Catanzaro Jazz Fest 2006
Adam Kolker+John Abercrombie Quartet
Dick Oatts Quartet
Jean-Michel Pilc Trio
di Andrea Caliò
Il
Catanzaro Jazz Fest giunge quest'anno alla sua decima edizione e per
festeggiare degnamente i due lustri di vita propone un interessante calendario di
eventi: prima spazio ai gruppi "pianoless", ai binomi sax-chitarra, Adam Kolker
accanto al celebre John Abercrombie, Dick Oatts assieme al nostrano
Pietro Condorelli.
L'ultima serata è invece dedicata proprio al pianoforte, ed è proprio una bella
dedica: ad esibirsi è il trio di Jean Michel Pilc.
Il
preludio di questa edizione si svolge il 28 Ottobre
al teatro Politeama di Catanzaro, che accoglie un pubblico numeroso e sempre più
affezionato a questa manifestazione. Sul palco salgono i quattro protagonisti del
concerto: Bob Meyer alla batteria e
Piero
Leveratto al contrabbasso accompagnano il sassofonista Adam Kolker
e l'icona della chitarra jazz John Abercrombie. Il gruppo, co-diretto dai
due solisti, propone un unico set, ricco di ballad e brani medio-lenti, alternando
composizioni originali di Abercrombie e Kolker a melodie celebri del
jazz-songbook. Musicisti dotati di capacità tecniche indiscutibili, i quattro non
sembrano tuttavia aver raggiunto ancora il giusto grado di affiatamento, o, più
semplicemente, non sono in serata, benchè nell'arco del concerto non manchino alcuni
spunti interessanti. Fra gli episodi meglio riusciti i brani a firma di Abercrombie,
le cui atmosfere evocano alla mente suggestioni crepuscolari. Altra piacevole sorpresa
della serata è "Nash", di Kolker: un
brano totalmente free, del tutto differente rispetto alle direttive impresse dal
gruppo alla serata, un enunciato scarno che lancia il quartetto in una furente improvvisazione
collettiva al di là degli accordi e delle convenzioni.
Piace di meno l'esecuzione di "Long ago (and far
away)", in cui sax e chitarra sembrano un po' "pestarsi i piedi"
a vicenda, mentre impeccabile è la riproposizione degli altri classici (come "Embraceable
you") per quanto non sempre capace di emozionare.
Kolker suona il tenore con ampio uso di overtones che ben si sposano con
la musica proposta al Politeama ed al soprano è dolce e disinvolto; Abercrombie,
capace di miscelare nella sua idea di jazz il country e il folk americano, rinuncia
al virtuosismo per puntare sull'originalità degli assoli, sostenuti dai poliritmi
di Meyer e dalla cavata di
Leveratto,
diligente accompagnatore anche se un po' "precipitoso" in alcune uscite solistiche.
In conclusione il bis, con tanto di citazione in assolo da parte di
Abercrombie di quel "Non dimenticar" divenuto celebre negli USA dopo
la riproposizione di Nat King Cole col titolo di "Don't forget": il
pubblico percepisce la dedica del chitarrista e perdona ai quattro jazzisti una
prestazione un po' sotto le aspettative, tributando alla fine sinceri applausi di
ringraziamento.
Per il secondo appuntamento della rassegna catanzarese ci si trasferisce
al più "raccolto" auditorium "A. Casalinuovo", dove va di scena il
5 Dicembre il quartetto dell'altosassofonista Dick
Oatts, affiancato da
Pietro Condorelli
alla chitarra, Marc Abrams al contrabbasso ed Enzo Carpentieri alla
batteria.
Nonostante
la sua fama qui in Italia sia inferiore rispetto ai leader degli altri gruppi della
manifestazione, Oatts regala al pubblico presente una grande serata di musica,
presentando brani ricchi di groove, sintesi esemplare del bop secondo la prospettiva
di un jazzman del XXI secolo. E non potrebbe essere che questa la direttrice impressa
alla sua musica da questo generosissimo contraltista dello Iowa dotato della tecnica
di Charlie Parker, pronto a proporre ad ogni brano assoli chilometrici, capace
com'è di riempire le battute sempre in modo originale, come solo i grandi sanno
fare.
L'elevato spessore di Dick Oatts non fa comunque passare in secondo
piano la presenza nel quartetto di un chitarrista del calibro di
Pietro Condorelli,
altro eccezionale virtuoso, che senza fatica dialoga con l'ancia del compagno americano
e ribatte ad ogni suo assolo con una naturalezza di fraseggio ed una scioltezza
di dita che rendono bene l'idea della sua classe.
Se due musicisti di tale livello sono messi in condizione di esprimersi al
meglio, il merito va senz'altro attribuito ad una sezione ritmica che suona a meraviglia:
Marc Abrams al basso ed Enzo Carpentieri alla batteria generano pulsioni
ritmiche trascinanti, rendendo tutto facile ai solisti, e apportando il loro contributo
timbrico ad un gruppo che suona una musica attualissima, ma che affonda le radici
nel passato dell'America nera.
Fra i brani proposti, tutti subito belli all'ascolto e dal respiro metropolitano,
alcuni lasciano il segno: "Simone's dance" e
"King Henry", su tempi sostenuti; la maliconica
ballad "Meant for you", al termine della quale
Oatts si libra in alto senza accompagnamento in una bellissima cadenza solitaria;
il blues "Mel's Minor", bis fortemente voluto
dal pubblico, che chiude la serata con lo stesso brio con cui era cominciata.
Va senz'altro menzionata a parte la composizione che Oatts propone
in memoria del grande Eric Dolphy, polistrumentista eccezionale e visionario,
prematuramente morto a soli 36 anni nel 1964,
nel pieno del suo sviluppo artistico. Il sassofonista omaggia il collega defunto
con un brano scritto in suo ricordo, e a sua immagine, intitolato "Emphasyzing
Eric", una melodia veloce, squillante, spigolosa, costruita su un tempo
in 15/8 su cui i musicisti sviluppano le proprie idee musicali con la stessa disinvoltura
con cui si affronta il più semplice esercizio in 4/4: ad Eric sarebbe piaciuto moltissimo…
Il martedì successivo la manifestazione chiude i battenti per questo
2006: il pubblico è purtroppo un po' meno numeroso
rispetto alle due date precedenti, ma comunque caloroso e pronto ad accogliere il
pianista transalpino Jean-Michel Pilc ed i suoi compagni, il batterista
Ari Hoenig e il bassista Johannes Weidenmueller.
C'è
grande attesa per la performance di questo trio, composto da tre musicisti di grande
levatura artistica, che fanno della sorpresa e dell'innovazione il loro cavallo
di battaglia.
Jean-Michel
Pilc, in particolare, negli ultimi anni è salito letteralmente alla ribalta
della scena jazzistica internazionale e fra qualche tempo pubblicherà il suo nuovo
album: "New Dreams".
Saliti sul palco, i tre presentano una musica modernissima, completamente
scevra da obblighi nei riguardi della tradizione, basata sui sottilissimi equilibri
di un trio che suona come fosse un uomo solo.
Emblematico l'approccio del gruppo ai tradizionali brani jazz: "Anthropology",
"All the things you are", "Straight
no chaser" perdono la loro struttura originale, l'enunciato compare solo
di tanto in tanto nel corso del brano e con storpiature più o meno evidenti, fra
le citazioni di "Mission Impossible" (su "All the things…") e dei corali
di Bach ("Jesus bleibet meine Freude", sul brano di Monk). La destrutturazione
praticata dal trio è capace di trasformare una ballad dai timbri pacati in una prorompente
melodia dal tempo sostenuto, o cambiare drasticamente l'evoluzione di un brano:
un approccio disinvolto, pieno di ironia, dinamico, che consente ai tre di sviluppare
numerose idee durante un singolo pezzo senza che la tensione del gruppo e l'attenzione
del pubblico diminuiscano.
I brani originali eseguiti durante il set sono alcuni a firma di Pilc,
altri di Hoenig. Il batterista pulsa letteralmente di ritmo, con le sue bacchette
malmena - anzi ben-mena – pelli e piatti sino a storcergli il timbro desiderato,
ma li accarezza dolcemente a mani nude quando si tratta abbassare i toni dei brani.
Di sensibilità sopraffina, in un blues a sua firma gioca con gomiti e dita tendendo
e rilassando le pelli e riuscendo a variare le note dei suoi tamburi, quasi suonasse
uno strumento melodico.
"The
Painter", sempre opera sua, è uno dei brani più belli della serata: dotato
di una straordinaria organicità, si sviluppa salendo di ritmo e fa da sfondo ad
uno dei tanti dialoghi a due fra Pilc e Hoenig, che si ascoltano attentamente,
si scambiano i ruoli, pongono gli accenti nello stesso istante creando stupefacenti
climax.
Jean-Michel Pilc usa il pianoforte quasi fosse uno strumento a percussione,
insiste su note ed accordi ottenendo vibranti pieni armonici; il suo fraseggio,
poi, è luminoso e piacevolissimo da ascoltare. Melodie come "Golden
Key" o "New Dreams" (che prende spunto
da un brano di Schumann) mettono in risalto tanto la sensibilità di questo musicista
come compositore e esecutore quanto l'interplay telepatico fra i membri del trio.
Alle spalle di Hoenig e Pilc, Weidenmeuller, perno degli
equilibri del gruppo, col suo contrabbasso scandisce i tempi, segue e detta i cambi
di passo, improvvisa con determinazione e sicurezza, il tutto con la semplicità
e la calma dei musicisti più dotati.
Un concerto dalle mille tinte quindi, sorprendente ad ogni nota, come pochi
se ne sono ascoltati a Catanzaro: una chiusura formidabile per questi primi dieci
anni di Catanzaro Jazz Fest, e un augurio che questa importantissima rassegna cittadina
di musica jazz possa continuare nei prossimi anni con la stessa varietà di proposte
che sinora l'ha caratterizzata.
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Data pubblicazione: 04/02/2007
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