Torino Jazz Festival 2014
Torino, 25 aprile - 1 maggio 2014
di Gianni Montano
Il festival del jazz di Torino giunge
alla terza edizione, la seconda con la direzione artistica di Stefano Zenni
ed è premiato ancora una volta da un lusinghiero successo di pubblico. Infatti,
piazza Castello è sempre affollatissima con numeri altissimi di presenze nella serata
del 30 aprile e nella festa finale del primo maggio. I locali o le aree all'aperto
vicine al Po, che ospitano la rassegna Fringe oltre le 23 e 30, sono presi letteralmente
d'assalto e, per chi non accorra con congruo anticipo è impossibile trovare posti
a sedere o soltanto lo spazio fisico per poter ascoltare le esibizioni round
midnight. Sono esaurite pure le sale dei concerti pomeridiani a pagamento. Insomma
la città piemontese si lascia coinvolgere dall'iniziativa in maniera totale, rispondendo
alla grande a tutti gli appuntamenti previsti in scaletta.
Inevitabilmente le proposte in piazza Castello sono le più internazional-popolari.
Sono invitati ogni sera qui grossi nomi in grado di accontentare spettatori meno
esigenti, avvezzi a sentire altri generi musicali, prossimi alla black music, magari,
non necessariamente al jazz. Le chicche, le sfiziosità, si possono reperire nei
teatri al pomeriggio, o in qualche performance notturna in una dimensione raccolta,
adatta ad una musica di grana fine.
Il 27 aprile si schiera sul palco di piazza Castello Al Di Meola con la sua
band. Il chitarrista americano si cimenta in una ripresa del repertorio dei Beatles,
ma non solo. Si ascoltano pure originals a firma del leader, brani di Astor
Piazzolla e un omaggio a Paco De Lucia. Di Meola è un virtuoso, non solo perché
possiede una tecnica straordinaria, ma perché sa entrare dentro a canzoni arci-famose,
rispettandone il carattere specifico e rendendole inequivocabilmente sue, appropriandosene
in modo delicato e indolore. In questa operazione è ben coadiuvato da un alter ego
come il pianista Mario Parmisano, portato a costruire melodie e armonie con la stessa
grazia e lo stesso atteggiamento vigile e rilassato del bandleader. Il batterista
Peter Kaszas è anche lui orientato verso un jazz attento ai chiaroscuri e alle sfumature.
Si inseriscono agevolmente, a questo punto, nel discorso complessivo i tre archi.
Non può che uscirne fuori un concerto trionfale con ripetute richieste di bis e
concluso con "Mediterranean Sundance", fra le perle nella produzione dell'artista
statunitense.
Il 28 aprile è la volta di Manu Dibango e del suo gruppo
Soul Makossa Gang. La musica africana è solo un retrogusto appena avvertibile
per uno spettacolo che si qualifica per mezzo di una predominanza di colori e suoni
funky, reggae, soul e Rhythm and Blues. "L'Africa è lontana vista dalla luna passa
un'eternità..." cantava Sergio Endrigo e così Dibango persegue un distanziamento
evidente dalle sue origini, dalla sua tradizione, ammaliato da musiche indubbiamente
black, ma filtrate dalla rielaborazione di artisti afroamericani in generi, filoni,
destinati ad un mercato globale o globalizzato. Comunque il vecchio leone del Camerun
ha un timbro scuro, convincente e deciso sul suo sax. Domina la scena dall'inizio
alla fine, dimostrando una forza e un'energia considerevoli. I partners stanno al
gioco e si dannano per costruire un terreno adatto per la progressione solistica
dell'ottantunenne sassofonista.
Il pubblico gradisce e sul bis di "Soul Makossa" la piazza è ribolle.
Il 30 aprile all'auditorium del conservatorio il palco è semivuoto
all'inizio del concerto. Ad un segnale convenuto alle spalle degli spettatori seduti
in teatro si materializzano i fiati della mini big band suonando e camminando lentamente
verso la scena. Di fronte a loro Moholo, Edwards e Hawkins
rispondono alla sollecitazione proveniente dalla platea. Si concretizza, così, immediatamente
il tipico sound dei The Blue Notes. L'esibizione va avanti con la proposta
dei brani storici della corrente sudafricana formatasi negli anni Sessanta e Settanta.
Sono motivi semplici, cantilenanti, su cui, spesso e volentieri, si aprono squarci
nel free da parte di solisti giovani, ma sintonizzati all'indietro su quell'epoca,
su quell'epopea. Moholo- Moholo ha ancora tanta forza e vivacità e picchia con veemenza
sulla sua batteria. Henry Lowter spinge la sua tromba sugli acuti come ai bei tempi
e le nuove leve stanno al gioco intrecciando le voci, aggrovigliando gli interventi,
mentre il bassista John Edwards fa vibrare il suo strumento con poderose manate
sulle corde. La magia di questa musica intrisa di nostalgia per la terra d'origine
e dotata di un'ansia, di un anelito di libertà si ricompone e si rinnova fra l'entusiasmo
dei presenti.
Alle ore 21
Caetano
Veloso conquista letteralmente Torino. Il colpo d'occhio è impressionante
quando appare da dietro le quinte. Un muro di teste occupa integralmente ogni angolo
della piazza. Il cantautore brasiliano si impadronisce dello spazio eseguendo molti
brani del suo ultimo cd "Abraçaço" oltre alle hit più conosciute di una luminosissima
carriera. Lo accompagna un trio di giovani e bravi strumentisti del suo paese, forse
un po'acerbi. Caetano canta camminando avanti e indietro, accennando qualche figura
di danza, gesticolando, distribuendo saluti e sorrisi. Ha in pugno gli spettatori,
che applaudono freneticamente i pezzi più famosi o si lasciano contagiare dal ritmo
della bossanova. Sui motivi più noti si sentono cori improvvisati da parte del pubblico.
Dopo novanta minuti e svariati bis si conclude uno dei concerti più festeggiati
dell'intera rassegna.
Due ore dopo su una zattera sul Po
Antonello
Salis, alla fisarmonica, si produce in un vorticoso flusso sonoro alla
sua maniera, con pochissimi momenti di relax e tanta tanta agitazione. Dopo una
ventina di minuti dall'inizio, compare vicino al musicista sardo
Javier Girotto
che introduce la frase iniziale di "A love supreme" di John Coltrane. Dalla riva
opposta riprende questo riff un'orchestrona di circa trenta elementi, in marcia,
formata da giovani del conservatorio di Torino e guidata da
Emanuele
Cisi. Il corteo prosegue sullo stesso tema ripetuto fino a piazza Vittorio
Veneto con una resa di grande suggestione. In piazza, dall'alto delle torri rispondono
allo stimolo sonoro i tre del "Contemporaneo Immaginario", raccogliendo il testimone.
Da qui in poi si assiste ad un set di jazz rock, condito con effetti elettronici,
pesante solo in apparenza, in realtà parecchio raffinato, con Tamburini in bella
evidenza, ma pure Onorati e Paolini completano il trio con energia e competenza.
Alla società canottieri Esperia, successivamente, due giovani
talenti torinesi, il promettentissimo bassista Luca Curcio e il valido
Jacopo Albini hanno l'onore di incontrare la musica sognante, delicata e sinuosa
di Jon Balke e Patrice
Heral e di immettervi calore e personalità, davanti ad una sala ancora una
volta stra-esaurita.
Il 1 maggio la grande festa del jazz inizia con Taranta Nera, formazione
mista, come origine geografica, che cerca di dimostrare la possibilità di dialogo
e di fusione fra l'idioma del Salento e quello dell'Africa. Di fatto il set si svolge
con un'alternanza di brani della tradizione pugliese e di altri provenienti dal
continente nero, in particolare dal Mali, paese dove è nato Baba Sissoko,
il più noto fra gli ospiti africani. Danze come la taranta o la pizzica sono in
grado di conquistare un pubblico molto ben disposto. Si costituiscono così, nella
piazza, piccoli gruppi di ballerini estemporanei, contagiati dal ritmo tribale e
dalle canzoni folk, che si agitano entusiasti, più o meno a tempo, sulle note che
arrivano dal palco. Questo tipo di proposta orientata verso il recupero della tradizione
popolare di latitudini diverse, è condotta avanti da Officina Zoè, ensemble
salentino capace di riempire la scena di musica e di movimento. Baba Sissoko, per
parte sua, canta, suona le percussioni e si cimenta in un assolo con il n'goni,
antico strumento a corde in uso nella sua terra. Inoltre lo storico collaboratore
dell'Art Ensemble guida il trio nero con un atteggiamento complice, fraterno. L'atmosfera
è calda, empatica. Si avverte, infatti, una buona comunicazione fra gli artisti
e gli spettatori per tutta la durata dell'esibizione.
Scende in campo successivamente Il Giornale di Bordo,
quasi un super-gruppo, un ponte ideale fra la Sardegna e Chicago. Salis mette
subito le marce alte e infuria sulle tastiere con il suo tipico approccio percussivo.
Avvicenda pianoforte, piano elettrico e fisarmonica, affrontando i vari strumenti
con egual foga e concitazione. Risponde con pari energia la batteria di
Hamid Drake,
elemento decisivo per indicare la rotta ritmica, dove il quartetto può andare a
parare. Si preferisce, in generale, un funk tirato, ma si registra pure qualche
puntata nel latin- sound o su mondi musicali più liberi, svincolati da regole.
Paolo Angeli cerca di star dietro ai due estroversi partners, portando qualche
elemento meno irruento e impetuoso. Ci riesce al meglio quando le acque non sono
in tempesta. Allorché il gioco si fa duro e il clima si surriscalda, la chitarra
sarda preparata viene, purtroppo, coperta dagli altri strumenti. Trova la maniera
di farsi sentire, invece, Gavino Murgia, non disprezzabile sassofonista,
in grado di inserire il timbro dei suoi sax nel discorso complessivo, se non proprio
a determinarne il carattere. Piazza Castello è sempre più colma di gente e gli applausi
sono convinti alla fine per Salis e soci.
E' il momento della Julliard school in trasferta al conservatorio
di Torino. Si succedono sulla scena i maestri italiani, con una breve esibizione
dove si apprezza, come sempre, la classe e la brillantezza del pianismo di
Dado Moroni,
accanto a Casati-Cisi-Tessarollo-Di Castri e Zirilli. Seguono, poi,
i teachers americani, non travolgenti nel loro intermezzo, anzi, piuttosto
prevedibili. Fanno la loro bella figura, invece, i cinque studenti selezionati fra
gli altri del laboratorio svolto durante il festival. Manco a dirlo si distingue
ancora una volta il bassista Luca Curcio, un nome da tenere a mente.
A questo punto il festival regala la piazza a
Paolo Fresu
e al suo quintetto, per festeggiare il trentennale del gruppo, onorato anche dall'uscita
di un disco celebrativo: ¡30!. Fresu è in gran forma e lo si capisce subito.
Presenta ogni brano con precisazioni e aneddoti, ripercorrendo la storia di cinque
musicisti che contemporaneamente hanno effettuato altre esperienze, ma hanno saputo
ogni volta ritrovarsi e riprendere una comunicazione mai interrotta. La musica ha
un'impronta melodica ben definita, grazie a temi originali di valore, a firma dei
vari componenti. Il dialogo fra tromba e sassofono è marcato da un'intesa di lunga
data. Non si può parlare soltanto di interplay. I due fiati interagiscono con una
tale integrazione delle voci da far ipotizzare una perfetta unità di intenti, derivante
da una sorta di pensiero unico nella maniera di sviluppare i motivi. Quando rimangono
da soli, mentre gli altri tacciono, si raggiunge il vertice dell'intera esibizione.
Da parte loro, Cipelli, Zanchi e Fioravanti suonano complicato,
apparendo semplici. Nel senso che danno vita ad un accompagnamento mosso e diversificato,
cambiando spesso tempi e modi, ma risultano sempre freschi e comprensibili. Il concerto
è sicuramente uno dei migliori del festival e, forse, della stessa longeva formazione.
Tocca a Ibrahim Maalouf affrontare il pubblico alle 20:30,
mentre si scatena un vero e proprio temporale con grandinata fuori programma inclusa.
Il trombettista franco-libanese propone una musica mediterranea, vagamente mediorientale,
in versione funkeggiante. E' affiancato da tre trombe sintonizzate sulla stessa
lunghezza d'onda, impegnate a costruire il tema dei vari brani in scaletta. A piano
elettrico, chitarra, basso e batteria spetta il compito, per contro, di offrire
un sostegno rockeggiante, pulsante e insistito e di liberarsi in assoli, quando
Maalouf molla la presa. L'ottetto è ben amalgamato e il bandleader sa il fatto suo.
Quando parte con i suoi interventi riesce ad essere ficcante ed efficace. Dopo un
po', però, il gioco si fa scoperto e manca l'elemento sorpresa. L'ensemble si segnala
per un tipo di world music coerente in grado di soddisfare gli spettatori coraggiosi
che resistono alla pioggia intensa.
Il virtuoso del basso elettrico
Alain Caron
schiera il suo quartetto alle ore 22 circa e dà vita ad un set uniforme, abbastanza
monotono, di una fusion muscolare e aggressiva. Nel suo gruppo si distingue Damien
Schmitt, un batterista implacabile e inesauribile, sulle cui spalle si regge l'intero
gruppo. Tecnicamente si difendono pure il tastierista John Rooney e il chitarrista
Pierre Cotè, ma è la musica nel suo complesso a non convincere per l'assenza di
momenti di pausa, di rilassamento. E' tutto spinto in avanti, sempre al massimo
dei giri, privilegiando le atmosfere cariche di forza, di potenza, evitando i toni
meno decisi e veementi. Il pubblico, ad ogni buon conto, non lesina applausi a Caron
e ai suoi tre partners.
Continua a piovere, ma la gente non abbandona la postazione,
anche perché tanti sono qui solo per vedere Elio e le Storie Tese, gli ospiti
più famosi dell'intero festival. Elio appare alle 23 e scherza subito sulla "jazzità"
dei componenti il suo sestetto più Mangoni, artista a sé (per definizione). Attribuisce
la qualifica di jazzista a tutti i suoi musicisti in maniera ironica: "Però alla
fine noi suoniamo tutt'altro..." E' assente Rocco Tanica per motivi validissimi
"E' rimasto a vedere la partita Juve-Benfica...", sostituito da Carmelo (?!).
Si parte con "Servi della gleba" e molti cantano con Elio. A questo pezzo
seguono alcuni brani dell'ultimo cd "L'album biango" fra cui "Dannati
forever" e "La canzone mononota". La derivazione alla lontana dalla musica
di Frank Zappa si avverte ancora, come la parentela con il progressive rock. Non
per niente viene eseguita "Come gli Area", omaggio dichiarato ai campioni
di un certo genere degli anni Settanta. Le canzoni degli ultimi anni, però, lo si
verifica anche dal vivo, contengono meno idee dirompenti e possiedono caratteristiche
musicali di più facile fruizione. I testi restano geniali in diversi casi, ma siamo
lontani dalle invenzioni fulminanti dei primi album. Il concerto va avanti, malgrado
gli scrosci di pioggia, comunque, per sanzionare, in conclusione, il grande successo
popolare del festival ancora superiore all'edizione del 2013.
29/09/2012 | European Jazz Expo #2: Asì, Quartetto Pessoa, Moroni & Ionata, Mario Brai, Enrico Zanisi, Alessandro Paternesi, David Linx, Little Blue, Federico Casagrande, Billy Cobham (D. Floris, D. Crevena) |
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
30/08/2009 | Laigueglia Percfest 2009: "La 14° edizione, sempre diretta da Rosario Bonaccorso, ha puntato su una programmazione ad hoc per soddisfare l'appetito artistico di tutti: concerti jazz di altissimo livello, concorso internazionale di percussionisti creativi Memorial Naco, corso di percussioni per bambini, corsi di GiGon, fitness sulla spiaggia, stage didattici di percussioni e musicoterapia, lezione di danza mediorientale, stage di danza, mostre fotografiche, e altro." (Franco Donaggio) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
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Data pubblicazione: 01/06/2014
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