Easy, ovvero...facile innamorarsi del sound di questo disco. Appena parte lo straordinario e inconfondibile Full House di un grande quale è stato Wes Montgomery, si viene avvolti da un insieme sonoro compatto, fluido, dinamicamente perfetto. Nell'arrangiamento proposto si sono riusciti a trovare elementi di originalità pur mantenendo l'imprinting e l'energia che questo brano trasmette nelle sue versioni originali eseguite da Wes. Come ad esempio i coinvolgenti intermezzi a due
e tre strumenti che forniscono momenti di preludio ad un solo o alla ripresa del tema. E' infatti uno di questi intermezzi che avvia il solo di
Condorelli dotato oramai di un fraseggio talmente riconoscibile da non potersi sbagliare. Se con
Full House ci si è "riscaldati", con Del Sasser il clima è totalmente acceso. Swing corroborante su cui i fiati (particolarmente privilegiati da
Condorelli in tutto l'album) espongono il tema coralmente insieme alla chitarra del leader mostrando ancora una volta molta coesione e dietro cui risalta anche l'estro pianistico di Francesco Nastro mentre Pietro Iodice e Pietro Ciancaglini
rendono il percorso morbidissimo smussando ogni asperità, consentendo così a
Scannapieco,
Condorelli e
Bosso di improvvisare al meglio.
Search for a New Island dell'indimenticato e indimenticabile Lee Morgan fa da intro al primo brano composto da
Condorelli,
M.L. Samba, dedicato non a chi scrive....;-) bensì alle avventure della barca
Mascalzone Latino. Brano scintillante, solare, con la sezione fiati sempre presente, mai invadente, atta a sostenere passaggi armonici e a rimarcare stacchi ritmici (perfetto Iodice nel suo modo di cogliere ogni accento anche con semplici tocchi appena più intensi) e un
Condorelli in forma a dir poco smagliante. A completo agio fraseggia e volteggia con estrema pulizia, un vulcano di idee.
Bosso, che lo succede nella sequela dei soli, non è sicuramente da meno e supportato sempre dai sax e dal trombone improvvisa in crescendo fino a cedere il passo al drumming di Pietro Iodice in solo sul riff introduttivo.
Finjang può essere considerato un po' un "marchio di fabbrica" date le sue peculiarità, tipiche delle composizioni di
Condorelli presenti sin da album come "On
My Browser": cambi di tempo, aperture, pedali, fraseggio molto attento agli aspetti ritmici incuneato negli anfratti del groove di Iodice. Un brano sicuramente complesso ma nell'insieme molto ascoltabile grazie alla capacità di evitare sovrapposizioni.
Y Todavia La Quiero, di Joe Henderson (sul magnifico
Relaxin' at Camarillo, Contemporary) è un brano semplicissimo nella struttura, estremamente lirico, sospeso, denso, intenso che vede un
Condorelli in un'ispirazione quasi mistica.
Red Apple Jam prede spunto, non solo dal titolo, dalle sonorità del jazz moderno newyorkese "tradendo" in vari passaggi anche qualcosa di latino e se si pensa alla New York di oggi, sempre più multietnica,
si può pensare che siano richiami appositi e ben congeniati. Di rilievo il duo
Scannapieco-Iodice,
lasciati soli a dialogare dando il meglio di loro stessi. L'intro di Bedouin di Pearson ripete lo schema del duo con la batteria che
in questo caso supporta
Condorelli.
Dal 6/8 iniziale passa ad uno swing trainante e lievemente articolato in cui i solisti
Nastro,
Bosso
e Condorelli
hanno ampio spazio di espressione.
L'album si chiude con un blues, Ask Me Why. 10 minuti
di pregevole fattura con un eccellente solo di
Bosso in cui le svariate voci possibili della tromba sono tutte sciorinate mostrando adeguatezza del contesto, un trombettista unico. Raddoppio di tempo per il solo di
Condorelli che "alleggerisce" il mood articolando frasi, idee, riuscendo a condurre i partner verso lievi ma significativi cambi dinamici, un vero piacere ascoltarlo. Altro cambio di tempo, altro solo del piano di
Nastro. Il giovane pianista napoletano, da sempre al fianco di
Condorelli è sempre perfetto nell'interpretare le intenzioni della musica del chitarrista partenopeo avendo un ruolo sicuramente non facile dato il rischio di "invasione" ma riuscendo sempre a porsi in giusta evidenza facendo notare il peso e l'apporto
decisamente fondamentali.
E' un album da cinque stelle in cui si evince una straordinaria sapienza negli arrangiamenti (alcuni effettuati da
Filippo D'Allio), molta fluidità esecutiva (grazie anche al fatto che alcuni brani qui presenti sono già da tempo proposti dal vivo), una semplicità
d'insieme intesa come diretta derivata della complessità. Tutti segnali che oltre a dare pregio a questo lavoro fanno rilevare uno stato di salute del jazz italiano in continua crescita.
Marco Losavio per Jazzitalia
Liner Notes di
Marco Giorgi
Era il 1991 e, come ogni anno, a Ravenna si svolgevano i
workshop musicali di Mister Jazz. Docenti per la chitarra erano Pat Metheny e, per la batteria, Peter Erskine. Molti degli studenti convenuti da tutta Italia per i corsi non erano alla prima esperienza ed erano abituati a ricevere lezioni di alto livello dagli artisti che ogni anno si avvicendavano alla guida del seminario. Jazzisti di fama mondiale svelavano volentieri agli studenti i segreti più intimi delle loro concezioni musicali, mostravano solitamente le caratteristiche principali del proprio stile, o affrontavano temi di comune interesse per coloro che ambivano a migliorare la propria tecnica.
Ma quell'anno, Metheny, forse non
sufficientemente al corrente del livello di aspettativa degli studenti, non
insegnava teoria musicale ma si limitava ad illustrare le tappe della sua
esperienza artistica, sottraendosi spesso alle incalzanti domande tecniche degli
allievi. Per risolvere la situazione, divenuta insostenibile, e placare il
malcontento degli studenti, l'organizzazione approntò un'audizione nella
giornata conclusiva dei lavori. Chi voleva poteva salire sul palcoscenico,
suonare qualche battuta al cospetto di Metheny ed Erskine e ricevere da loro
consigli, critiche e, sempre, grandi incoraggiamenti. Quando però sul palco salì
Pietro Condorelli , chitarrista ventottenne pressoché sconosciuto, accadde qualcosa di magico. Il brano eseguito, "Stella By Starlight", fece calare il silenzio in sala. Chiunque tra i presenti avvertì che quel musicista aveva qualcosa di speciale da esprimere, che il suo modo di approcciarsi allo strumento non era solamente il frutto di tecnica e studio ben applicati, ma bensì un modo del tutto personale di concepire la chitarra. Metheny stette ad ascoltare e non interrupe l'esecuzione. Al termine lasciò la sua poltrona di platea, seguito da Erskine, salì anche lui sul palcoscenico. Si avvicinò raggiante al ragazzo e con un enorme sorriso gli disse: "Tu non hai bisogno dei miei consigli. Sei già un professionista". Stentava a credere di trovarsi di fronte "solamente" a uno
studente. Se per molti, e anche per chi vi scrive che era presente
all'avvenimento, Condorelli fu un lampo di luce viva, una scoperta inaspettata, una vera rivelazione, altri già ne avevano apprezzato le qualità. Qualche anno prima, infatti, Joe Pass aveva
regalato a Condorelli una dedica a cui ancora oggi il chitarrista tiene molto. "A very good player. Take my place! Learn to play solo!". Questo incoraggiamento glielo aveva scritto su un foglietto il più
grande tra grandi!
Molto tempo è passato, ma
Condorelli non solo non ha disatteso le aspettative di chi gli aveva visto muovere i primi passi, ma ha avuto il grande merito di saper gestire, di accrescere e di non disperdere il suo enorme talento. Il suo è stato un cammino di progressiva maturazione e di lenta ma costante costruzione di una personalità artistica inconfondibile.
La critica si accorse di lui nel 1997 quando lo segnalò come "Miglior Nuovo Talento" nelle votazioni del referendum Top Jazz della rivista Musica Jazz. Un riconoscimento, come spesso accade, tardivo per un musicista che aveva già alle spalle una discreta carriera, che guidava, assieme a Marco Sannini, una formazione stabile, il
Sonora Art Quartet, (spesso impreziosita
dalla presenza del grande Jerry Bergonzi al sax tenore) e che aveva collaborato con la storica formazione degli
Area.
Nel 2001 l'album "Quasimodo", segnò l'esordio discografico del
suo nuovo quintetto, con Fabrizio Bosso alla tromba e al flicorno,
Francesco Nastro al pianoforte, Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Pietro
Iodice alla batteria.
"Easy" è il secondo lavoro di Condorelli per la Red Records e nasce dall'idea di affrontare un repertorio moderno di composizioni diverse dagli standard. Una musica di ascolto a largo spettro, facile per la bellezza e la cantabilità delle melodie ma non facile da suonare proprio per la competenza e l'ispirazione che essa richiede.
Elemento unificante di un album che ricerca un suono "antico ma moderno" è la semplicità delle linee melodiche contrapposta a groove ritmici energici e molto vari tra loro. "Full House" di Wes Montgomery,
"Del Sasser" di Sam Jones,
"Search for a New Land" di Lee Morgan, "Bedouin" di
Duke Pearson per non parlare delle composizioni
originali di Condorelli,
brillano di luce intensa e mostrano come le intenzioni dell'artista si siano
pienamente realizzate. Una menzione particolare merita "Y Todavia Yo la Quiero" di
Joe Henderson, brano che evidenzia particolarmente le
qualità solistiche di Condorelli e del quale viene fornita una versione intimista e particolarmente ispirata. Il chitarrista ha curato in maniera particolare gli arrangiamenti, a beneficio del risultato finale, affidando a
Filippo D'Allio, suo allievo e collaboratore, la stesura di quelli
di "ML. Samba" e "Full House".
Per giocare sulla diversità all'interno della coerenza di progetto, ha inoltre
assegnato a un musicista diverso il primo assolo di ogni composizione,
allargando la formazione alla partecipazione di Daniele Scannapieco e Jerry Popolo (sax tenore e contralto) e Roberto Schiano (trombone).
Anche in questa scelta, Condorelli, dimostra di essere quel
chitarrista atipico che è sempre stato, un musicista libero dalla "schiavitù"
del proprio strumento, uno splendido chitarrista che però ama i fiati e il cui
fraseggio riflette molto di più quello di trombettisti e sassofonisti che quello
dei sui illustri colleghi. Un musicista di razza, che guarda alla musica nel suo
insieme e il cui vero strumento, in realtà, è l'ensemble.