Quattro chiacchiere con...Francesco Diodati febbraio 2013
di Alceste Ayroldi
Francesco, lei non è un jazzista che si è fatto strada all'ombra dei "big" del
jazz italiano, ad eccezione delle sue collaborazioni estemporanee con alcuni come
Enrico Intra,
Ada Montellanico,
Bobby Previte,
Enrico Rava,
Jim Black. Si è imposto nel panorama jazzistico per la sua tecnica e per
il suo talento compositivo. Per lei è stata una soluzione più facile o difficile?
Una scelta "di vita" oppure obbligata? Credo sia un misto di casualità e attitudine personale; mi è sempre piaciuto confrontarmi
con la composizione e creare dei progetti, gruppi con cui portare avanti un discorso
musicale approfondito. Non so se è più facile o difficile: è ciò che mi risulta
più naturale.
Certo, mi piace anche collaborare, e tutte le collaborazioni citate sono uno stimolo
enorme. Inoltre faccio parte di gruppi come il trio di Marcello Allulli,
i Floors di Roberto Cecchetto, i Travelers di Matteo Bortone, i POV
di Alessandro Paternesi, tutti progetti dal respiro collettivo.
Chi le ha detto o consigliato di dedicarsi alla chitarra?
Il mio medico...
Il suo sound è contaminato da altre musiche. Quali sono le sue influenze musicali?
Tante. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo bellissimo e stimolante, e riscopro
vecchie conoscenze. C'è così tanta musica e così tanti spunti, idee. Giusto poco
tempo fa ho incontrato Nguyen Le presso l'Ankara Jazz Festival, dove abbiamo
suonato con Neko. Nguyen prende elementi africani, indiani, asiatici e li mescola
in modo veramente personale. Mi appassionano le musiche di questi continenti lontani,
ma allo stesso tempo sono affascinato dalla musica contemporanea, dal rock e dal
jazz in tutte le sue forme. Insomma, è difficile rispondere in modo esaustivo a
questa domanda.
Leggo che possiede anche una laurea in Statistica Economica. Resterà sempre nel
cassetto?
E' stata una bella esperienza, una specie di vita parallela, visto che procedeva
di pari passo con la musica. Sono ancora in contatto con alcuni professori, vengono
a sentirmi ai concerti! Per questo non mi piace considerarlo come qualcosa di archiviato:
è un' esperienza che mi porto dentro e che sicuramente fa parte del percorso fatto
fin qui.
Per caso i suoi studi universitari specifici influenzano anche il suo pensiero compositivo?
Forse in modo inconscio. D'altra parte matematica e musica non sono mondi così distanti.
Quando pensa sia avvenuto il giorno della sua svolta? In pratica, in quale momento
ha capito che la sua figura professionale si era affermata (o ciò stava accadendo)?
Ad essere sincero, non mi sento "affermato"…vivo la musica e gli impegni giorno
per giorno, e ho ancora tanta strada da fare. Mi concentro sul percorso e sui compagni
con cui condividere questa lunga ricerca. Allo stesso tempo sono contento che la
mia musica inizi a essere più conosciuta e che generi reazioni negli ascoltatori.
C'è una persona, tra tutte, a cui vorrebbe dire grazie? Perché?
Sarà banale, ma la mia famiglia sicuramente.
Francesco Diodati Neko come e perché nasce? Con quali obiettivi?
Francesco Bigoni, Francesco Ponticelli e Ermanno Baron sono
musicisti e persone eccezionali, e alla prima occasione li ho messi tutti sullo
stesso palco (anzi nella stessa saletta prove). All'epoca, nel
2007, avevo concluso l'esperienza con il mio
quintetto e volevo restringere l'organico a quartetto. Con gli anni il gruppo è
davvero cresciuto sia musicalmente che a livello di coesione umana e spero continui
così, sto già scrivendo materiale per il nostro terzo disco!
Il tour di presentazione del nuovo album "Need Something Strong" è andato molto bene,
e recentemente al festival jazz di Ankara ci hanno accolto con grande entusiasmo.
A Maggio saremo a Correggio per Crossroads e spero che ci siano ancora tante occasioni
per riunire il gruppo nei prossimi mesi, l'obiettivo ora è far conoscere Neko in
Italia e all'estero.
Neko=gatto. Perché si sente un gatto?
Non mi ci sento, anzi sono allergico ai gatti; però mi piacciono. Sono indipendenti,
furbi, ma affettuosi. Il nome è una casualità - ai tempi leggevo molta letteratura
giapponese -, ma poi, avendoci portato fortuna, l'abbiamo tenuto.
"Need Something Strong" arriva dopo "Purple Bra" (2010).
Cosa ritiene ci sia di nuovo nel sound del suo gruppo? Come si è evoluto?
Mi riesce difficile parlare del disco in questi termini, ancora non riesco ad avere
un atteggiamento distaccato. Sicuramente posso dire che dopo più di due anni ognuno
di noi ha fatto il suo percorso, sia individualmente, sia all'interno del gruppo,
e questo credo si senta. Lavoriamo molto in modo collettivo sugli arrangiamenti
dei brani, e li abbiamo sviscerati prima di arrivare alla registrazione. E' un processo
molto bello, soprattutto con musicisti così aperti e disponibili. Anche la tavolozza
timbrica è più' ampia, con l 'aggiunta del basso elettrico e l'uso di effetti. In
più' Gabriele Ballabio e Roberto Lioli dello studio Entropia già ci conoscevano
dalla registrazione di "Purple Bra" e hanno contribuito a rendere il suono ancora
più' reale e ricco, e sono entusiasti quanto noi del gruppo e del nuovo disco!
Lei dedica particolare attenzione all'improvvisazione. Come la descriverebbe?
Inaspettata, rischiosa. Cerco di eliminare ogni pensiero prestabilito in termini
di idee. Mi spiego meglio: nel momento che precede il suonare è facile pensare di
introdurre un'idea a priori, con la quale (pensare di) fare un percorso abbastanza
prestabilito in modo razionale; tutto ciò però toglie spontaneità all'esecuzione,
oltre al fatto che sarà difficile ottenere il risultato che ci si aspettava. Quindi
cerco di togliere dalla testa questo pensiero meccanico, anche se non è facile.
Lo stesso vale per l'esecuzione dei brani, che sono sempre diversi ad ogni concerto.
E' un lavoro individuale ma anche molto collettivo.
Nel quartetto, il suo alter ego è Francesco Bigoni?
Siamo tutti alla pari, Neko è un gruppo con una matrice fortemente collettiva.
Ha mai pensato ad una evoluzione in quintetto o addirittura in un ensemble più
ampio?
In pratica già esiste, anche se il concetto non è esattamente quello di Neko allargato:
gli Auanders, il gruppo messo in piedi da Marco Valente, annovera
noi quattro più Bearzatti, Partipilo, Lento, Scardino
e Pierantoni. Abbiamo iniziato a lavorare
su arrangiamenti di brani scritti e arrangiati da tutti noi, tratti per lo più'
dagli album incisi per l'Auand, in occasione dei concerti a Bari e Pisa a settembre
dello scorso anno. C'è un cd live in uscita tratto da quei concerti e presto una
registrazione in studio.
Delle poche cover Monk ci sta tutto. Ma i Nirvana? Perché proprio loro? Si sente
vicino alla filosofia di vita e musicale di Kurt Cobain?
Se un pezzo mi piace non faccio distinzioni. E' jazz, non è jazz, le etichette non
mi interessano. Se sento che un brano "suona Neko" ci lavoro su, lo stesso
è stato per "So Real" di Jeff Buckley sul primo disco.
Il suo musicista preferito…
Troppo difficile.
Il suo pittore o scultore preferito... Paul Klee. Ma ce ne sono tanti altri.
E, già che ci siamo, il suo scrittore preferito...
Ancora più' difficile! Ho trovato molto interessante un saggio di Boulez su Paul
Klee.
Oggi il suo orecchio musicale in quale direzione geografica cade?
Mi viene in mente l'immagine che appare sui siti delle compagnie aeree cliccando
sulla mappa. Linee curve che vanno in tutte le direzioni.
Di lei, i più, dicono che sia un chitarrista d'ispirazione contemporanea. Lei
si ritiene, anagrafica a parte, contemporaneo? Nelle corde della sua chitarra, però,
mi sembra di ascoltare anche qualcos'altro…
Ascolto e studio musica che va dal 1700 in poi. Inoltre, pensandoci bene, il contemporaneo
non nasce dalle ceneri dell'arte precedente. La mia opinione è che sia un continuum
in cui elementi appartenenti a epoche diverse si mescolano in continuazione, dando
vita a forme nuove d'arte.
Con l'estero come va? E' riuscito ad affermarsi anche altrove?
Da anni frequento assiduamente la scena parigina - sperimentando anche i lunghi
e stravaganti viaggi notturni in treno! - dove ho dei progetti e collaborazioni;
ho avuto l'occasione di frequentare New York tramite una borsa di studio, e tramite
la Fondazione Siena
Jazz ho fatto programmi di scambio con Francia, Boston e ancora New York.
Inoltre collaboro con il progetto MyanmarMeetsEurope, insieme a musicisti tedeschi,
francesi e Birmani. A gennaio siamo stati invitati a suonare i Birmania…un'esperienza
incredibile.
Con Neko abbiamo suonato negli Stati Uniti, Irlanda, Turchia e siamo sempre stati
accolti con grande calore e recensioni entusiastiche; mi auguro che queste occasioni
siano sempre più numerose in futuro.
E' vero che in Italia lo spazio per i jazzisti nostrani è sempre più ristretto?
Gli spazi ci sono, spesso però manca la curiosità e si preferisce investire sugli
americani a discapito dei musicisti italiani e europei. E' un vero peccato e non
dà giustizia a una scena fresca, originale e in continuo fermento; ci sono tante
realtà' poco conosciute in Italia e non è un caso che molti di noi si creino degli
spazi autogestiti; penso al collettivo Agus qui a Roma, a Franco Ferguson, e al
Gallo Rojo, solo per citarne alcuni.
Una domanda tanto classica, quanto dovuta: i suoi programmi futuri?
Il terzo cd con Neko, un nuovo gruppo con cui esplorare mondi sonori differenti,
il secondo album con il M.A.T. (Marcello Allulli Trio), nuove collaborazioni
all'orizzonte e tanti chilometri.