Intervista ad Antonio Tarantino San Severo Jazz Winter marzo 2015
di Alceste Ayroldi
click sulle foto per ingrandire
Qual è la storia del San Severo Jazz
Winter?
Prima del Jazz Winter, la storia di San Severo Jazz nasce nel
1994 con la costituzione, per mia volontà, dell'associazione
no-profit "Amici del Jazz San Severo" di cui sono presidente e direttore artistico,
con l'intento di promuovere e favorire manifestazioni artistiche culturali e offrire
ad un pubblico più vasto un panorama ampio della musica jazz. La dizione "Jazz Winter"
nasce invece nel 2009 sulla scia delle le bellissime
esperienze degli anni precedenti. San Severo Jazz è una manifestazione che è stata
capace negli anni di radicarsi così a fondo nel tessuto sociale economico e culturale
del territorio. Tantissime sono le testimonianze di musicisti d'oltreoceano, europei
e nazionali, personalità della cultura e semplici appassionati che ci hanno sempre
sostenuto ed incoraggiato nella diffusione della cultura jazz
Come effettui le sce1lte artistiche?
Qual è il percorso artistico che disegni?
Le scelte artistiche non sono a caso, o come tanti osano fare con il last minute,
ma nascono dalla conoscenza e dallo studio sulle qualità artistiche e musicali degli
ospiti e in riferimento al "tema" a cui vuole ispirarsi la rassegna. Per esempio
la rassegna del 2011 "Generations Compared"
era ispirata ad un confronto tra lo stile musicale della vecchia e nuova generazione;
questa in corso, "Attualità Della Memoria" è ispirata ad un percorso di stili e
ad una ricerca finalizzata ad indagare le parentele esistenti tra le Musiche Etniche
e la Musica Jazz. Ispirazione venuta fuori grazie all'omonimo libro di cui sei stato
coautore e che è stato presentato nell'attuale. La filosofia del San Severo Winter
Jazz e dell'associazione Amici Jazz San Severo, giunta al XXI anno di attività,
è come sempre quella di rinnovarsi e dare vita a progetti originali, focalizzando
di anno in anno i "luoghi non luoghi" dove poter sviluppare nuove idee. Il palco
viene inteso come un luogo di incontro, scambio, crescita e sviluppo. Una percezione
che mira alla riscoperta della curiosità e della bellezza. Ritornare ad incuriosirsi
delle cose, della vita e di ciò che ci circonda è oggi fondamentale.
Si è formato, nel tempo, uno staff e/o la collaborazione
con altre realtà associative locali?
Nei primi anni c'era un vero e proprio staff, con distribuzione di incarichi ma
col tempo e per svariati motivi si è interrotto questo sodalizio. Per quanto concerne
la collaborazione con altre realtà associative della provincia fui promotore, insieme
a Rino De Martino nel 1998, alla costituzione
del Centro Coordinamento Musica Jazz con sede a Foggia, di cui ricoprivo la carica
di vice presidente, e incorporava le attività associative della Capitanata, come:
Foggia Jazz Festival, per un brevissimo periodo anche Orsara Jazz, Riff Jazz Club
di Apricena, Jazz in Villa di Torremaggiore. Fu un'esperienza unica, bellissima,
anche perché rilanciammo, dopo anni di silenzio, il "19° e 20° Festival Jazz di
Foggia" (1998-1999)
- uno dei più importanti ed antichi d'Italia. Propulsore e promotore dell'originale
"Jazz In Cava" di Apricena nel 2000, edizione
unica. Un palcoscenico straordinario, unico, a 20 metri di profondità in una delle
cave di pietra più belle e suggestive d'Italia. Creare oggi un sodalizio fra le
poche realtà esistenti è difficilissimo. C'è mancanza di cultura associativa e di
cooperazione, ognuno vuol fare da sé, sembra come se qualcuno volesse frodare all'altro
un'alta carica istituzionale, quando si vuole affrontare un tale argomento che ritengo
di forte rilevanza, in virtù anche dei tempi economici difficili che stiamo attraversando,
la mancanza di contributi pubblici e privati. A maggior ragione, dovrebbe indurre
tutti ad una attenta riflessione: interagire e cooperare; significherebbe abbattimento
di costi, creare un "corpo culturale" di vasta dimensione per meglio ripartire sul
territorio e nell'arco di un intero anno le varie attività concertistiche.
Ritieni che San Severo, l'area dell'Alto Tavoliere sia
ricettiva al jazz?
Questa domanda è un po' difficile da spiegare. Lo era molto di più negli anni Novanta
e nei primi anni del 2000. Nei giovani, per
esempio, c'era più sensibilità e curiosità ad assaporare l'ascolto della musica
jazz con la partecipazione attiva ai concerti ma, oggi si fa più fatica ad averli
e la loro assenza è un cattivo segnale. Un po' come avvenne alla fine degli anni
Sessanta quando negli States questi si orientarono in forma oceanica verso il rock
e disertare in massa il jazz. Fu poi il grande e geniale intuito di Miles Davis
con il jazz elettronico ed il jazz-rock a rompere questo trend negativo. Oggi riscontro
tanta superficialità, diseducazione ed ignoranza particolarmente nei giovani che
studiano musica presso i due conservatori della provincia: Foggia e Rodi Garganico.
Una ignoranza che deriva anche, e questa è una denuncia vera e propria, dall'assenza
della partecipazione ai concerti dei musicisti della provincia, e ne sono tanti,
incapaci tra l'altro di educare i propri allievi e far pervenire al loro cuore il
desiderio e l'interesse a partecipare ai concerti, dove l'ascolto di questo o quell'altro
maestro diventa molto più di una semplice lezione didattica: deserto assoluto. Lo
dico con molto rammarico, perché è nella cultura dell'associazione Amici Jazz San
Severo quella di aver dato e continuare ad offrire spazio, sin dall'inizio, e in
tutte le rassegne prodotte, a gruppi e formazioni del territorio, e anche dell'intera
Puglia, offrendo loro ampia visibilità nella proposizione dei loro progetti musicali.
Ultimo, non a caso, è il quartetto Elladan Jazz, costituito da musicisti della provincia,
a cui è stato offerto la mia piena collaborazione alla produzione dell'omonimo disco
che anche tu conosci bene. Da menzionare anche la cover di un cd di
Antonio Tosques
4tet con
Mike Melillo (Block Notes - 2011)
che riporta la foto del concerto di presentazione del disco sul palcoscenico del
Caffè Tra Le Righe, come pure è citato il mio nome nel ringraziare quanti hanno
collaborato alla realizzazione di questo cd.
La tua attività di direttore-consulente artistico mi sembra
che non si esaurisca con San Severo Jazz Winter. Collabori con altre realtà?
Come ho avuto modo di anticipare prima, la mia è stata sempre un'attività allargata
anche ad altri orizzonti, come il Centro Coordinamento Musica Jazz di Foggia, Foggia
Jazz Festival, Jazz In Cava e, nel 2004 e
2005 durante il mio breve soggiorno a Parma,
ho collaborato con il Tribeca Jazz Club, proponendo artisti di fama internazionale
e aprire un'avventura tutta nuova in questa città esclusivamente Verdiana, avventura
che in prima istanza non credevano, ed invece, fu un gran successo. L'ultima collaborazione
è stata e continuerà ad esserci con il Jazzit Fest- Italian Jazz Expo, una creatura
di Luciano Vanni a Collescipoli, la grande festa del jazz made in Italy, dove nelle
prime due edizioni ho presentato due gruppi della provincia: Massimo Carafa
Ensemble ed Elladan Jazz di Fernando d'Anelli e Luana Croella. Fondamentale considerare
che tutto questo l'ho fatto sempre e continuo a farlo a livello amatoriale, non
è e non è mai stato il mio lavoro che mi consentisse di portare il pane a casa.
Potresti fare un bilancio del San Severo Winter Jazz?
E' di sicuro un bilancio molto, molto positivo. Sia dal punto di vista dei grandi
musicisti internazionali che sono stati ospiti di San Severo Jazz ma anche dal punto
di vista della partecipazione e della critica. Nei primi quattro anni, in virtù
di essere partecipe dell'amministrazione comunale, San Severo Jazz era patrocinata
dalla Città Di San Severo ed aveva luogo nel bellissimo teatro Comunale G. Verdi
e, quando in scena c'erano nomi come Kenny Wheeler, Johnny Griffin,
Lee Konitz, Elvin Jones,
Steve
Grossman,
Steve Lacy,
Enrico
Pieranunzi,
Franco D'Andrea,
Romano Mussolini,
tanto per citarne alcuni, il teatro era strapieno: palchi occupati fino alla terza
fila, cioè seicento persone circa. Amici che provenivano dal barese, da tutta la
provincia e anche dal pescarese. Davvero bello. Nel 2000
inizia il periodo dell'emigrazione. Il San Severo Jazz ebbe una nuova location,
il Times Square, una vecchia sala cinematografica ristrutturata e concepita come
se ti trovassi nella splendida piazza di New York, bellissima, con le pareti laterali
al palcoscenico che raffiguravano con i murales la piazza newyorkese, i semafori
a centro sala, veramente originale e capace di ospitare fino a 250 amici. Durò fino
al 2003, poi mi trasferii per un breve periodo
a Parma e nel 2009 altra location, il "No Time"
sempre a San Severo e dal 2011 la sede del San
Severo Jazz è diventata il Caffè Tra Le Righe/Spazio Off, molto bella, ma un po'
piccola per ospitare un pubblico più vasto come eravamo abituati prima. Il problema
è che i gestori di questo locali, a cui va tutto il mio riconoscimento e gratitudine
per l'ospitalità e l'ardua intraprendenza, pensano di far soldi nell'ospitare questi
eventi. Purtroppo non è così anche perché è sempre venuto meno, nonostante i tanti
solleciti, il contributo pubblico come supporter al mantenimento anche parziale
dei costi di programmazione che non sono pochi. Tutto sommato, un bilancio abbastanza
positivo per una piccola realtà di provincia.
Qual è stato il concerto più bello della tua rassegna?
Non posso rispondere a questa domanda, è come se ad una mamma con due o tre figli
si volesse chiedere qual è il figlio più bello e/o che ama di più. Però con riserva
posso affermare che il più bello fu con il compianto Kenny Wheeler. Il più
bello perché fu il primo concerto che aprì la storia di San Severo Jazz e dell'associazione
Amici Jazz San Severo.
E quello più brutto?
Non esiste nella maniera più assoluta. Ogni concerto ha una sua valenza e ognuno
si differenzia dall'altro. Solo un non addetto ai lavori potrà dire questo è stato
il più bello e l'altro invece il più brutto. Tu puoi insegnarmi ancora meglio.
Quali sono le tendenze del pubblico? Quali concerti sono
più affollati?
Le tendenze del pubblico sono varie. In primis, primeggia il jazz classico, come
il cool, il bepop, il trio per eccellenza o alla
Bill Evans,
tanto per intenderci, anche perché la stragrande maggioranza è costituita da persone
che si avvicina alla mezza età, che spesso non conosce le nuove espressioni musicali,
le nuove contaminazioni, i tantissimi giovani e nuovi musicisti d'oltre oceano ed
europei. Una tendenza quindi un po' ortodossa, che si rifà sempre al grande nome
del passato, ma alla fine, non disdegna il jazz contemporaneo. Ricordo nel
2009, la prima volta di Ambrose Akinmusire
e di Logan Richardson in Italia, e modestamente, San Severo fu la prima data
del loro tour italiano. Posso aggiungere Markelian Kapedani, un grande pianista
balcanico o la splendida voce polifonica di Gino Sitson. Tutti si chiedevano
ma chi è, chi non è, e alla fine dopo aver assistito ai rispettivi concerti, hanno
acclamato ed applaudito tutti.
E' possibile fare un identikit del pubblico? Noti differenze
tra le tre realtà?
L'ho spiegato un po' prima. Certo, il pubblico tradizionale preferisce cose che
rispecchiano un po' il loro passato, i ricordi, e quindi riascoltare un vecchio
standard è la maggiore gratificazione. I giovani invece vogliono percepire un sound
nuovo, più metropolitano, qualcosa che rispecchi non il vissuto ma la realtà in
cui vivono, un sound che possa trasmettere nuove pulsazioni, nuove emozioni, specialmente
se arricchiti da una ritmica sempre più crescente.
Hai notato che il pubblico ha modificato i suoi gusti nel
corso del tempo? Se la risposta è sì, come sono cambiati?
Assolutamente no per il semplice motivo che ho spiegato prima. C'è una doppia veste
di pubblico: ortodossa e non. Dico questo perché se volessi fare una considerazione
su di me, posso tranquillamente aggiungere che i miei gusti non sono mai cambiati
nel corso della mia vita perché amo ascoltare la musica jazz a 360 gradi. Se poi
si vuol fare riferimento alle mode, ai cicli storici, ai mutamenti che il jazz ha
espresso e raccontato nel corso degli anni, e devo aggiungere che nel secolo scorso
ci sono stati una decina di forti mutamenti, uno ogni dieci anni circa, devo dire
che tutto questo non ha assolutamente influito su un cambio di gusto. Cerchiamo
con una programmazione ben diversificata di accontentare tutti i palati.
Riesci a creare partnership di tipo culturale con altre
forme d'arte? Ne avete tratto giovamento da questa sinergia?
A voler essere sincero, non ci sono mai riuscito anche perché non posso dedicare
più di tanto a cose che possono distrarmi dal mio lavoro primario che richiede sempre
più tempo. Ho fatto si delle proposte di collaborazione ad associazioni espressive
di altre forme d'arte come la pittura, la fotografia, ma con scarso risultato. L'unico
vero coinvolgimento è la presentazione di libri con l'autore prima del concerto
in programma i quali si propongono a venire alle nostre rassegne per presentare
il loro ultimo lavoro. Questo passaggio è molto significativo perché trova riscontro
di cooperazione offerta non a senso unico ma un qualcosa che mi viene chiesto da
un'altra realtà. E' così bisognerebbe fare, non posso essere sempre io a fare inviti,
avance o quant'altro, ma ci dovrebbe essere una risposta di spontaneità e di partecipazione
alle nostre rassegne che non sono nate ieri, hanno 21 anni di storia, siamo conosciutissimi
sul territorio locale ma aggiungerei anche a livello nazionale. Che ben vengano
quindi a proporsi, da cosa nasce cosa, è una famiglia che si allarga. Ma la pigrizia
è evidentemente più forte in queste persone che promuovono espressioni artistiche
di altra natura.
Il prodotto culturale necessita di un "refreshment" dopo
un arco di tempo stimato in cinque anni ma, oramai, anche ben prima. Tu e la tua
organizzazione avete applicato questa regola di marketing? Se sì, in quale modo
e misura? Chiedo scusa ma non so che risposta dare, anche perché non ho ben recepito
la domanda. Un dato è certo: non applichiamo regole o politiche di marketing, non
andiamo alla ricerca di progetti più attinenti alle mode, alle nuove tendenze dei
giovani, come il rap. Niente di tutto questo, la nostra è una associazione No-Profit
che opera solo ed esclusivamente in ambito jazz cercando di proporre il meglio e
a minor costo. E su questo, non si può fallire.
Riuscite a creare sinergie con enti territoriali e/o enti
pubblici?
Con gli enti pubblici è un vero e proprio disastro. Solo nei primi quattro anni
l'Amministrazione Comunale della città di cui ne facevo parte essendo capogruppo
e Presidente della Commissione Bilancio ed Attività Produttive partecipò a pieno
titolo e a proprio carico alla realizzazione delle prime quattro rassegne che, come
ebbi modo di dire prima, si svolgevano presso il Teatro Comunale. Per di più, è
questa fu una grande soddisfazione personale, venne creato un apposito capitolo
di spesa nel bilancio di previsione: San Severo Jazz – Rassegna artistica internazionale,
notizia che fu ampiamente apprezzata e riportata sulla "Gazzetta Del Mezzogiorno"
a firma di Ugo Sbisà e sulla rivista "Ritmo" a firma di Gino Fortunato. Dopo
di che e con il cambio di guardia, è prevalsa una forte disattenzione a prendere
in considerazione questa nuova realtà culturale che riscosse un forte successo di
critica e richiamava un vasto pubblico che proveniva anche da fuori provincia. Più
volte mi sono adoperato a presentare sulla scrivania dei vari Sindaci che si sono
susseguiti progetti di grosso spessore artistico, fatto veramente in economia e
costi irrilevanti. La risposta: vedremo, qualcosa si può fare, una pacca sulla spalla
e via. Ebbene, mi è rimasto solo il ricordo della pacca sulla spalla e l'insensibilità
di quanto riesco ancora a promuovere sul territorio contribuendo ad offrire un forte
valore aggiunto e ampia visibilità alla mia città ed anche alla provincia. Cosa
che loro sono incapaci di offrire, incapaci di valorizzare chi si promuove sul territorio
con serietà, a meno che, non si appartenga a questa o all'altra parrocchia. Lo stesso
dicasi per la Regione Puglia e Puglia Sound. Due Istituzioni che non si degnano
nemmeno a darti una risposta, eppure erogano contributi a catena a favore di associazioni
ed apparati forse di matrice vendoliana. Una cosa nuova invece, dopo tanti anni:
apprezzo di cuore il riconoscimento del TG3 - RAI PUGLIA, che annuncia nel dizionario
delle ore 14, 00 l'evento in programma della giornata, il che può significare anche
un apprezzamento su quanto proposto.
E con enti privati? Vi è interesse da parte di istituzioni
private verso il jazz?
Nonostante il nostro territorio non vanta agglomerati industriali di certo spessore
ma piccole attività produttive artigianali specialmente nel campo della produzione
e trasformazione di prodotti agricoli, come il vino, l'olio, in passato si riusciva
a coinvolgere anche queste piccole realtà e a raccogliere tantissimi sponsor. Una
forte partecipazione e altrettanto significativa perché si contribuiva a rendere
meno oneroso il costo del biglietto. Oggi purtroppo, con la crisi economica, sono
pochissimi e irrilevanti gli sponsor che contribuiscono ad appoggiare la nostra
iniziativa culturale. Speriamo in tempi migliori.
Come giudichi l'attuale scena jazzistica italiana?
E' innegabile che stiamo vivendo un periodo di profonda crisi economica, (e non
solo), che sta provocando fortissime ripercussioni nella organizzazione di festival
e rassegne in tutt'Italia e constatare che il settore degli eventi culturali è ovunque
in caduta libera, fatta eccezione per le grandi manifestazioni come Umbria Jazz,
Pescara Jazz Festival, tante per citarne alcune, che godono di grossi privilegi
e finanziamenti pubblici. Per il resto, ed in riferimento all'attività concertistica
dei tantissimi jazz-club che considero l'unica vera realtà nazionale, devo amaramente
aggiungere che non navigano in buone acque, ma costretti a sopravvivere con forte
disagio e sacrifici personali e intenti a promuovere sempre tanto jazz, non per
solo dieci o cinque giorni all'anno, bensì ricoprendo quasi l'intero arco dell'anno.
E quella del "resto del mondo"?
Negli States è diverso, come pure in Giappone, Francia. A New York il jazz è il
loro linguaggio quotidiano, la cultura predominante. C'è forte partecipazione di
pubblico e soprattutto di musicisti nei tantissimi jazz club newyorkesi dove si
fa guerra per suonare in jam-session dopo il concerto della serata. Una realtà completamente
diversa, cosa da invidiare (nel senso buono della parola) rispetto ai nostri jazz
club dove non vedi mai tra il pubblico presente figure come Bollani, Fresu, Rava
ecc.ecc. In Italia se la tirano un po'.
La programmazione della tua rassegna quanto spazio dedica
ai musicisti italiani?
Tanto spazio, e in particolar modo a musicisti non molto conosciuti ai tanti appassionati
ed operatori del settore. Devo aggiungere che in quest'ultimo periodo ho avuto modo
di conoscere, ascoltare ed apprezzare tantissimi nuovi giovani musicisti con progetti
musicali originali e di forte spessore artistico di cui non sapevo nemmeno della
loro esistenza. Tutto questo grazie ai miei tanti spostamenti in varie località
d'Italia ed ultimamente grazie al Jazzit Fest, una quattro giorni di jazz made in
Italy, un evento straordinario, unico, di forte aggregazione della comunità jazz
e prodotto senza contributi pubblici, a impatto zero e in sharing economy. Altrettanto
spazio dedico ai grandi musicisti americani e, a onor del vero, aggiungo che li
preferisco perché costano molto, ma molto meno di quei pochi musicisti italiani
che si credono di aver raggiunto chissà quale limbo proponendosi con cachet proibitivi.
Potrei citare nomi e cifre ma penso che non sono il solo a condividere questo pensiero.
La differenza la fa con quale intento si suona jazz. In America la maggior parte
non vivono di jazz ma vivono per il jazz, lo suonano perché lo amano, fa parte del
loro Dna.
Nella comunicazione degli eventi, quanto affidate al tam-tam
e quanto al battage pubblicitario e/o alla comunicazione?
Il mondo della comunicazione grazie ad internet è cambiato moltissimo, non necessita
più il forte battage pubblicitario degli anni trascorsi che sottraeva tanta liquidità
agli operatori, ma una buona, sufficiente e mirata comunicazione attraverso i tantissimi
social network ritengo possa essere più che sufficiente per pubblicizzare gli eventi
in programma, come: Jazzitalia, Comunicati Musicali, Music Club, Puglia Jazz, Pugliaspettacoliedeventi,
Puglia Events, Magazzini Inesistenti, Jazz Convention e tantissimi altri ancora.
Poi ci sono i comunicati stampa che vengono inoltrati a quotidiani e testate locali
che ben volentieri prestano cortese attenzione e disponibilità alla loro pubblicazione.
A tuo avviso, cosa dovrebbe-potrebbe fare lo Stato per
migliorare la situazione delle attività festivaliere, rassegne jazz italiane?
A mio avviso è molto semplice. Bisognerebbe istituire un albo nazionale al quale
dovrebbero iscriversi tutte le Associazioni esistenti ed operanti sul territorio,
inviare un curricula sulle attività svolte negli anni e il calendario della futura
programmazione. In virtù di quanto prodotto e documentato, la Stato e/o il Ministero
Per I Beni e Le Attività Culturali potrebbe e/o dovrebbe plasmare il plafond disponibile
e contribuire ad elargire contributi in virtù di tali funzioni. Se si vuol fare
di più ed evitare le clientele periferiche, le Regioni e Comuni potrebbero e/o dovrebbero
elargire contributi alla stessa maniera di quanto detto prima e lasciare una documentazione
pubblica sulle eccellenze riscontrate e le somme erogate a ciascuna di loro. A questo
punto è facile riscontrare se questa associazione aveva tutti gli attributi per
godere dei contributi pubblici messi a disposizione. Questo non significherebbe
far scoppiare una guerra tra poveri con denunce e controdenunce, ma quantomeno avere
trasparenza su come e quanto operato. Non è pensabile, né tantomeno giusto, che
si continui a elargire la maggior parte del plafond disponibile sempre, solo ed
esclusivamente a favore delle solite strutture, di quei grandi eventi che sono diventati
negli anni cattedrali nel deserto. Un numero sempre inferiore di spettatori ed in
particola modo di giovani che non possono permettersi il costo dei biglietti applicati
in misura esasperata ed asociale. Qualche anno fa per assistere al concerto di Keith
Jarret Trio ad Umbria Jazz il biglietto costava € 120, 00. Lo stesso anno, dopo
qualche giorno, lo stesso trio si esibiva al Pescara Jazz Festival dove l'abbonamento,
ripeto l'abbonamento ai quattro giorni di festival, costava solo 60, 00 euro. Cosa
significa tutto questo: evidentemente qualcuno con la cultura ci vuole mangiare
a guancia piena. Un decreto dello scorso anno, giugno se non vado errando, del Ministro
Franceschini rispondeva più o meno alle mie osservazioni e cioè bisogna trovare
e capire quali fossero e/o potessero essere le eccellenze italiane in ambito jazz
e mettere a loro disposizione e ai musicisti italiani un contributo (miserevole)
di 500.000, 00 euro. Ebbene, se fra le eccellenze mi includi Umbria Jazz e roba
simile, cosa resterà invece agli operatori dei jazz club che sono tanti, che sono
gli unici, le uniche vere eccellenze che non si esauriscono nel promuovere jazz
nell'arco di una settimana, ma lo promuovono costantemente giorno dopo giorno. No,
si può parlare e nessuno può affermare di promuovere cultura, qualunque essa sia,
se la si promuove per solo dieci giorni all'anno. Ed allora quale rimedio ? Per
me si potrebbe scegliere l'indirizzo sopra menzionato, e avere in maniera trasparente
informazioni sulle somme elargite a questa o altra operatività in rapporto al programma,
agli ospiti e da quando tempo si è stati attivi sul territorio. A San Severo Jazz
per esempio, dove tutto viene promosso con estrema cautela ed in economia, dodici
concerti in programma, 2 al mese, per 6 mesi (ottobre-aprile), 50% musicisti americani
e 50% musicisti italiani, basterebbe un contributo di 15.000 euro. Sono tanti una
media poco più di 1000, 00 euro a concerto? Non direi se pensiamo ai bilanci super
gonfiati di altre manifestazioni che ritengono di essere le eccellenze in Italia.
C'è un particolare fermento "istituzionale" che ha mosso
diversi animi, tanto da crearsi alcune associazioni. Pensi che sia questa la strada
giusta?
I fermenti istituzionali non mancano mai. Ci sono sempre i furbetti del quartiere
ma, per soccombere a tutto questo, abusi, spreco ed ingiustizie, penso che la strada
giusta possa essere quella menzionata prima e largamente illustrata. Anzi e in riferimento
a quanto esposto prima sul decreto del Ministro Franceschini, non so se e quando
è stato emesso il bando di partecipazione a cui potessero iscriversi associazioni
e musicisti italiani al fine di essere riconosciuto "eccellente" ed avere diritto
al contributo pubblico.
Hai già in mente il cartellone della prossima edizione?
Per una metà è quasi pronto. Naturalmente per segretezza e per conservare la curiosità
che dovrà esaurirsi con il botto finale preferisco non fare anticipazioni. Di certo,
San Severo Winter Jazz è, e sempre sarà, legato all' originalità dei progetti!
Antonio, ma tu e il jazz da quando andate sottobraccio?
E come è avvenuto l'incontro?
Sarò breve, altrimenti potrei scriverci un libro. Sono stato educato sin da piccolo
all'ascolto di dischi, 78 giri per la precisione, di Musica Classica. L'Opera, il
Melodramma Italiano non mancavano mai perché i miei genitori di sovente mi portavano
con loro al Teatro. Ma non mancava anche Carosone. Negli anni Sessanta - Settanta
le cose cominciarono a cambiare. Ascoltavo, come tantissimi amici di quel periodo,
- classe 1950 - solo musica rock. Nei primi anni Settanta, le contaminazioni del
rock con il jazz o viceversa. Ricordo i Jethro Tull con "This Was", una musica
miscelata tra poco rock, discreto blues con matrice jazz: bellissimo. Poi ancora
e mi fermo qui perché l'elenco sarebbe lunghissimo, con i Traffic, un doppio Lp
live del 1973 "On The Road": rock dirompente
con forte contaminazione jazz specialmente nel sax di Chris Wood. E poi cominciai
a scoprire Miles Davis con "Live at the Fillmore"
1970, Bitches Brew, i concerti con Carlos Santana e
la Steve Miller Band. E' in questi primi anni Settanta che nasce la mia curiosità
nel voler apprendere e conoscere sempre di più la Musica ed il linguaggio Jazz,
partendo quindi dalle origini o quasi. Esattamente con il cool jazz, il jazz della
West Coast di Gerry Mulligan,
Stan Getz,
Chet Baker.
Uno dei primi dischi che mi capitò tra le mani: Lennie Tristano. Me ne innamorai
subito e il brano che più mi colpì fu "Requiem". E poi ancora Kind Of Blue
con So What, Blue In Green (brano di cui mi incuriosì la storia se
l'autore fosse stato Miles Davis o
Bill Evans).
Da quel momento non mi sono più staccato dalla Musica Jazz, l'originalità, il diverso,
la ricchezza di quanto si produceva e di quanto ancora ero ansioso di apprendere,
arricchirono sempre di più questo sodalizio. Bologna 1975,
nella veste di studente universitario e bancario, era il primo anno che cominciai
a lavorare al Banco di Napoli di Bologna, decisi insieme ad un mio amico della "dotta"
e grande cultore di jazz di mettere su un jazz club. "Club 33" – perché era ubicato
al numero civico 33 di Strada Maggiore e perché si ascoltava più musica prodotta
dai classici 33 giri, e poi… la storia continuò senza fermarsi mai.
Il tuo sogno nel cassetto…
Gargano Jazz: promuovere un grande festival itinerante nei comuni del promontorio.
In ordine alfabetico: Foresta Umbra, Peschici, Rodi Garganico, Vico Garganico e
Vieste. Sarebbe un regalo meraviglioso se questo sogno possa divenire realtà. Ho
provato negli anni a contattare le varie amministrazioni pubbliche del posto ma,
per ora, resta ancora un "Grande Sogno".