Intervista a Max Ionata aprile 2014 di Laura Scoteroni
foto di Pasquale Fabrizio Amodeo
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Il sassofonista italiano riconosciuto in campo internazionale,
grazie al suo talento e alla sua affabilità come interprete e come persona, dove
spicca una personalità ricca di umiltà, di pulizia interiore che si riflette nella
sincerità espressiva che profonde nel suo strumento. L'intervista nasce da una pausa
durante i suoi concerti a Napoli, durante la quale la sua schiettezza lo fa apprezzare
ancora di più.
Ma cos'è per te il jazz?
Questa è la domanda più gettonata, ma è la più sensata per un artista che decide
di dare la propria vita a questo genere di cose. Per me è un modo di vivere, di
concepire la mia vita, questo non vuol dire che io improvvisi tutto, però con questa
mentalità affronto la vita. Improvvisare non vuol dire arrangiarsi. Improvvisare
è una cosa molto seria, molto ben organizzata per poter uscire e scavalcare anche
i problemi musicali in maniera agile. La mia ginnastica quotidiana è quella che
io uso per avvicinarmi allo strumento e cerco di usarla nella vita, cerco di vivere
la mia vita fino in fondo ma improvvisando in qualche modo, trattando ogni problema
come un problema musicale. Molti dicono che sono pazzo, quelli che vivono una vita
normale, ma pazzo non in senso negativo. Ho incontrato una persona nella mia vita
che è la mia compagna dal 1999, Stefania, è una storia atipica, anche se lei si
arrabbierà perché dice che la metto sempre in mezzo nelle interviste, lei in qualche
modo improvvisa come me, cioè amiamo la stessa sinergia, dico che siamo un duo perfetto
proprio per questo. Il jazz che cos'è? E' come ti comporti nella vita, un modo di
vivere, un modo di pensare le cose, un modo di vederle. Quando un ragazzo mi chiede
‘voglio imparare a suonare jazz' non è così facile perché devi pensare in jazz,
se vuoi suonare il jazz, devi veramente averlo in testa e soprattutto qua dentro
(indicando il cuore). Tante volte questa domanda me la fanno i ragazzi giovani e
tanti volenterosi, talentuosi che per quanto bravi e preparati non riescono ad entrare
in questa mentalità perché non hanno capito ancora che il jazz è un modo di vivere,
un modo di amare la musica, un modo di vederla. E' diverso dal musicista bravissimo
che sa suonare tutto, e magari male, non so.
Quali sono i sassofonisti che ti hanno maggiormente influenzato?
Non riesco a limitarmi pensando a qualcuno, però se devo dire qualche nome ti direi
Sonny Rollins
e Coltrane e Gordon. Il primo in assoluto che ho amato è stato Dexter
Gordon, del quale un mio amico mi regalò i primi dischi, io sono cresciuto in un
paese di provincia in una famiglia senza una tradizione jazzistica, grazie a questi
amici che mi hanno fatto ascoltare questo genere di musica, ho scoperto alcune cose.
La prima cosa che ho scoperto è Dexter Gordon, che mi ha praticamente stregato,
non sono più riuscito a staccarmi da questa cassette che si consumavano in macchina
a causa del mio frenetico ascolto. Io facevo un lavoro che mi portava in giro con
la macchina dalla mattina alla sera, consumando così queste cassette di Dexter;
poi piano piano sono passato all'ascolto di
John Coltrane,
poi Sonny Rollins
che è rimasto un amore per tanto tempo. Questi artisti sono ancora dei beniamini,
non mi permetterei mai di pensare di non ascoltarli più.
Qual è stata l'esperienza musicalmente più importante della
tua vita?
Sono talmente tante che è difficile dirlo. Io devo tanto a tanti artisti italiani
e tanti artisti americani, con i quali ho lavorato. Mi viene in mente la mia collaborazione
con Gegè
Telesforo, che mi ha insegnato a stare sul palco in un certo modo, avere
il senso dello show, il senso del sorriso. Ho un gruppo a mio nome che ospita Gegè
un Organ Trio con Gegè ospite, abbiamo fatto questa cosa per continuare a lavorare
insieme. Mi viene da pensare a
Roberto
Gatto, con tutti i progetti che ha condotto e la collaborazione con
Dado Moroni
che è iniziata da qualche anno e che stiamo portando avanti. Con Dado abbiamo fatto
un primo disco dedicato a Duke Ellington e l'ultimo "Two for Stevie"
nel quale abbiamo suonato musiche di Stevie Wonder, un disco molto particolare
nel suo genere. Continuo a collaborare con Dado e con tanti altri artisti. La situazione
a mio nome che sicuramente mi è piaciuta di più è il trio americano con Clarence
Penn e Reuben Roger che è iniziato con lo stile italiano di chi chiama
gli americani e li paga per fare le cose, poi siamo diventati così amici, c'è stata
una stima così reciproca che abbiamo fatto questo disco a nostro nome "Ionata
Penn Rogers Kind of Trio" dove ognuno di noi ha scritto musica per questo
disco, ed è stata una cosa che a me ha lusingato parecchio, perché è bellissimo
poter avere la collaborazione di grandi artisti che tu vedi suonare sui palchi con
i grandi tuoi colleghi americani poi magari sono al tuo servizio per suonare con
te.
Cos'è cambiato e cos'è rimasto uguale nel suo approccio
alla musica in questi anni?
E' rimasta uguale la genuinità credo. Odio parlare di me, ma provo a mettermi dall'altra
parte e vedere quello che io spero di trasmettere. Credo che la genuinità e la sincerità
siano cose che mi ha insegnato mio padre. Forse la cosa più bella che abbia potuto
trasmettermi è l'onestà, quella intellettuale ma anche quotidiana. Nelle cose non
riesco ad essere disonesto, perché papà era carabiniere, quindi era impossibile
anche fumarsi uno spinello a casa, quindi non siamo riusciti a fare neanche questo.
Però questa cosa mi è rimasta nella musica e sicuramente sono contento di avercela
ancora, perché io se suono davanti a cinque persone o davanti a duemila persone,
lo faccio nella stessa identica maniera. Non è tanto per una questione legata alla
professionalità, perché il professionista è capace di fare l'uno a l'altro in maniera
impercettibile, io invece mi emoziono nello stesso modo, cioè suono con la stessa
intenzione, non importa se c'è solo una persona ad ascoltarmi, non so il motivo,
ma forse perché io suono anche per me, o per i musicisti che suonano con me. Quello
che è cambiato è sicuramente la sicurezza, quella che una volta non era così, magari
10-15 anni fa non era così. Oggi mi sento più sicuro quando affronto le cose, e
so più o meno come cavarmela nelle situazioni musicali. La sicurezza è data anche
da un po' di mestiere che si impara. E' l'esperienza che ti aiuta a fare questo,
ma l'emozione, le cose che fanno parte del lato emotivo della musica, secondo me
è meglio non perderle mai. Più studi, più ti allontani in qualche modo dalla creatività
vera, nel senso che sei consapevole di tutto quello che sta accedendo e quindi di
magia rimane un po' meno. Però non riesco a fare a meno di studiare continuamente.
Nei tuoi dischi c'è ampio spazio al piano è una scelta
precisa come impostazione del tuo stile?
Il pianoforte in generale occupa uno spazio meraviglioso nella mia vita: lo adoro,
ascolto dischi dei pianisti continuamente. Mi sarebbe piaciuto suonarlo, infatti
lo sto studiando. Mi sono comprato un pianoforte e non smetto mai di suonarlo, sono
sempre lì a scrivere, a provare delle cose, per cui come vedi è ricorrente anche
questo duo pianoforte e sassofono nella mia discografia, c'è il disco con
Luca Mannutza
del 2002, ed ora questi due dischi col grande
Dado Moroni.
Umbria Jazz Winter 2011 puoi parlare di quella esperienza?
Ero lì con Roberto Gatto con un meraviglioso quintetto di cui sono felicissimo
di aver fatto parte, e di continuare a far parte con un altra formazione adesso.
Era un tributo a Shelly Manne e tutte le sere facevamo il "Round Midnight"
al termine del quale tutti i musicisti italiani e americani che suonavano ad Umbria
Jazz venivano da noi e chiudevamo con una jam session meravigliosa fino alle tre-quattro
del mattino. Ho avuto la possibilità di confrontarmi e di suonare accanto a Erik
Alexander e a tutti i miei beniamini. E' stata una cosa bellissima, anche perché
mi ha messo anche in luce con il grande pubblico.
Attività molto intensa negli ultimi anni, tra concerti
e l'uscita di due dischi l'anno con etichette diverse. Qual è il tuo rapporto con
le case discografiche per i tuoi dischi.
In realtà è sempre un rapporto conflittuale, perché quello che noi vogliamo e chiediamo
a una etichetta discografica purtroppo non sempre viene fatto, ma non per cattiveria
da parte dei produttori; il jazz è una musica di nicchia, anche se c'è stata un'ondata
di grande popolarità, non bisogna dimenticare che il jazz è un genere di nicchia,
per cui quello che noi pretendiamo non viene mai rispettato per i pochi mezzi a
disposizione. Quindi ciò che non può darti un'etichetta, cerchi di averlo da un'altra.
Con la Albòre Jazz Japan sono ancora sotto contratto, adesso sto collaborando con
la Jando Music/ VVJ (Via Veneto Jazz). Jando Music è il mio produttore Giandomenico
Ciaramella e la Via Veneto Jazz stampa i dischi e li distribuisce, ormai sono quattro
dischi che faccio con loro.
E' cambiato il modo di produrre un disco?
Per me sì perché ho finalmente un produttore che investe qualcosa su di me, e sono
felice di questo, cominciamo a fare le cose perbene. A parte il discorso giapponese
che è completamente diverso, più organizzato per via dell'indole giapponese, però
anche in Italia sto avendo lo stesso risultato.
A proposito di Fabrizio Bosso una curiosità. Il
brano "Two Friends" che fa parte del disco "Inspiration" è un brano che riporta
al jazz degli anni Sessanta. Come è nato questo brano?
La verità? Questo brano era stato scritto per me e Daniele Scannapieco, ed
avremmo dovuto registrarlo sul disco "Tenor Legacy", per un problema il brano
scritto da Luca
Mannutza non arrivò in tempo, così lo utilizzammo per il disco "10".
Una curiosità su questo lavoro: il disco è nato quando stavamo in studio a registrare
l'album "Inspiration", quello giapponese, come vedi la formazione è identica.
"Inspiration", non il live, è un disco che noi registrammo su commissione
di Satoshi Toyoda. Aveva preso in nolo lo studio per tre giorni, però alla fine
del primo giorno avevamo finito: avevamo registrato tutto. Così continuammo a registrare,
abbiamo buttato giù musica, quella che avevamo. Luca portava sue composizioni, altre
Nicola Muresu, così abbiamo messo insieme un po' di brani ed alla fine è
uscito questo disco, che è rimasto nel cassetto per anni, peraltro a me non piaceva.
Matteo Pagano mi chiamò dicendomi che gli sarebbe piaciuto fare un disco
con me, così proposi svogliatamente quello già pronto con le mie riserve. Dopo due
ore che li avevo dato il disco mi chiama Matteo entusiasta, così uscì e fu una bomba,
come vendite e come immagine che mi sparò in alto in Italia, perché fu il mio primo
disco di vero successo. Questo è "10", per caso, tante volte le cose per
caso accadono e riescono. Nelle interviste di presentazione in alcune radio di Roma
mi chiedevano se il numero era un omaggio al ‘capitano Totti'.
Per "Inspiration Live" del 2014 puoi dirmi qual è stata
l'ispirazione? come è nato l'album?
Questo disco è nato un po' allo stesso modo. Vedi il jazz è così proprio per questo.
Il disco "10" è nato in questo modo, quest'altro è nato più o meno alla stessa
maniera. Registrammo un concerto live che per vari motivi poi non abbiamo pubblicato
come previsto. Avevo Satoshi che mi sollecitava a fare un nuovo lavoro ed in quel
momento non avevo l'ispirazione adatta per un lavoro nuovo, così diedi il disco
nel cassetto, che gli piacque è così lo produsse. Ecco perché il jazz è anche nella
vita, in quello che fai. Le cose migliori sono quelle che non hai pianificato. Da
dire che neanche ‘Inspiration Live' mi piace, sono precisissimo e
mi odio quando mi ascolto, però vedo che piace e continuo a farlo con entusiasmo.
Sono molto critico con me stesso.
E' riuscito nell'intento o pensi che si potrebbe aggiungere
ancora qualcosa?
Per questo forse no, ma per altri dischi che sono frutto di durissimo lavoro, come
quello in trio, lì veramente me la sono fatta sotto, ho vissuto per la prima volta
quello che poteva vivere Coltrane negli anni dei contratti con la Impulse Records.
Avevo un contratto per fare tre dischi l'anno, ma anche se fosse stato uno l'anno,
con tutti i concerti che hai da fare, gli impegni, le varie cose, magari non hai
l'ispirazione per scrivere, e devi scrivere per forza, ed io per la prima volta
ho avuto quest'ansia di dover fare una cosa per forza, ma non controvoglia, perché
avevo una scadenza, questi arrivavano dall'America.
Come te la sei cavata?
Devo dirti, ho scritto della musica che ancora oggi mi domando come abbia fatto
a scrivere certe cose.
Rendi meglio sotto stress?
Forse. Perché in fondo faccio "di necessità virtù", in quel momento dovevo farlo
per forza, così mi sono messo sotto e l'ho fatto; e ho scritto più musica in quel
disco che non in altri, dove ho chiesto a colleghi di mettere un brano proprio ecc.
E' venuta fuori una bella cosa, che piace anche molto.
Lavori in corso mi dici quali sono i tuoi progetti musicali?
Stiamo facendo dei concerti per il disco con
Dado Moroni,
un tributo a Stevie Wonder, in duo pianoforte e sax, dopo quello dedicato ad Ellington.
Lo stimolo è nato dal fatto che Ellington non abbia mai suonato in piccole formazioni,
quindi fare questa cosa in due era interessante: il miglior polpo, cioè un pianista
con venti dita era Dado, ed è la cosa migliore che potesse capitarmi. Stavolta con
Stevie è stata una proposta del nostro produttore, che ha chiesto il secondo disco
del duo e noi avevamo pensato da jazzisti a Monk, Parker, ma lui voleva essere stupito
con qualcosa di particolare. Così è stato Stevie Wonder, perché è un artista super-jazz,
cioè al di là del ritmo che hanno i pezzi, hanno dei cambi di accordi che sono degli
standard. La dimostrazione è che quando si ascolta il disco di Stevie, suona come
quello del tributo a Duke Ellington come situazione. Nei progetti musicali c'è il
mio con l'Organ Trio, dove c'è Alberto Currisi all'organo, Amedeo
Ariano alla batteria ed ospitiamo
Gegè Telesforo,
stiamo girando moltissimo in tutta Italia, tra festival e jazzclub.
Un progetto incompiuto?
Non posso parlare di progetto incompiuto, sarei bugiardo, perché sono una persona
troppo fortunata. Ho avuto una vita forse unica tra i miei colleghi, perché vengo
da un altro mestiere, da un'altra vita, ed essere arrivato oggi ad essere un professionista
e lavorare a livello internazionale, che posso chiedere di più? Questo era il mio
sogno. Sono riuscito a realizzare un sogno ed è una cosa bellissima. Mi piacerebbe
moltissimo fare un periodo all'estero, non perché non sia contento dell'Italia,
però mi piacerebbe fermarmi, vado spesso a suonare all'estero, però un conto è andare,
suonare ed andare via, un conto è vivere le realtà estere, perché vedo che all'estero
c'è molto fermento artistico.
Una domanda per il pubblico femminile: in questi dieci
anni hai cambiato look. Questione di marketing?
In questa cosa mi vedo un po' come
Sonny Rollins,
senza presunzione per carità, con le dovute proporzioni. Sonny cambiava look spessissimo
forse perché sentiva questa esigenza, lui una volta si è tagliato tutti i peli del
corpo. Io cambierei molto più spesso se potessi, però ho questo gendarme (Stefania,
la compagna, n.d.a.) che decide quando è il momento di fermare la mia voglia di
rasarmi a zero. Ho questo angelo che è la cosa più bella che la vita abbia potuto
regalare.