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Ispani Jazz 2009

VII Edizione
"Una coraggiosa svolta internazionale"

28, 30 luglio 3 agosto
Testo di Francesco Peluso

La macchina organizzativa dell'Ispani Jazz Festival ha rivelato, in questa settima edizione 2009, una concreta ed encomiabile evoluzione che, tanto nella coraggiosa, quanto interessante svolta internazionale, ha riscosso un palpabile gradimento dei numerosi appassionati accorsi.

La direzione artistica, affidata per il terzo anno al maestro Gerardo Di Lella, ha visto alternarsi sul palco della rassegna cilentana un cast di fuoriclasse di indubbio valore mondiale, che hanno dato vita a tre serate di coinvolgente "Musica Jazz".

Anche la consolidata ripartizione degli eventi sul territorio della piccola, ma suggestiva località campana, non ha determinato una caduta d'interesse da parte del pubblico, bensì ha permesso il perpetuarsi di una consolidata formula, in cui il carattere itinerante dona un valore aggiunto ad una manifestazione, già di per sé accattivante.

Bob Mintzer Quartet

Bob Mintzer (foto di Carmen Fornaro)

La serata di martedì 28 luglio ha visto sul palco di Capitello, caratteristico paesino che si affaccia sul Mar Tirreno, un Quartet di chiara matrice statunitense, capitanato dal tenor sassofonista Bob Mintzer. Il famosissimo bandleader, dalla raffinata e poderosa voce strumentale e co-leader degli inossidabili Yellowjackets, ha confermato tutte quelle doti di virtuoso, che lo hanno reso celebre nel panorama jazzistico planetario. Il quartetto, composto da altrettanti musicisti di pari spessore, ha assecondato Mintzer in un garbato fluire di ambientazioni dalla connotazione variegata: da un composto mainstream ad un più corposo e dinamico impressionismo, da alcune rugosità hard-bop alla suadenza delle ballads, la formazione si è mossa con una misurata coerenza estetica.

La sezione ritmica, sostenuta dallo scolpito groove di Joe Anderson ed il riservato ed elegante drummin' di John Riley, ha sorretto la frontline tenor sax-pianoforte con giustezza timbrica, senza mai debordare, eccedere, occupare la scena. Tuttavia, ha offerto, quando chiamata in causa, una sequenza di performances solistiche di notevole efficacia. La coppia Bob MintzerPhil Markowitz ha, dal suo canto, ravvivato la calda serata estiva con un dualismo tanto affiatato, quanto denso di contrappunti solistici: ad un'inconsueta sobrietà stilistica del sassofonista, si è contrapposta una ricercata astrattezza espressiva ed una forte dinamica tecnico-timbrica del pianista.

Partendo da una linearità armonica di base, Markowitz è apparso più incline alle digressioni estetiche del leader che, a sua volta, è sembrato un tantino più ancorato alla melodia di fondo. Ne è scaturito un confronto serrato che ha prodotto momenti di indubbia classe, sottolineati da scroscianti applausi. Certo, chi sperava di ascoltare le robuste escursioni dinamiche appartenenti alla storica fusion-band del sassofonista è restato disorientato, in quanto Bob Mintzer ha modellato la propria voce strumentale ed il relativo lessico ad una formazione tipicamente acustica. Tutto ciò, però, non gli ha impedito di inserire nelle sette scritture proposte, due perle appartenenti alla trentennale esperienza con gli Yellowjackets. Senza dubbio queste e la vaporosa magia di Body And Soul (rivisitata in versione slow) hanno infiammato più delle altre l'attento parterre intervenuto. Dunque, una scelta acustica del tenorista che, seppur non pienamente coinvolgente, ha rivelato un nascosto lato lirico, senza snaturare la sua maestria tecnico-strumentale, il suo ampio e possente eloquio, il proprio saper stare al centro della scena. Tali peculiarità Bob Mintzer le ha sfoggiate calamitando l'attenzione del pubblico su di sé e - al contempo, conducendo per mano un eccellente quartetto che lo ha assecondato tanto nell'effettuare una garbata sintesi formale d'assieme, quanto nel porsi in risalto con la sensibilità espressiva dei singoli.

John Abercrombie Trio

Abercrombie, Berlin, Nusbaum (foto di Mario Camele)

La seconda serata dell'Ispani Jazz 2009 si è tenuta giovedì 30 luglio nella suggestiva terrazza di San Cristoforo. Al cambiamento di altitudine (siamo passati dal mare alla collina), si è assistito ad una totale diversità estetico-formale, rispetto al gruppo ascoltato nel concerto d'apertura. Questa volta, infatti, il sagace compositore e direttore Gerardo Di Lella ha coinvolto un Trio dalla connotazione decisamente più effervescente: John Abercrombie alla chitarra, Jeff Berlin al basso elettrico ed Adam Nussbaum alla batteria.



I
l palco, situato per l'occasione in una location fascinosamente adatta alla celebrazione di un evento di tale portata, ha favorito l'immediata empatia fra i tre ispirati protagonisti della serata e l'attento pubblico intervenuto.

Il competente parterre ha ascoltato in religioso silenzio circa ottanta minuti di musica che ha offerto, senza soluzione di continuità, momenti intensi, struggenti, cangianti, interrotti solo da numerosi entusiastici applausi al termine dei molti spunti individuali.

John Abercrombie, indiscusso maestro della modern jazz guitar al pari di altri fenomeni internazionali (vedi P. Metheny e J. Scofield), ha mostrato a chiare lettere tanto la personale sontuosità tecnica, quanto la spiccata sensibilità compositiva. A tal proposito, la maggior parte delle composizioni ottimamente rivisitate dal Trio, hanno esaltato alcune peculiarità della scrittura dell'esperto leader. Il maturo chitarrista d'oltreoceano ha sfoggiato una tale padronanza della scena, irretendo letteralmente la platea sia con la delicatezza delle esposizioni tematiche, sia con i lunghi set dedicati alle parti solistiche. Anche nelle sezioni di accompagnamento, seduto, concentrato e partecipe all'espressività dei suoi talentuosi partners, ha regalato a piene mani la sua arte. Dal loro canto, Jeff Berlin e Adam Nussbaum hanno costruito un'architettura di supporto, intrisa di una pregevolissima trama ritmica, frutto di un consolidato affiatamento nel tempo ed un evidente equilibrio dinamico-linguistico.

Il simpatico ed estroverso bassista elettrico, dotato di una strabiliante tecnica strumentale ed un timbro dalle mille coloriture, ha illuminato l'andamento delle composizioni ripercorse sia con varietà espressiva, sia con una moltitudine di sfumature formali. Nussbaum, invece, ha imbastito un drummin' al limite della frammentazione ritmica: sicuro, sorridente, divertito, si è mosso con una discontinuità di flusso, quasi in controtendenza, creando una forzata sottolineatura del tempo.  Tutti questi non trascurabili aspetti hanno fatto sì che il concerto sia risultato, come era prevedibile, di alto livello… dalle composizioni di Abercrombie alla grintosa Footprints di Wayne Shorter, dalle sfumate accezioni di alcune atmosfere ad altre più marcatamente distorte, dai perfezionismi delle fasi d'assieme ai rilevanti impeti in solo, si è assistito ad un evento che ha convinto nella sua globalità.

Flavio Boltro Quartet

A. Vigorito, F. Boltro (foto di Vincenzo De Filippo)

A chiusura della manifestazione, lunedì 3 agosto, il Flavio Boltro Quartet. La piccola formazione acustica ha evidenziato il divertito ritrovarsi insieme di quattro amici di lunga data: Stefano Sabatini al pianoforte, Aldo Vigorito al contrabbasso, John Arnold alla batteria e Flavio Boltro alla tromba. L'evento, programmato per le 22 ad Ispani, ha segnato un lieve ritardo iniziale, causato da vari imprevisti. Ciò non ha creato malcontento nel pubblico, malgrado un fastidioso clima atmosferico caldo-umido, caratterizzante i primi giorni di questo agosto 2009.

Flavio Boltro ha indossato subito i panni del leader, presentando simpaticamente i compagni d'avventura, lasciando già dalle prime note la sua impronta timbrica, tracciando il percorso esecutivo battuto nell'intero concerto. Tale consapevolezza dei propri mezzi e padronanza della scena non ha trovato una pari intensità espressiva in alcuni dei partners coinvolti. In particolare, alle prese con uno strumento grondante umidità, John Arnold non è sembrato in vena: piuttosto scontato e prevedibile nel supporto ritmico di sfondo, eccessivamente esuberante nelle dinamiche e talvolta drammatico negli assoli, ha fatto rimpiangere sia l'elegante J. Riley, sia il creativo A. Nussbaum. Inoltre, alla maestria dell'artista torinese, non sempre ha fatto eco il lessico pianistico di Sabatini che, solo a partire dalla quarta performance in poi (interminabile blues denso di esposizioni individuali), ha messo a fuoco un più convinto interplay con Boltro. Per il talentuoso Aldo Vigorito il discorso cambia: il contrabbassista salernitano (autentico globetrotter della scena jazzistica italiana) ha mostrato la sua ineguagliabile affidabilità e spiccata sensibilità interpretativa. Concreto nel sostegno ritmico, misurato nel dialogo con il solista di turno, raffinato in taluni passaggi in solo, ha rappresentato il sicuro perno di riferimento per gli altri componenti del quartetto.

La scelta delle composizioni, che via via si sono materializzate nell'ora e mezzo di concerto, ha attinto la sua linfa vitale nel mai invecchiato humus degli storici standards. Dal sentito omaggio di Little Sunflower a Freddie Hubbard alla luminescenza solitaria della tromba di Flavio Boltro in Round Midnight, dal fugace accenno dell'intramontabile Summertime al giocoso Thema for Flingstone, si è assistito più ad una divertita jam, che alla presentazione di un vero progetto.
Pertanto, fra luci ed ombre hanno prevalso le seconde, determinando un'opacità di fondo nelle performances live di questo Flavio Boltro Quartet, a cui lo scintillio timbrico del leader e la consumata esperienza di Vigorito non sono bastati a colmare la mancanza di un corretto equilibrio dei ruoli, una comune condivisione d'intenti e quant'altro si possa riscontrare in un consolidato fare jazz d'assieme.

In conclusione, come sopra enunciato nell'occhiello virgolettato, si deve effettuare un sincero plauso allo staff organizzativo dell'Ispani Jazz (D. a. Gerardo Di Lella, Assessore t. s. Michele Morabito, sponsor vari), per la coraggiosa svolta internazionale. Questa, non solo ha ampliato gli orizzonti della manifestazione, portando artisti di grosso calibro nel bellissimo basso Cilento, altresì ha permesso a molti neofiti di estendere i propri confini jazzistici.
Dunque, visto il nuovo corso intrapreso da questo Jazz Festival campano, non ci resta che augurargli una lunga vita, continuando nel tempo il suo brillante cammino e confermando la bontà del programma 2009, in cui si è raggiunta l'apoteosi estetico-formale dell'incantevole serata di San Cristoforo.







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Data pubblicazione: 06/09/2009

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