Il giro d'Italia a bordo di un disco
Marco Valente, Auand
dicembre 2014
di Alceste Ayroldi
Qual è la vostra filosofia di vita? Perché fare il discografico?
Lasciare, nel nostro piccolo, un segno. Parte tutto da qui. Farlo seguendo una passione,
documentando quello che pensiamo essere degno di attenzione.
Come reperite i nuovi talenti?
Ascoltando molto. Sia dal vivo che i demo ricevuti. E ascoltandoli tutti.
Come scegliete i musicisti?
Innanzitutto, spesso scegliamo la musica e non i musicisti. Ma nella scelta c'è
anche da tenere conto di altri parametri. Oggi, ad esempio, è importante capire
quanto girerà/durerà un progetto. C'è un po' di veggenza nel nostro lavoro!
Quali sono le vostre politiche relative alla distribuzione?
La distribuzione nazionale è curata da qualche anno da
Goodfellas con cui ci troviamo
molto bene. Quella internazionale è diventata un problema. Le spese di trasporto
sono elevate rispetto al potenziale di vendita, soprattutto se messa in relazione
al rischio di non essere pagati.
Quali mezzi utilizzate per raggiungere il vostro pubblico, anche potenziale?
Il passaparola e il buzz dei social. Sono metodi lenti ma economicamente sostenibili
in un momento in cui, dal punto di vista economico, l'impresa fa molta fatica.
A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a mp3, peer to peer, o c'è
dell'altro?
A tutto questo messo insieme che negli anni ha abituato l'ascoltatore medio ad ottenere
tanta musica gratuitamente. Si discostano da ciò quegli ascoltatori che tengono
alla qualità del suono o all'oggetto e alle emozioni che porta con sé.
Qual è lo scenario futuro?
Non si intravedono grandi cambiamenti. La gente avrà accesso a grandi quantità di
musica pagando molto poco.
Per combattere il nemico comune non sarebbe meglio coalizzarsi? Quali sono gli
ostacoli alla creazione di un consorzio o un network?
Quale sarebbe il nemico? Questa è la domanda che mi faccio da tempo. E l'unico indizio
che trovo è nell'abbassamento della qualità degli ascolti dovuta a radio e TV.
Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi di crisi è meglio
essere "più piccoli"?
E' molto meglio, sì.
Cosa potrebbero fare le istituzioni per migliorare e aiutare il settore, soprattutto
per la lotta contro la pirateria?
La pirateria non credo sia più un problema. Non serve scaricare un disco da eMule
se lo trovi gratis (e legalmente) su YouTube, Deezer, Spotify.
La vostra struttura organizzativa si completa con il management? Ritenete, comunque,
che possa essere utile per completare il percorso e fidelizzare al meglio i vostri
artisti?
Il management, come il booking, è un mestiere che va fatto ventiquattr'ore su ventiquattro.
Con i nostri artisti ci confrontiamo spesso su qualunque aspetto scambiandoci informazioni
e consigli. Ma non è il nostro core business.
Quali sono le difficoltà che incontrate e qual è la tendenza del mercato dello
spettacolo dal vivo?
E' difficile trovare canali per arrivare all'ascoltatore finale. O meglio, è facilissimo
(basta mettere della musica su YouTube o SoundCloud per arrivare a milioni di persone)!
Ma, proprio perchè facilissimo ed accessibile a tutti, ci si perde in milioni di
proposte e diventa quasi impossibile emergere. Questo è uno dei motivi per cui è
molto difficile creare un pubblico nuovo. Questo vale sia per il disco sia per il
live.
A tal proposito, come giudicate lo stato di salute del jazz attualmente (sia
quello italiano, che internazionale)?
A livello creativo lo stato di salute è eccellente. Il livello dei demo che ricevo
si è alzato notevolmente negli ultimi anni.
Il pubblico del jazz, almeno in Italia, è statisticamente provato che sia formato
perlopiù da persone over 35 anni. In altri stati, però, ciò non succede. Secondo
te quali sono i motivi di fondo? I prezzi dei biglietti sono troppo alti? Il jazz
non trova spazio negli ordinari canali di comunicazione dei giovani? E' frutto di
una crisi culturale?
Come detto prima, questo è il problema principale. Non si fa nulla per creare nuovo
pubblico e difficilmente troveremo giovani ai concerti di qualità vista la musica
che ascoltano in radio! A questo fa da contraltare l'età media di molti dei musicisti
con cui collaboro, decisamente under 35! Il che mi riempie di orgoglio e speranza.
E' un fenomeno che mi dispiace constatare, ma la tendenza dell'Opera è quella
di annoverare un pubblico sempre più giovane. Forse anche per il fatto che molte
opere sono rivisitate da registi di chiara fama che lo hanno svecchiato parecchio.
Nel jazz, però, anche lo svecchiamento non sempre porta risultati entusiasmanti.
Come mai?
Non sapevo dei giovani all'Opera... mi suona strano. Ma se è così allora possiamo
provare a rubare qualche idea.
Non pensi che il jazz, in Italia, difetti in organizzazione e coordinamento?
Sarà forse perché lo Stato e gli enti territoriali lo tengono sullo stesso livello
delle sagre di paese (con tutto il rispetto anche per queste)?
Frequento il JazzAhead di Brema da qualche anno e mi ha sempre fatto specie la mancanza
degli Italiani a livello istituzionale, escludendo l'esperienza lodevole di
Puglia Sounds ovviamente. In confronto alle altre nazioni europee sia indietro anni luce.
A tal proposito ho dichiarato spesso che la "Casa del Jazz" avrebbe dovuto avere
proprio questa funzione di coordinamento nazionale e non diventare negli anni un
jazz club. Pare che nel prossimo futuro ciò potrebbe cambiare.
La diversificazione del prodotto artistico, e quindi discografico, anche al di
fuori dell'ortodossia jazzistica, può essere utile, oppure ritenete migliore la
specializzazione in un singolo settore musicale?
La specializzazione rende un marchio più forte. Ma non è detto che non si possano
gestire più marchi come capita a noi con Auand, Auand Piano Series, Auand Songs.
Quali sono i prossimi progetti?
Una produzione speciale per festeggiare il cinquantesimo disco della collana Auand,
in vinile a tiratura limitata e numerata. La seconda edizione del festival "Auand
Meets NYC" a giugno 2015.
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Data pubblicazione: 07/12/2014
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