i due leader rileggono autentici testi sacri del jazz moderno
attraverso solari, raffinati arrangiamenti per piccola orchestra. In coppia con
il pianista arrangiatore Riccardo Distasi, la Sannino firma un album coraggioso,
che sceglie una strada piuttosto impervia, riuscendo poi a percorrerla
brillantemente. Alla Sannino va riconosciuto il merito di aver rivestito diversi
temi che, attraverso il suo canto, acquistano nuove sfumature, si proiettano in
una luce diversa.
Canto non scontato, va detto: il che significa che nelle sue interpretazioni (e
in assoli scat sempre ben modellati) si avverte una preparazione ma non vi
predomina un certo serioso scolasticismo che da tempo affligge la vocalità jazz
(e non solo in Italia).
NOTE SU "HOMAGE
TO WAYNE" di Ondina
Sannino
L'idea di un omaggio a Shorter è nata con la serie di concerti da
me organizzati per una rassegna, tutti ispirati a grandi compositori del jazz.
Riccardo
ha accettato con entusiasmo di scrivere gli arrangiamenti per alcuni di questi
progetti, che prevedevano un organico allargato (nel caso di Shorter sette
elementi). Il risultato ci ha talmente soddisfatto che abbiamo deciso di
continuare il discorso iniziato con i concerti e ricavarne un cd (il primo!) a
nome di entrambi, avviando un lungo lavoro di rimaneggiamento e perfezionamento
dei primi arrangiamenti, che prevedeva la presenza in alcuni brani di altri
strumentisti, oltre a quelli che vi avevano già preso parte. I motivi che mi
hanno spinto a scegliere la musica di Shorter quale tema del cd sono molteplici:
innanzitutto mi ha profondamente colpito la sua scrittura così particolare,
molto diversa da quella di altri jazzisti, e nello stesso tempo così variata,
capace di passare dallo swing al funk con la massima disinvoltura, fornendo un
materiale di base che grazie a questa varietà risulta di per sé già gradevole
all'ascoltatore e che costituisce nello stesso tempo un potente stimolo
specialmente per quanto attiene all'improvvisazione, dove quelle strutture
armoniche così atipiche mettono alla dura prova le capacità degli esecutori.
Un'altra motivazione mi coinvolge come cantante: sono da sempre alla ricerca di
brani strumentali (specialmente di autori contemporanei) da trasformare in
"canzoni" scrivendo testi in inglese perché trovo molto stimolante percorrere
nuove strade, creare qualcosa di nuovo ma partendo da un materiale musicale di
altissima qualità -
come
appunto quello di Shorter, mettendo me stessa alla prova nel tentativo di
interpretare vocalmente melodie a volte ostiche, spigolose, in quanto nate da e
per lo strumento, non per il canto. Se devo scrivere dei testi cerco di
informarmi se possibile sulle fonti di ispirazione dell'autore, ma se non trovo
notizie mi ispiro direttamente al titolo e costruisco il testo su di esso. Per
me è importantissimo creare un "ponte" tra testo, musica, l'interpretazione che
ne do e l'arrangiamento, che devono fondersi tra loro armonicamente.
Per fare questo studio per lungo tempo sia la parte con parole che quella
improvvisata: fare questo con i brani di Shorter mi ha richiesto un anno di
studio durante il quale sono spesso caduta in crisi per trovare la soluzione
interpretativa che mi sembrava più giusta a seconda dei casi. Sull'efficacia di
quanto mi sono proposta di trasmettere dovranno giudicare gli altri ascoltando
il cd, ma quanto meno posso affermare in tutta coscienza di aver tentato del mio
meglio per riuscirci. Io e Riccardo abbiamo inoltre discusso a lungo per trovare
una chiave di lettura globale del lavoro - che nelle nostre intenzioni doveva
svolgersi nel pieno rispetto della scrittura dell'autore - e della coerenza
stilistica interna ad esso, riferita cioè ai singoli pezzi: anche questo lavoro
fa parte di quella "unità" artistica che secondo noi distingue un progetto
musicale da una jamsession ben suonata. Abbiamo inoltre coordinato svariate
prove con i musicisti che hanno preso parte al disco, proprio allo scopo di
farli "entrare" il più possibile nello spirito del progetto, perché al di là
dell'abilità del singolo esecutore, quello che dà una marcia in più alla musica
secondo noi è l'interazione tra i musicisti, il gioco di squadra, (detto anche
interplay). A questo proposito io e Riccardo ci permettiamo di affermare che
riteniamo il risultato più che soddisfacente da questo punto di vista.
Passiamo
adesso ad una analisi più approfondita dei singoli brani contenuti nel cd:
1) Footprints.
Brano di apertura del cd, comincia con una introduzione nella quale, a partire
dal canto, si aggiungono man mano tutti gli strumenti, fino a raggiungere un
momento di massima tensione, che improvvisamente si scioglie dando spazio al
tema. Il canto qui, coerentemente al clima lirico-descrittivo suggerito dal
testo, è volutamente etereo, impalpabile e sussurrato. Mi immagino di
affacciarmi ad una finestra dalla quale ammiro la luna. Poi il pensiero si
sposta alle "orme" (footprints) lasciate dall'uomo sulla luna, e che
tutti hanno dimenticato. Debbo onestamente dire che quando Shorter compose il
pezzo (1966)
l'uomo sulla luna non era ancora arrivato, e sicuramente lui si riferiva a
chissà cos'altro parlando di orme......La coerenza stilistica è data dal
ripetersi, alla fine dei soli, di un momento di tensione che poi si scioglie nel
tema finale, proprio come all'inizio. L'utilizzo della percussione che dialoga
in taluni momenti con la voce, insieme con il tipo di improvvisazione vocale,
ben lontana dal tradizionale scat, danno al brano un delicato sapore
etnico.
2)
Beauty and the
beast - Questo è
l'unico pezzo nel cd nel cui arrangiamento non ci siamo rifatti all'originale in
Native dancer, in cui il brano era un funk molto lento, ma ci siamo
ispirati all'arrangiamento di Bill Mays in un disco di Mark Murphy,
(Beauty and the beast-Muse,
1985)
autore tra l'altro delle liriche. Mays ha trasformato in latin il brano in
questione e la cosa è piaciuta tantissimo a me e Riccardo, ed abbiamo seguito
questa strada per la rielaborazione del brano. La tonalità scelta - essendo un
contralto- mi ha permesso di utilizzare i colori più scuri della mia voce.
3) E.S.P.
Composto da Shorter e Davis, e tratto da un disco di quest'ultimo, inciso in
quel magico periodo in cui Shorter entra a far parte del quintetto di Davis, è
stato sicuramente uno dei temi che ci ha posto più problemi sia in sede di
arrangiamento che, personalmente parlando, in sede di interpretazione. Entrambi
eravamo dubbiosi sulle soluzioni da adottare in un brano tendenzialmente fast ed
allo scopo di evitare la "monotonia" di questo tipo di pezzi ("monotoni"
nel senso che a volte sembrano uguali dall'inizio alla fine), ci è sembrato
opportuno giocare sui cambiamenti di tempo e di velocità. Il brano dunque inizia
con una versione lenta del tema, introdotta da una intro scritta ad hoc da
Riccardo e giocata su un ritmo tipo un bajon lentissimo, con un accompagnamento
molto scarno, nel quale le percussioni hanno un ruolo essenzialmente
coloristico, e punteggiata da piccoli interventi del vibrafono, seguita dalla
versione fast swing del tema, con relativi assoli e con la "sorpresa" finale
dell' ultimo chorus di improvvisazione del sax, che prima del tema finale spezza
la tensione con un improvviso ed inaspettato dimezzamento della velocità
metronomica, ritornando poi alla velocità precedente con l'attacco del tema
finale, sottolineato dall' intervento discreto delle sezioni di fiati. Parlavo
prima delle difficoltà interpretative, sia perché qui la melodia è
particolarmente ostica da intonare, sia perché soprattutto la parte fast del
tema pone al cantante difficoltà di ordine tecnico inerenti all'espressività,
all' uso dei colori timbrici e delle dinamiche, da valutare attentamente in fase
di studio.
4)
Adam's apple.
Nell' arrangiamento ci siamo voluti rifare - nell'uso delle sezioni e nel tipo
di riffs usati - al rhythm'n'blues vecchio stile, con l'intervento quanto mai
appropriato al genere della chitarra di Stern. Le difficoltà
nell'interpretazione sono state risolte con l'utilizzo di una vocalità molto
morbida, che rifugge volutamente da prevedibili concessioni allo stile "gridato"
del rhythm'n'blues tradizionale, per rimanere canto "jazz", e che segue
espressivamente l'ironia del testo che si rifà all'episodio biblico di Adamo ed
Eva nell'Eden (come sembra suggerire lo stesso titolo), cercando un moderato uso
dei colori timbrici e delle dinamiche. Su questi ultimi più che su altri
parametri si basa l'impostazione del solo vocale.
5) Fe-fi-fo-fum.
Ispirato alla favola anglosassone di Jack e la pianta di fagioli e testimonianza
dell'interesse di Shorter per il mondo delle fiabe (vedi temi come Beauty and
the beast e Pinocchio), si apre con una intro scritta da Riccardo
nella quale la voce lavora insieme alle sezioni, prima dell'ingresso del tema,
anch'esso giocato su una vocalità morbida e giocosa, che tenta di smussare le
asperità della melodia poco "cantabile". Il binomio voce-sezioni continua nel
solo scritto ad hoc e nel finale. Il titolo del pezzo, il cui testo racconta la
favola di Jack and the beanstalk, è un suono onomatopeico che riproduce
il fischiettare dell'orco che sente "l'odore del sangue di un Inglese".
("Fe-fi-fo-fum, I smell the blood of an Englishman!")
6)
Mahjong.
Composizione di Shorter di ispirazione orientale (mahjong è una specie di domino
cinese). Nell'arrangiamento questo carattere "orientaleggiante" viene portato
alla luce, con l'aiuto delle percussioni e dell'intervento del vibrafono. Anche
nella costruzione dell'assolo vocale si avverte la ricerca di sonorità (colori
ed effetti percussivi) nelle quali echeggia la dimensione "etnica" del brano. E'
l'unico brano del Cd che non prevede testo ed in cui la voce lavora
esclusivamente come "suono" insieme alle sezioni.
7) Nefertiti.
Bellissimo tema dall'omonimo disco di Davis, ma composto sempre da Shorter.
L'atmosfera "magica", quasi sospesa del tema è sottolineata da una introduzione
scritta da Riccardo e dall'uso del pad elettronico all'entrata della voce, dove
la ritmica sospende per un attimo l'accompagnamento per rimanere- anche
musicalmente- in quell'indefinito dove si mescolano storia e leggenda (quella
della principessa egiziana Nefertiti). Il brano, giocato su due tonalità diverse
(quella originale per gli strumenti e quella trasposta per la voce) acquista in
profondità, senza mostrare fratture a causa dell'espediente usato, ma rimanendo
in quella dimensione sognante e surreale (che l'interpretazione vocale cerca di
sottolineare) che Shorter ha creato con il tema.
8) Black Nile.
Tipico (ed unico) brano bop di tutto il Cd, ispirato secondo Shorter dalla
civiltà egizia che secondo lui nel momento di massima espansione era una civiltà
"nera" (nel senso della razza degli egiziani). L'arrangiamento, lo stile
dell'interpretazione vocale e di tutti i soli si rifà abbastanza fedelmente
all'originale ed allo spirito bop della composizione.
9) Wayne.
Unica composizione originale di tutto il cd, è un sentito omaggio alla musica
del "maestro" che tanto ha dato (e fortunatamente continua a dare) al mondo del
jazz come autore e come esecutore. Strutturalmente è una piccola suite, in cui
la parte principale, una ballad melodica e sognante, è interrotta da una
parentesi "ritmica" in cui la voce dialoga con basso e batteria.
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Data pubblicazione: 08/11/2002
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