Quattro chiacchiere con...Joanna Miro ottobre 2014
di Alceste Ayroldi
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Il mondo del jazz è costellato principalmente di musicisti, ma
anche di tante altre professionalità che giocano un ruolo fondamentale nella divulgazione
della musica improvvisata. "Quattro chiacchiere con…" allarga le sue maglie
per entrare in contatto con questo emisfero e far conoscere i personaggi della musica
"senza uno strumento musicale". Joanna Miro è un tenace e competente
direttore artistico, consulente, organizzatrice di eventi di particolare spessore
e pregio.
Joanna, il tuo background è da manager. Come e perché hai
pensato di metterlo al servizio della musica?
Osservando le dinamiche nell'ambiente, che appaiono piuttosto sprovvedute, fatta
eccezione per i livelli più alti del settore, ovviamente. Un fatto incomprensibile
e inaccettabile ancor più nell'ottica del momento critico che tutto il mondo della
cultura vive in Italia. Dall'altro lato, la crisi economica generale spinge noi
tutti a lavorare più alacremente e, così, un hobby può diventare lavoro e viceversa.
E la fatica sparisce.
Sei nata in Polonia e ora sei
in Italia, ma conosci bene anche il tessuto culturale e artistico polacco. Quali
differenze trovi con l'Italia?
Forse quella di una valida considerazione da parte del pubblico nei confronti dell'arte
più impegnativa. Basti pensare che in Polonia la star nazionale assoluta è un pianista
classico, jazz, contemporaneo: il mio caro amico Leszek Mozdzer, del quale
la musica viene percepita in modo straordinario dal grande pubblico, capace di alzare
lo share dei canali tv nazionalpopolari, di riempire gli stadi e di vendere migliaia
di dischi. Non nascondo che mi solletica l'idea di tornare a Danzica, prendere il
tram, tirare fuori dai sacchetti appesi ai sedili un libro e passar piacevolmente
la corsa. Tutto nasce dalle basi...
Hai una particolare vocazione per la musica improvvisata.
Da dove nasce questo "amore"?
Ero davvero piccolina quando il nonno mi scelse come sua complice nell'ascolto della
musica. Una raccolta di dischi di musica classica di Wagner, Shostakovic,
Cajkovskij, Debussy, Ravel, per il jazz Gershwin,
Armstrong, Billie Holiday, Irving Berlin, Henry Mancini,
Miles Davis, Charlie Parker approdando nella contemporanea del suo
amato Krzysztof Penderecki ma anche di Reich o Glass. Ricordo
pure la sua virale curiosità di fronte alla musica sperimentale, e tutto questo
ben farcito da spettacolari colazioni alla viennese che mi preparava e da merende
a base di cioccolato fondente e melograno. La mia infanzia insomma. Il guaio accadde
quando andai alle elementari: non potendo fare le gite musicali guidate dal nonno,
una sera guardando la televisione vidi delle sperimentazioni dal vivo dei Kluster
e rimasi colpita, estasiata, meravigliata di quanto si potesse fare con la musica.
Credo che in quel periodo mi capitò di ascoltare Robert Fripp e Philip
Glass, avevo più o meno sette o otto anni e JazzJamboree lo davano in seconda
serata.
Ci parleresti del progetto Free Music
Experience? In cosa consiste e quali obiettivi ti sei data?
Credo che il nome tradisca l'obiettivo del format, anche per aver svelato i miei
piacevoli "traumi" d'infanzia! Nasce come una rassegna e, nel giro di poco tempo,
è stata riconosciuta coram populi come una produzione. Da lì i prodotti-rassegne
si definiscono prendendo i nomi definitivi di Castle's Jazz, Free Music & Wine e
Rete Donna 2.0. Gli obiettivi sono comuni a tutte le imprese ovvero radicare, ampliare,
perfezionare i format creati, magari con qualche differenziazione e valore aggiunto
come ad esempio possono essere le reti di lavoro.
E Rete Donna 2.0?
Amo i fatti, di parole se ne sentono fin troppe. Abbiamo riunito in rete le associazioni
di categoria, gli enti e varie organizzazioni con l'obiettivo di sostenere fattivamente
le donne e i bimbi in difficoltà o persino in pericolo di vita. Così abbiamo organizzato
due concerti di raccolta fondi per alcune case rifugio; andremo a ripetere l'operazione
il 6 dicembre con una madrina d'eccezione per Rete Donna 2.0:
Sarah
Jane Morris. In programma sono previste anche le azioni mirate a creare
le borse lavoro de minimis destinate alle donne da reinserire nel contesto
sociale e progetti coordinati volti al rafforzamento della parità di genere nel
quotidiano.
Sei anche l'ideatrice e direttore artistico della rassegna
Castle's Jazz. Quali sono le linee guida di questa rassegna?
Ha l'impronta soft e tradizionale, ma ugualmente parla i linguaggi del jazz e dei
generi ad esso affini, non limitandosi alle rigide classificazioni cui un genere
possa essere considerato minore all'altro. Esiste solo musica fatta bene o fatta
male. È la mia visione globale e senza soluzione di continuità. Il tutto avviene
nell'ambientazione che possa predisporre ad un ascolto degustativo e sensoriale
come ad esempio il Castello di Semivicoli cui la rassegna dura da 4 anni.
E un'altra tua consolidata rassegna è Free Music & Wine,
che dovrebbe partire tra un po'. Quest'anno ci sono parecchie novità, se non sbaglio:
ce ne parleresti?
Vorrei che il Free Music diventasse sempre più un'opportunità per tutti i musicisti,
anche di lunga corsa, di cercare e sperimentare qualcosa di nuovo, una piccola provocazione
a spingersi oltre il già suonato o già sentito. So che la strada è lunga e tortuosa
ma se non si inizia...Così la rassegna aprirà l'8 novembre col trio di
Roberto
Gatto e il suo nuovo progetto/album di jazz contemporaneo, seguirà a
distanza di 2 settimane un trio multietnico (india, nord africa, USA) con le contaminazioni
nel jazz. Il 5 gennaio avremmo
Stefano
Di Battista a "divertirsi" con la sinestesia tra le arti. Poi, a San
Valentino, sarà la volta di una toccata improvvisativa di
Fabrizio Bosso.
Al 28 febbraio avremo un trio abruzzese (Fabrizio
Mandolini- Daniele Mencarelli - Glauco Di Sabatino) che
mi ha colpita quest'estate proprio con la eclettica decomposizione e ricomposizione
sperimentale dei brani. Non vedo ora di ospitare ed ascoltare dal vivo il grande
Magnus Öström! Concludo invece con un pianista polacco in grande ascesa
Piotr Wylezol.
Presti particolare attenzione a mettere in relazione la
musica e l'enogastronomia. Pensi che sia un binomio imprescindibile?
Certamente no, è una mia scelta sentita visceralmente. Sarà stata la colpa delle
merende di mio nonno, o della mia passione per i vini rossi oppure ancora della
visione sinestetica a farmi percepire propria questa modalità in quanto compiuta
nell'amplificazione sensoriale. Inoltre vedo molta similitudine tra il jazz e il
vino: entrambi seguono da decenni innumerevoli innesti per diventare un capolavoro
di cui, infine, possiamo apprezzare l'opera.
Inoltre, sei molto legata alle arti visive. Un'altra liaison
per te imprescindibile. In quale ottica vedi il rapporto tra le arti visive e la
musica?
Per rendere il quadro più complicato nella comprensione delle scelte della sottoscritta
devo ammettere d'aver studiato la danza classica all'accademia e di aver condotto
la parte grafica del giornale scolastico. Magari se mia madre, reputandomi brava
in matematica, non mi avesse spinta a fare gli studi economici permettendomi di
frequentare liceo artistico, a quest'oggi in molti non avrebbero questo grattacapo.
A parte gli scherzi, sono affascinata dalle neuroscienze, dalle nostre capacità
cerebrali e plasticità cognitiva del nostro cervello. Solo un lavoro di stimolo
plurisensoriale può suscitare le forti emozioni e rimanere codificato nella memoria
a lungo termine diventando l'esperienza. È per questo motivo che fondo le arti diverse
cercando l'interazione con i partecipanti: regalare un'emozione, un ricordo, un
vissuto..
Come ricerchi gli artisti, le persone da coinvolgere nei
tuoi progetti? Quali caratteristiche devono avere?
Devono essere aperti al nuovo, alla sperimentazione, al gioco. In polacco come in
inglese vi è la stessa parola per dire "giocare" e "suonare". Non nascondo che la
mia mentalità, rimasta mitteleuropea, mi spinge a cercare proprio le persone simili
a me, che traggono l'entusiasmo e la vitalità nella ricerca dei percorsi alternativi,
avventurosi e viceversa nutrono un gran bisogno di esprimere la creatività vivida
e vera.
Qual è la musica improvvisata, il jazz che ti piace?
Penso di aver detto già molto. Forse potrei solo aggiungere che senza una grande
preparazione jazzistica un musicista è in certo qual modo mancante, esattamente
come lo è il più bravo ballerino che mai toccherà l'apice espressivo senza la preparazione
classica. Il Jazz è l'essenza, è la spina dorsale, senza la quale il resto non può
essere costruito. È un mio parere, a torto o ragione, la penso in questo modo. Da
lì può partire l'improvvisazione, la sperimentazione, la contaminazione.
Essere donna in un mondo prevalentemente fatto di uomini
è più difficile?
Ho un caratterino pure io e probabilmente anche il vizio di farmi piacere le cose
reputate inopportune alle donne. Potrei dire che mi diverto esattamente allo stesso
modo di quando praticavo le arti marziali e in quel tipo di palestre c'erano solo
gli spogliatoi maschili: dovevano uscire per farmi cambiare. Le donne non sono il
sesso debole e lo sappiamo bene e non vi è un lavoro migliore da quello cui la diversità
compone l'insieme, superiore per principio.
Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Risposta netta: creare un format anche in Polonia. Saprei pure la tipologia e come
farlo ma non è ancora il tempo.
Cosa è scritto nell'agenda di Joanna Miro?
Schemi, schemi e ancora schemi di nomi, numeri e disegni i quali a distanza di tempo
purtroppo solo io sono in grado di riprodurre il senso ma i quali hanno una consequenzialità
logica e mirata lucidamente all'obiettivo. Altrimenti che manager, seppur creativo,
sarei?