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Quello della JPband è sicuramente un progetto interessante, e non solo per la singolarità della formazione di cui fanno parte un poeta (Domenico Cipriani), un attore (Enzo Marangelo) ed un pianista (Enzo Orefice).
Jazz e poesia non sono certo nuovi a questo tipo di flirt e tutti conosciamo i blues di Kerouac scritti sulle pagine di un notes come un solo di sax è improvvisato su un chorus di dodici battute. La particolarità di questo "esperimento" (se di esperimento si può parlare poiché il frutto di un lavoro che dura da quattro anni) è quella di trovare una via personale ed italiana in questo tipo di esperienza. Non si tratta innanzi tutto di un semplice reading (lettura di poesia o brani di prosa accompagnata da musica dal vivo) ma di un lavoro più elaborato in cui versi e musica nascono l'uno per l'altra, inscindibili come il susseguirsi di attimi che sappiamo nel jazz non ripetersi mai.
Le parole diventano note per temi che non sono musica, pur avendo ritmo; la voce sembra un sassofono, ma non intona canzoni. Per il resto è quella musica come l'abbiamo sempre conosciuta, in cui il pianoforte, brillante ma controllato di
Orefice viene affiancato da una sezione ritmica d'eccezione composta da Piero Leveratto al contrabbasso ed Ettore Fioravanti alla batteria.
Una contaminazione cosciente, mai fine a se stessa, che non monopolizza l'interesse ma anzi si rende trasparente quando ci si appresta a godersi un disco realizzato con passione di cui sono testimoni la ricerca e la cura dei particolari.
Quella del jazz è la musica fuggente per eccellenza. A volte ci si incontra con amici per assaporare il più possibile quegli istanti. Poi quando la musica è finita ci si saluta, sapendo che ognuno dovrà proseguire per la sua strada.
Dimitri Berti per Jazzitalia