Auand Records di Marco Valente
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Nell'animo di ogni musicista che abbia scelto di percorrere le vie della
ricerca c'è entusiasmo e, soprattutto, una volontà di meticolosa indagine su quanto
sia stato oggetto di ricerca da parte delle avanguardie.
In ogni caso, anche non volendo privilegiare
la disamina tecnica, non è possibile non riflettere sull'estetica e sul "piacere
dell'ascolto" che può provenire o meno da un album coraggioso, innovativo nella
progettazione, come "The Age of Numbers" dell'esperto
sassofonista
Emanuele Cisi.
Delineati con cura i perimetri stilistici, vengono proposte angolature
armoniche senz'altro interessanti e di grande spessore tecnico, frutto di un virtuosismo
inquieto e di un'intenzione minimalista nel parametro discorsivo.
Agili nelle movenze cromatiche, i 12 brani sembrano mostrare nella centralità
esecutiva straniante il fulcro della propria sintassi, scelte attente, vivaci, intelligenti.
I riferimenti che paiono immediati sono quelli del jazz nordico, della "contemporanea",
di un "non mainstream" esplorato in maniera personale, a ben considerare
quanto lo stesso Cisi afferma: "ogni espressione della realtà e del pensiero
è emanazione dell'infinità dei numeri e della loro meravigliosa e spaventosamente
assoluta perfezione."
A fronte di un pensiero tanto rigoroso (scientifico? Forse un riferimento
alla concezione della musica di Pitagora? O forse a quella di Bach?) sembrerebbe
però prender forma la via della libera improvvisazione tra climi rarefatti, eterei,
distinti da un pathos quasi incontrollato, forse da un codice esoterico (numerologico,
si faccia attenzione al titolo dell'opera e a quello della prima e dell'ultima track)
che dovrebbe condurre ad una percezione artistica alternativa, "altra" e differente,
o quantomeno non convenzionale.
Tanto, a parere di chi scrive, lascia qualche dubbio, peraltro non sempre
confortato da un coinvolgimento nell'ascolto che tarda a realizzarsi. Inoltre, quanto
espresso dal free jazz non sembra ignorato da Cisi, così come gli
esiti compositivi degli ultimi autori cosiddetti "classici".
Se argomentare su tesi similari non può che dare nuovo impulso all'evoluzione
della musica, è pur vero che si corre il rischio di reiterare un sound déjà ècoutè
che finirebbe per incrinare le radici di una filosofia della concretezza nell'incedere
di un "nuovo" dalla fisionomia destrutturata e "libera" che, se grazie a Cisi
molto fa pensare, per la verità un po'meno emoziona.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 05/09/2009
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