Questione di stile quella dei The Thrust.
I tanti climi sonori attraversati dal trio rimandano a funk, electro,
etno, r'n'b, nu jazz, scelte sostenute dal particolare ed interessante equilibrio
timbrico degli andamenti contemporanei, mai istrionici ed armonicamente spregiudicati:
di rado accade.
Lo stile viene impresso dalla lezione dei maestri cui essi fanno riferimento
(il Davis elettrico, Zawinul, Shorter, Hancock) di cui vengono esplorati i modi
sospesi e sovrapposti secondo il coerente ordine compositivo prediletto dalla band,
come in "Jungle", in cui il multiforme virtuosismo
del solista Pepe Ragonese segna di linee lievi, furtive, quasi notturne,
il gioco degli accordi sulla serrata trama di tastiere e percussioni.
Questione di stile, si diceva, non un banale calcolo ad effetto ma una
reale esigenza creativa che non disorienta, anzi, e che appare improntata alla ricerca
della rotondità del suono. Un buon esempio di contaminazione fra Jazz ed Elettronica,
un intuito non comune, una capacità di innovazione ed adattamento – come in "Flash"
– che sembrerebbe aspirare ad una sintesi stilistica orientata tanto dalle indicazioni
del post hardbop quanto dal recupero della matrice più genuina del new
soul e del looping da deejay. Fraseggi e andamenti comunque ben
riconoscibili e di pronuncia decisamente world, senza sminuirne (come spesso
accade) i contenuti, sempre tecnicamente esatti e sospesi in attimi di sicura emozione.
Lo spettro stilistico scandito dai tre è, a dir poco, variegato: un laborioso
atelier d'idee in movimento, la cui forza trascinante sono la naturalezza,
l'assenza di certe ispidità electro e la non convenzionalità delle atmosfere
più jazzistiche.
La tensione del modus e la vitalità dell'incedere strumentale sono
abilmente strutturate intorno a figurazioni che lasciano, sempre, ampio spazio all'estro
improvvisativo della tromba di Pepe Ragonese e del sax di
Stefano
Di Battista, cangiante e raffinato in "Five
days", tra morbidità vocali e contrappunti del soprano, aperto a venature
anche smooth, giustamente intonate ad un pathos lontano da ogni frammentarietà
commerciale e candidamente evocato, senza utopie cromatiche, solo all'insegna del
buon gusto.
Le atmosfere non patinate ed il pulsante tessuto musicale conducono chi
ascolta ad una naturale partecipazione, grazie anche alla volontà di esprimersi
in termini chiari ed immediati, ben comprensibili e ariosi: questione di stile,
appunto.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 23/06/2007
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