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Intervista con Fahir Atakoglu
Bologna Jazz Festival 2011
di Eugenio Sibona
foto di Sergio Cimmino

Una chiacchierata con una persona simbolo dell'integrazione culturale: Fahir Atakoglu, pianista turco che si è spostato negli Stati Uniti ed ha riscosso successo mondiale. L'Unesco vuole istituire la "Giornata internazionale del jazz", e lui auspica che venga insegnato ai ragazzi come una porta per allargare i propri orizzonti, perché il jazz è libertà di espressione. L'Italia è l'unico paese dove si fanno festival anche nei paesi piccoli. Con il bassista Alain Caron ha trovato una buona chimica: lo trova molto preciso e in futuro vorrebbe registrare un album coi concerti tenuto all'Umbria Jazz Festival.



Lo scorso ottobre l'Unesco ha deciso di istituire una "Giornata internazionale" del Jazz. Alcuni temono che sia un segnale di debolezza, per questo genere, e che rischia di trasformarsi in un museo, in una cosa del passato. Cosa ne pensa?

Per un musicista è bello poter condividere la musica con quante più persone possibili, perché in base a quanto loro ci apprezzano, è importante per il nostro spirito. È ciò per cui viviamo. Così va benissimo ciò che ci permette di farlo, di viaggiare, di suonare. È una cosa buona quella dell'Unesco, per rilanciare il jazz. C'è bisogno di più armonia e collaborazione tra i vari dipartimenti di cultura dei governi di ogni paese, per allestire concerti e permettere una più agevole circolazione delle persone, quindi anche per i passaporti, così che le persone si possano incontrare più facilmente.

Proprio a proposito della presunta debolezza della musica, si è posto il problema dei tagli dei governi italiani e americani alla cultura. Come si può risolvere il problema?
Io vivo lì e conosco bene il problema. Tutti i Paesi potrebbero costituire una grande "banca", per finanziare ogni evento culturale, non solo la musica jazz. Il bello dell'Italia è che è l'unico paese al mondo dove ci sono tanti festival, anche nei paesi più piccoli.

Sono stati istituiti negli ultimi anni alcuni laboratori per i giovani, come "Jazz in classroom" la Brussels Youth Jazz Orchestra. Secondo lei, stanno funzionando bene?
Ogni laboratorio musicale è buono, specialmente se il soggetto è il Jazz, perché è libertà: libertà della musica, e libertà d'espressione. Anche nella musica classica, per esempio, ti puoi realizzare, ma specialmente il jazz ha come tante chiavi di lettura, che puoi interpretare con la tua mente, con il tuo spirito. E puoi acquisire una tua consapevolezza, anche se stai suonando la musica di qualcun altro. È quindi utile per aprire la tua mente, i tuoi orizzonti.

Ci si sta lamentando che l'Unione Europea è riuscita a trovare dei principi economici comuni, ma manca ancora integrazione culturale. Lei invece è riuscito a muoversi e assimilare nuovi ambienti. Che consigli può dare?
Io sono molto ottimista, ma non dobbiamo essere passivi ed aspettare che facciano tutto i governi. L'organizzazione di festival può essere uno strumento. Se ci sono problemi di soldi, possiamo coinvolgere società e fondazioni private. Bisogna insistere sul jazz, perché è improvvisazione, è la vita stessa è improvvisazione.

Nel pop e rock, i fan si stanno lamentando che le grandi star sono morte (come Freddie Mercury e Kurt Cobain) e non ci sono nuove leve all'altezza. Sta meglio il jazz? Qual è il suo stato di salute?
Bisogna capire che il jazz sta cambiando. Quando ti ho detto che il Jazz è libertà, intendo che magari suono un tema per un balletto, ma lo reintepreto improvvisando, quindi, soprattutto i giovani ragazzi non devono vedere questa musica come un genere, ma come una policromia, un insieme armonico di cose diverse, e aprirsi, quindi a tante cose: musical, fusion e in generale anche ciò che non è sempre jazz.

Con East Side Story e Istanbul In Blue, lei ha raggiunto una popolarità internazionale, che probabilmente è un indice del riconoscimento globale della cultura turca…
In Turchia abbiamo molta libertà, perché ci sono diversi tempi. Io sono un uomo molto melodico, e ciò mi permette di reinventare sempre qualcosa di nuovo, anche in generi apparentemente più drammatici, più gravi. Ed è quello che deve fare anche tutta la tradizione turca, cioè aprirsi a diversi generi, a diversi musicisti. Ed è quello che io sono riuscito a fare nel mio ultimo album, Faces and Places, mentre Istanbul in Blue era più fusion.

Lei fa tante cose diverse, musical, jazz e documentari. Qual è la più difficile?
I miei documentari, per esempio, li faccio sempre con altre persone. Ciò non è difficile, ma è stimolante e competitivo, perché condividi la tua visione, e valorizzi la loro. Alla fine viene qualcosa che è veramente frutto della collettività, e questo pensa che sia buono anche per i musicisti, perché scopri cose che non sapevi di avere.

E com'è cambiata la sua visione del jazz, dopo aver fatto questi documentari?
Quando io scrivo le melodie per i miei musicisti, anche se in teoria è per un balletto, li lascio interpretare il mio lavoro e, quando apportano il loro stile e il loro colore, allora diventano un gruppo musicale.

E' tanto che suona con Horacio "el negro" Hernandez, ma con Caron è la prima volta. Come si trova?
Con Caron c'è una buona chimica, che è venuta fuori appena l'ho conosciuto, senza bisogno di suonare. Lui è molto melodico e preciso sul tempo. Ho collaborato con diversi musicisti e, quando cambia il basso, cambia tutta la musica. Quindi hai bisogno di una persona con cui ti combini davvero bene. Mi piace il suo approccio, anche come persona.

Come ha intenzione di proseguire questo sodalizio?
Progetti futuri? Abbiamo precedentemente suonato all'Umbria Jazz Festival e vorrei produrre un album coi concerti che abbiamo tenuto lì.

Chi l' ha ispirata?
Sono nato nel 1963, quindi tutta la musica chi si sentiva in quell'epoca, per esempio Chick Corea, Gardner, Chicago e tutta la fusion.

Lei è abituato a girare nei locali jazz in Italia e qui a Bologna, per esempio in via Mascarella. Nota una sensibilità particolare negli italiani?
Certo, gli italiani hanno un particolare approccio al jazz. Infatti molti musicisti, anche dagli Stati Uniti, viaggiano in Europa e soprattutto in Italia. E noi turchi ci sentiamo molto vicini alla vostra mentalità, molto simili e apprezziamo il vostro approccio, perché siete un popolo che vive di musica e stiamo cercando di imparare da voi..








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Data pubblicazione: 18/03/2012

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