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Andrea Rea Trio
Arioso
Abeat (2014)
1. Restless (Rea)
2. Forgetful (Rea)
3. L'Alternatore (Rea)
4. Homeless (Rea)
5. Fido Dido (Rea)
6. Body And Soul (Green)
7. White Room (Rea)
8. Little Peach (Rea)
Andrea Rea - piano Daniele Sorrentino - contrabbasso Stefano Costanza - batteria Stefano Di Battista - sax
soprano (special guest track #3)
Via Pasubio, 6 21058 Solbiate Olona
(VA) tel/fax +39 0331 376380
Deciso cambio di passo per il trio guidato da Andrea Rea, che abbandona i
ritmi latini dell'esordio di White Room per cimentarsi con i maturi e introspettivi
suoni di un raffinato jazz europeo che guarda con interesse e gratitudine alla musica
classica, nello specifico alla tradizione pianistica romantica di Vlad, Liszt, e Chopin e Fauré, con propaggini verso le suggestioni pittoriche simboliste
di Redon e Böcklin. A queste infatti rimandano i lenti accordi di Rea, ricamati
su una delicata e raffinata base ritmica del contrabbasso e di una quasi impercettibile
batteria, le cui percussioni sono i battiti d'ala di una farfalla.
Il titolo, da parte sua, rimanda alla tradizione operistica, intendendo l'espansione
melodica tipica dell'aria della linea vocale, anche se eseguita sui versi sciolti,
normalmente musicati in stile recitativo. In questo album, si può metaforicamente
considerare la linea del pianoforte alla stregua del recitativo, che si espande
riempiendo le sezioni di ogni singolo brano, e assume l'ampiezza di un'aria. Lo
si comprende sin dalle prime note del brano d'apertura, Restless. E senza
requie, come da titolo, sembra essere il pianoforte di Rea, che accompagna incessantemente
quasi ogni singolo istante del brano, nella parte centrale del quale emergono blandi
echi di ritmi latini. Il suono è caldo e avvolgente, inizia su un ritmo lento, e
poi aumenta d'intensità sul finire della prima parte, riproponendo nella seconda
un'analoga simmetria.
Notevole anche Forgetful, un classico brano di jazz europeo, squisitamente
mutuato sulla tradizione pianistica romantica di Vlad, la cui lentezza ritmica suggerisce
lo scorrere del tempo, l'indugiare della memoria e il suo doloroso dissolversi.
Ancora una volta, come spesso accade con questo tipo di jazz, emergono atmosfere
mitteleuropee che suggeriscono una cinica pagina di von Rezzori, colma di disillusione
nei confronti dello scorrere dell'esistenza.
Un album che, a differenza di White Room, è caratterizzato da un'affascinante
crepuscolarità. Anche qui ritroviamo il titolo White Room, ma declinato in
tutt'altra maniera, nel senso che la settima traccia segue l'atmosfera generale
dell'intero album, suggerendo, per dirla con Shelley, la placida, incorruttibile
bellezza della bianca cupola dell'eternità, appena macchiata, nella parte centrale
dalla scia multicolore di un sorprendente virtuosismo dal ritmo accelerato accompagnato
da robuste percussioni.
Una diversa considerazione è dovuta a L'Alternatore, dove il sax soprano
di Di Battista introduce sin dall'inizio in una piacevole digressione al jazz d'autore
americano degli anni Quaranta, anche se la lezione è oggetto di una matura lettura
contemporanea, attraverso l'inserimento in un contesto sonoro dinamico e spigliato,
cui la batteria di Costanzo conferisce una certa allegria, e il pianoforte cadenzato
di Rea (che per una volta lascia il solco romantico), riveste di una gradevole dimensione
urbana con dinamici virtuosismi sul registro acuto.
È, Arioso, un gradevole album dallo stile maturo, che si lascia alle spalle
le scapigliature ritmiche di White Room, per regalare all'ascoltatore una
raffinata incursione nelle complesse armonie del jazz intellettuale.
Niccolò Lucarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 19/09/2015
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