Il chitarrista
Walter Beltrami,
dopo WB3 (2004,
Philology) e Piccoli Numeri (2007, CamJazz),
incide l'album debutto per la nuova etichetta
Re:Think-Art. Il passaggio
attraverso queste tre label fornisce anche indicazione sull'imprinting musicale
dei lavori di
Beltrami il quale ha - nel tempo - esteso la sua musica approdando
ad un territorio che volutamente si presenta senza orpelli, senza alcuno schema
a cui l'ascoltatore possa in qualche modo far riferimento. Un unico indizio da cui
partire: l'album è dedicato al lavoro cinematografico del regista Ingmar Bergman.
Innanzitutto il titolo, Timoka, è il nome di
una irreale città in cui si svolge la trama del film "Il Silenzio" (1963).
Racconta di un viaggio di ritorno che tre personaggi (due sorelle e il figlio adolescente
di una di queste) effettuano verso casa. Si fermano in questa città dove la vite
dei tre personaggi si sfiorano ma non si incrociano, distanti, autonome, unite solo
dal grado di parentela che sottintende tutta una serie di rapporti tra loro dovuti,
appunto, all'esistenza di tale legame. Ed è così nella musica di
Beltrami.
Il trio è composto da chitarra (Beltrami),
contrabbasso (Bordiga) e batteria (Maniscalco),
quindi nulla di inusuale. Al trio si unisce un'ancia, il sax-clarinetto di
Bearzatti.
Si ha quindi un'aspettativa sonora di base ovvia che però rompe gli schemi nel momento
in cui lo spazio e il tempo iniziano ad essere invasi da elementi sonori. Non c'è
prevaricazione alcuna, ogni musicista individua un percorso durante il quale ora
sostiene, ora conduce. In tutto questo si innesta l'inconfondibile voce di
Bearzatti
che arricchisce le trame offrendo la sua creatività assoluta esternata nell'uso
totale dei suoi strumenti, protagonisti non solo nei suoni ma anche nei possibili
rumori. E quindi il discorso musicale scorre in un continuo rotolìo di voci-suoni-rumori-ritmi
che, grazie ad una qualità d'incisione eccellente, vengono colti in ogni minimo
particolare mostrando la loro funzionalità. La musica si sgretola e si aggrega,
si destruttura e si combina e ogni strumento ne esce sempre più rafforzato nelle
potenzialità espressive. E' come se si sia riusciti ad andare un po' più al di là
dell'originario pensiero. Un'idea musicale, una concezione della musica di partenza
e poi la scoperta di pensieri nascosti ma decisamente pronti per essere esternati.
Una gestione davvero matura di quello spazio-tempo nel quale la musica si dipana
chiedendo spesso al silenzio di essere parte attiva e divenire così quasi un quinto
componente per una dinamica pregevole.
Marco Losavio per Jazzitalia
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 05/09/2009
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