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Decorato, Liberti, Roverato meet Emanuele Cisi
Plays Metheny
Music Center - 2010
1. Always & Forever (Pat Metheny) 6:26
2. Uniquity road (Pat Metheny) 3:21
3. Across the Sky (Pat Metheny) 5:45
4. Elucidation (Pat Metheny) 4:20
5. Impro n. 1 (Cisi – Liberti) 1:14
6. Sometimes I see (Pat Metheny) 5.59
7. Say the Brothers Name (Pat Metheny) 7:21
8. Interludio Passarim (Tom Jobim) 2:24
9. Better Days Ahead (Pat Metheny) 4:30
10. Farmer Trust (Pat Metheny) 6:59
Michelangelo Decorato - piano
Gianlivio Liberti
- drums & percussions
Marco Roverato - double bass
Emanuele Cisi
- tenor & soprano saxes
Molti jazzisti contemporanei stanno dimostrando interesse a reinterpretare in chiave
personale le composizioni dei mostri sacri del jazz ed è un fenomeno comprensibile,
dal momento che tutti questi brani posseggono qualità incontrovertibili e ricchezza
armonica tali da stimolare la loro fantasia e voglia improvvisativa. Ancora più
stimolante è l'idea di rivisitare completamente i brani, variando l'organico e pensando
ad arrangiamenti personalizzati che sappiano creare atmosfere molto diverse rispetto
alle versioni originali.
E' il caso di questo album del pianista Michelangelo Decorato, intitolato
"Plays Metheny", con
Gianlivio
Liberti alla batteria e percussioni, Marco Roverato al contrabbasso
e con la partecipazione di
Emanuele
Cisi ai saxofoni (tenore e soprano). L'album è dedicato alla reinterpretazione
di otto brani di
Pat Metheny, intercalati da un'improvvisazione di Cisi-Liberti
e da un breve brano di Tom Jobim.
Fin dall'inizio, ci si rende conto che l'assenza della chitarra è un fattore che
rivoluziona completamente il sound dei pezzi metheniani. L'album si apre con un
brano estremamente delicato, rarefatto, sussurrato, dove in particolare il sax di
Cisi, le spazzole di Liberti e il pianismo di grande respiro di Decorato creano
immediatamente una grande suggestione. Il sax ci offre sempre note estremamente
controllate. Il suo timbro, anche negli assolo, smussa ed addolcisce qualunque idea
improvvisativa che, melodicamente parlando, sarebbe anche potuta apparire di per
sé magari più graffiante. Il secondo brano viene proposto con un bel ritmo coinvolgente
e con grinta da parte di tutti e quattro i musicisti. Segue un brano dove le percussioni
contribuiscono a colorare lo scenario nel quale sax e pianoforte si muovono. Anche
qui prevalgono misura e raffinatezza. L'improvvisazione del sax si interseca molto
bene con il pianoforte, talvolta in uno stretto dialogo che però non avviene mai
a voce alta.
Il quarto pezzo rispetto ai precedenti si presenta con ritmo più veloce e deciso,
maggior tecnicismo anche da parte del sax, mentre il piano offre sempre un bellissimo
fraseggio pieno di swing che nel contempo è anche estremamente asciutto ed attuale.
Segue un breve pezzo intitolato "Impro N.1" che è un'idea di
Gianlivio
Liberti e di
Emanuele
Cisi: una libera improvvisazione che dopo poco più di un minuto viene
(purtroppo) sfumata. Si ritorna ad un brano di
Pat Metheny,
"Sometimes I See", dove ritroviamo nuovamente le sonorità pacate dell'inizio,
spazzole e sax molto moderato. Il fraseggio e la pronuncia di Decorato nelle
sue improvvisazioni sono molto vicini allo stile di
Herbie
Hancock. I brani ascoltati fin qui assumono tutti una nuova personalità
e per nulla associabili allo stile del loro autore,
Pat Metheny.
Solo "Say The Brothers Name", di tanto in tanto sfiora il sound metheniano,
sia pure attraverso strumenti differenti, ma ricreando per un attimo quell'atmosfera
che tutti riconosciamo su una ritmica latineggiante.
L'ottava track è una composizione di Antonio Carlos Jobim, anch'essa rivisitata
e trasformata, un breve interludio, che nuovamente viene sfumato sul finale, come
per l' "Impro N. 1". Gli ultimi due brani sono di nuovo a firma Metheny.
Ritmica latin per "Better Days Ahead" (brano che venne inciso anche da
Brad Mehldau
alcuni anni fa). Qui ascoltiamo sostituzioni di accordi e la bella improvvisazione
di Decorato che con il suo stile ben riconoscibile sa dosare sapientemente idee
e spazi. Il decimo ed ultimo brano, "Farmer Trust", è una ballad molto dolce
che acquista delicate sfumature di colore grazie alle percussioni di Liberti, fresche,
mai invasive, creative e sempre caratterizzate dal senso della misura e dal buon
gusto.
Nel suo insieme questo album appare molto equilibrato stilisticamente e giustamente
vi emergono le personalità degli interpreti. Le sonorità sono sempre moderate, i
timbri morbidi e non aggressivi. Le improvvisazioni tendono prevalentemente a dilatare
gli spazi piuttosto che a saturarli (come invece spesso accade quando si ha la presenza
di una chitarra nell'organico). Molta attenzione viene prestata al fraseggio ed
al dialogo tra gli strumenti. L'album è stato presentato di recente anche in Giappone.
Rossella Del Grande per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 06/03/2011
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