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In tempi in cui molto ci si interroga sul futuro del jazz parlare continuamente
di innovazione può forse sembrare fuori luogo, o quantomeno ozioso, se si intende
privilegiare la riflessione sulla costruzione armonica piuttosto che sulla gradevolezza
dell'ascolto: ed anche in questo caso il discorso potrebbe risultare riduttivo.
Ci si chiede spesso se chi intende dar nuovi impulsi
al genere andrà nella direzione tracciata da chi davvero ha rinnovato il linguaggio
musicale negli ultimi 40 anni (Coltrane, Mingus, Taylor, Cherry, solo per ricordarne
alcuni) o seguirà la spontanea evoluzione delle forme e dei contenuti con un'autonomia
espressiva scevra da tecnicismi "rivoluzionari" che, alla fine, determinano convenzioni
un po' stantie.
Che Riccardo Fioravanti sia un maestro nell'accompagnamento ritmico,
uno strumentista spesso anticonvenzionale, un anticipatore di certe contaminazioni
oggi molto in voga, è fatto accertato per le tante convincenti prove fornite in
decenni di carriera, animando o prendendo parte a formazioni che hanno dato molto
alla musica contemporanea.
Con "Note basse" – titolo
coerente, l'opera è distinta dal frequente ricorso a tale registro – egli forse
intende continuare il corso di un processo inarrestabile nel jazz, la rottura degli
schemi prefissati, l'esplorare repertori diversi alla ricerca di profonde trasformazioni
sonore attraverso il mélange di effetti apparentemente quasi incontrollabili
e di entusiastiche fratture nella rivisitazione di pentagrammi ormai quasi tradizionali
quali "Seven days" di Sting, "Sunshine
of your love" di Jack Bruce, "Down time"
di Dave Holland,
"First song" di
Charlie
Haden, solo per citare alcuni degli spartiti che avrebbero dovuto far
parte, a diverso titolo, di una composita "musica di frontiera" che il quartetto
di Fioravanti sembrerebbe aver in animo di proporre secondo una sintassi
non ordinaria ed inedite alchimie: la scelta, poi, parrebbe in linea con le cinque
composizioni dello stesso contrabbassista.
Ma ecco che, se da una parte non si può non esprimere interesse per quest'
avventura, dall'altra forse prende piede uno scenario – pur ricordando le "note
basse" - multicolore, sfaccettato, vigoroso nell'intenzione, non di rado segnato
da fratture estetiche che con difficoltà prendono forma e ben rappresentano i dubbiosi
tempi che la musica e la società del nostro tempo paiono sempre più presentare.
I fraseggi dei solisti talora esasperano i decori sperimentali come logica
conseguenza di un approccio culturale molto particolare, estremamente soggettivo
nel suo essere, a volte, incauto, volendo amalgamare àmbiti sonori poco conciliabili
che non sempre confluiscono in un interplay convincente.
Si ha la sensazione della mancanza (e ciò sorprende) del calore e della dinamica,
della "personalità del suono", la stessa che dei quattro ognuno ha sinora apprezzato.
Le linee melodiche finiscono forse per involversi e ripercorrere metodiche esplorazioni
già note che divengono prevedibili nel timbro e negli slanci virtuosistici, evocando
atmosfere un po' fredde, quasi costrette dall'esigenza di creare un sistema controllato
di stilismi che trovino soluzione o che, per paradosso, non ne intendano trovare
alcuna.
Allora, i tanti dilemmi che sembrano fluire dalla prova dei quattro ottimi
musicisti (e che comunque hanno il merito di farci ragionare) in realtà potrebbero
costruire un falso problema, un aut aut che può lasciare perplessi e che,
a parere di chi scrive, lasciano poco al barthesiano "piacere del testo":
in ogni caso il problema stesso (o forse il fine) è continuare a far musica, quale
arte che dia il segno dei mondi che la circondano……
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 21/06/2008
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