Bologna Jazz Festival 2008
Cedar Walton
Teatro delle Celebrazioni – 8 novembre 2008
di Giuseppe Rubinetti
foto di Achille Serrao
Durante la seconda serata del festival jazz di Bologna, sale sul palco
il pianista Cedar
Walton, preceduto dal pregevole quintetto capitanato da
Dave Holland.
Dopo aver ricevuto il premio alla carriera Alberto Alberti, e speso due parole
di ringraziamento, il pianista inizia il concerto, seduto allo strumento, quasi
dando le spalle al pubblico. Ad accompagnarlo, nella prima parte, Jean Toussaint
(sax tenore), David Williams (contrabbasso) e Alvin Queen (batteria).
Nella seconda parte, immutata la sezione ritmica, il sassofonista Toussaint
esce di scena e viene sostituito dai due italiani
Piero Odorici
(sax tenore) e Roberto Rossi (trombone).
Il repertorio è classico e standard; tra i pezzi
eseguiti, 'Round midnight e
In A Sentimental Mood.
Walton
suona con raffinatezza ed eleganza. Con uno stile molto istituzionale, affronta
i brani scelti come a celebrare un jazz d'altri tempi, verso il quale il pianista
non nasconde la propria predilezione. L'esposizione dei temi è per lo più affidata
al sax di Toussaint, così come i momenti solistici dai quali
Walton,
invece, sembra quasi volersi sottrarre. Il pianista, piuttosto, mostra eccezionali
doti di accompagnatore, lavorando di ricamo sulle linee, spesso nervose e frastagliate,
esposte dal brillante sassofonista. Predilige il lavoro di sostegno, di supporto,
e lo svolge in maniera inappuntabile, costruendo frasi sempre molto elaborate, e
conferendo profondità e spessore all'esecuzione d'insieme.
Ma
questa veste di raffinato accompagnatore e ricamatore non denota soltanto il ruolo
a cui il pianista si attiene per quasi tutta la durata del concerto; il suo stare
prudentemente in secondo piano rivela, più generalmente, un approccio subalterno
e celebrativo verso un jazz divenuto, nei decenni, canonico e istituzionale. Sebbene
nella sua biografia artistica non manchino prove di apertura ad un linguaggio più
d'avanguardia (come ad esempio la collaborazione col Coltrane di Giant Steps), oggi
Walton
si ritira in una mitica età aurea del jazz, saltando al di qua di quarant'anni di
storia, ed eliminando, come d'incanto, ogni distanza. Quella di
Walton
è l'utopica rievocazione di un passato sempre attuale e autentico, un'immersione
dalla quale viene scrupolosamente bandito ogni fattore inquinante. È la riesumazione,
in vitro, di un hard bop che a suo tempo non fu però mai tanto
soft.
È in questa operazione che risiede tutta la forza e tutta la debolezza
dello stile del pianista. La sua musica canonizza una stagione musicale, rendendola
irrimediabilmente storica; ma, in questo modo, si condanna da sé: nel confronto
con un passato che viene contraffatto dalla sua artificiale e forzata riattualizzazione.
L'hard bop di
Walton
oggi appare ricamato, edulcorato nei suoi contrasti. Qualunque sporgenza o dissonanza
viene diluita in un'armonizzazione serena, sofisticata e, forse, un po' troppo ragionevole.
Il suo stile, evoluto e inguaribilmente odierno, finisce per confezionare un jazz
da cartolina, indubbiamente adatto alle esigenze degli ascoltatori più nostalgici.
Nel complesso, il pianista suona molto abbottonato, sfoggiando un manierismo
ricercato ma accademico. La scelta di un repertorio standard fa da contraltare ad
un pianismo zelante e calligrafico, ufficiale e un tantino serioso. Il risultato
è un'esecuzione calcolata e freddina, che pare persino premeditata soprattutto quando,
nel bel mezzo di un'improvvisazione, vengono eseguite, senza molta ironia, delle
citazioni tematiche dal Volo del calabrone di
Rimsky-Korsakov e dallo standard Tea for two.
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Data pubblicazione: 01/01/2009
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