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Intervista a Walter Beltrami
di Alceste Ayroldi

..::Intervista seria::..

A.A.: Walter, come hai deciso di diventare chitarrista?
W.B.:
Ricordo perfettamente il momento in cui presi la decisione di iniziare a studiare la chitarra per diventare un giorno un musicista. Ero al concerto dei Dire Straits, molti moltissimi anni fa…era, credo, il mio primo concerto, ero un ragazzino... quindi sicuramente parte del fascino era dovuta all'esperienza del concerto in sé. Comunque fu lì che pensai "voglio diventare un chitarrista" e poi ovviamente, moltissime cose sono cambiate…

A.A.: Nella tua biografia si dice: "travolto dalla scoperta del jazz…"
W.B.: Cominciai a sentir parlare di jazz poco dopo avere iniziato a studiare seriamente lo strumento. Il mio insegnante di allora ne parlava come di un qualcosa di diverso, estremo, quasi irraggiungibile, così qualsiasi sonorità si avvicinasse al jazz mi ipnotizzava. Ma la mia prima vera esperienza con il jazz è abbastanza recente e risale al periodo del Berklee College a Boston. Il primo standard che imparai e suonai veramente di fronte a qualcuno fu Donna Lee, durante l'audizione, e devo dire che tutto andò piuttosto bene. Ti posso raccontare un aneddoto curioso… me ne andai dall'Italia lasciando un trio in cui suonavo musica di Jimi Hendrix (quindi rock, blues… tra l'altro, ironicamente, con Roberto Bordiga al basso elettrico) e ci ritornai con un trio jazz...

A.A.: Hai dedicato il tuo ultimo lavoro ad alcuni tra i più grandi sassofonisti del jazz: come mai questa scelta? Non è che non volevi misurarti con i chitarristi?
W.B.:
Ovviamente la ragione è un'altra: sono sempre stato affascinato da sassofonisti e pianisti. Dai primi per la fluidità del fraseggio, per le possibilità dinamiche offerte dal loro strumento e dai secondi per l'universo armonico e tutte le sue implicazioni. Ma credo che la ragione principale sia che il mio interesse per la musica è sempre andato di pari passo con quello per la composizione. Composizione ed improvvisazione sono due aspetti complementari, inscindibili e credo sia semplicemente accaduto che alcuni tra i sassofonisti più influenti del jazz, fossero in quel periodo i miei compositori preferiti.

A.A.: Parliamo della tua tecnica: quali influenze? Quanto studi? A chi ti ispiri?
W.B.:
Per riallacciarmi alla domanda precedente credo che la mia tecnica sia stata influenzata dalle molte trascrizioni che ho fatto di sassofonisti e pianisti. Dovendo cercare di trasferire sul mio strumento ciò che mi colpiva del loro fraseggio e la loro articolazione, ho sviluppato una tecnica un po' personale. Ricordo che durante i miei studi al Berklee molti insegnanti hanno cercato di farmi cambiare impostazione ma nessuno mi ha mai convinto…Per me l'aspetto principale è il suono e se una tecnica ti permette di ottenere il suono che cerchi perché cambiarla? Ho studiato molto, specialmente negli anni "bunker" nelle practice rooms a Boston, anche perché negli anni precedenti mi ero laureato in lingue e letterature straniere e quindi venivo da un'altra carriera se così si può dire…con una gran voglia di recuperare il tempo perduto. Ora il mio studio consiste maggiormente nel suonare ed imparare nuovi pezzi ma ho mantenuto un approccio molto musicale anche quando devo suonare un esercizio o qualcosa di più tecnico. Dopotutto si può suonare qualsiasi cosa e trasformarla in musica…dipende più dal musicista che dal materiale a volte. Per la stessa ragione mi capita spesso di sentire musica straordinaria rovinata dall'interpretazione di musicisti non altrettanto straordinari…

A.A.: Mick Goodrick e la tua esperienza al Berklee College…
W.B.: Mick Goodrick è stato sicuramente il primo vero insegnante di chitarra che abbia avuto e la cosa strana è che non si parlava mai di aspetti tecnici. Ricordo che per un semestre mi fece accompagnare solo usando i bassi…inizialmente pensavo fosse una cosa limitante ma poi ho potuto gustarne gli effetti nel mio modo di suonare. Molti chitarristi sono infatti legati a voicing statici e con le toniche ai bassi e grazie a quegli studi con Mick, in qualche modo ora riesco a visualizzare lo strumento in modo più contrappuntistico e completo. Ho potuto in seguito studiare con un altro grande della chitarra, Kurt Rosenwinkel e anche questa è stata un'esperienza che ha dato molti frutti. La grande lezione che ho imparato da lui è la semplicità. Questa intuizione ha cambiato molto il mio modo di suonare. Anche con lui le lezioni erano prevalentemente momenti in cui suonare insieme, ma Kurt al contrario di Mick è un grande appassionato della chitarra come strumento, è sempre alla ricerca di nuove tecniche particolari. Come ti dicevo sono sempre stato un sassofonista/pianista nella pelle di un chitarrista ma quest'esperienza mi ha aiutato invece a capire che stavo trascurando le meraviglie nascoste nel "mio" strumento. Oggi quindi sono un chitarrista felice…contento di suonare la chitarra anziché un altro strumento.

A.A.: Come è nato il WB3?
W.B.:
Il trio è nato nel settembre 2003. Conoscevo Roberto Bordiga da diversi anni ed avevamo già suonato insieme in diversi gruppi. Pur abitando nella stessa città, avevo invece conosciuto Emanuele Maniscalco durante Umbria Jazz 2002. Avevamo chiacchierato di musica nelle lunghe nottate perugine ma poi non avevamo avuto occasione di rincontrarci né di suonare insieme per molto tempo. Un giorno andai a sentirlo in concerto e rimasi incantato, così gli lasciai una copia del mio cd in quartetto. Dopo alcuni giorni ricevetti una sua chiamata in cui mi diceva che sarebbe piaciuto anche a lui suonare con me e di lì a poco ci trovammo una sera con Roberto per una prova: da quel giorno per me fu amore a prima vista! Nemmeno un mese dopo avevamo vinto il Premio Incroci Sonori Jazz e registrato il disco. Suonare con loro è un'esperienza davvero unica e il mio modo di suonare in questo trio è incredibilmente diverso dal mio approccio abituale in una formazione a tre. Roberto è un bassista molto stabile e portante ed ha un grande intuito e una grande sintonia con le mie idee. E avere Emanuele nel gruppo è come avere un secondo strumento melodico, il che mi permette di non essere costretto a piegarmi ai soliti clichès del guitar trio ma rilassarmi ed abbandonarmi solo alla musica. Suonare con un batterista del genere è realmente una fortuna! Ti permette realmente di tuffarti nella musica. Ho imparato davvero molto suonando con lui e lo stesso con Roberto!

A.A.: Al Barga Jazz hai vinto il premio Luca Flores: cosa ricordi di questo musicista?
W.B.:
Putroppo non l'ho mai conosciuto né sentito dal vivo. La prima cosa che sentii di lui fu il suo disco di piano solo e mentre lo ascoltavo mi raccontarono anche la storia della sua vita e di quella registrazione fatta pochi giorni prima del suo suicidio. Era musica incredibilmente intensa e vera naturalmente e ricordo che ne fui penetrato. Ho sempre amato i musicisti – e gli esseri umani ancora prima - della sua intensità e sensibilità. E vincere un premio con il suo nome è stato davvero emozionante e molto più che ottenere un riconoscimento alle proprie doti musicali.

A.A.: Ci sono dei musicisti con cui vorresti suonare?
W.B.: Sicuro, tantissimi e non solo jazzisti. Direi con chiunque abbia qualcosa di interessante e fresco da proporre e voglia il mio suono per la propria musica

A.A.: Il sogno ricorrente di Walter Beltrami
W.B.: direi quello di avere la possibilità di registrare la musica che voglio con i musicisti che voglio e non dovere scendere a troppi compromessi

A.A.:  Quattro amici (o amiche) a cui dedicare un pensiero…
W.B.: A parte Emanuele e Roberto che sono grandissimi amici, avrei pensieri per moltissime persone che in vari momenti della mia vita mi hanno aiutato a superare le difficoltà e credere in ciò che facevo. Ma è anche vero che ho avuto già molte occasioni di ringraziarli in passato, quindi dovendo partire ex novo, dedicherei un pensiero ad una ragazza che ho conosciuto da poco e che ha saputo emozionarmi…Chiara

A.A.: Quali sono i "faboulus four" della chitarra?
W.B.: E' sempre difficile fare delle classifiche quindi eccoti i primi 4 nomi che mi saltano in mente: Jim Hall, Jimi Hendrix, Wes, John Scofield.

A.A.: Hai mai pensato all'America? Pensi che oggi sia importante cercare di farsi ascoltare in America?
W.B.: C'ho pensato e ho anche vissuto a Boston per due anni mentre frequentavo il Berklee. La cosa ironica è che in America ho avuto la possibilità di scoprire l'Europa e ho cominciato a sognarla…In America forse esistono più figure musicali istituzionalizzate, un jazzista può anche ambire ad insegnare in uno dei tantissimi college o in un'università, ma per qualche motivo, e questo a detta anche di molti musicisti americani che ho conosciuto, la dimensione artistica è spesso in secondo piano, temuta addirittura a volte o comunque un lusso per troppi. Credo che in Europa sia molto più difficile raggiungere una visibilità internazionale ma al contrario sia più semplice lavorare seguendo la propria vocazione artistica. Ovviamente è ancora tutto da vedere, ti saprò dire se è realmente così oppure no

A.A.: Hai prodotto in quartetto ed in trio: quale formazione prediligi?
W.B.: Mi piace suonare in qualsiasi formazione abbia un reale senso per esistere e della musica valida da proporre. Non amo molto le jam band…In linea di massima, ogni formazione ha un significato ed un sapore del tutto unici. Il trio è forse l'esperienza più profonda e religiosa per me e quella a cui mi sento maggiormente legato. Suono anche in duo sempre con Roberto ed anche quel contesto mi permette di essere molto libero! Una piccola formazione assomiglia molto ad una famiglia quindi è ovvio che gli equilibri siano più delicati ed occorra passare molto tempo insieme anche lontano dal palco per essere affiatati e complici.

A.A.: Ti piacerebbe cantare?
W.B.: Se avessi visto un nostro concerto ti saresti accorto che canto già…canto ogni tema, ogni solo. E' ciò che mi permette davvero di entrare in contatto con quello che percepisco come un flusso melodico interiore. Un modo per assicurarsi che la mente resti fuori dal processo dell'improvvisazione. Ogni volta che suono, specialmente con questo trio, ho la sensazione che non si possa decidere nulla a priori e che un fiume di idee mi stia già scorrendo all'interno. Se sto abbastanza attento ed "in ascolto", riesco a portare all'esterno questa corrente e il canto è un po' come una barca abbastanza robusta da permettermi di districarmi in quelle acque

A.A.: Tu svolgi anche attività didattica: intravedi un giusto approccio, dedizione, voglia di studiare e di farcela?
W.B.: Rispetto a molti colleghi che mi raccontano la loro esperienza penso di essere abbastanza fortunato. Ho investito molto nell'insegnamento e ho già diversi musicisti professionisti o semi-professionisti che vengono ai miei corsi. Tengo infatti un corso di armonia e composizione per tutti gli strumenti oltre alle lezioni di chitarra jazz. La didattica è sicuramente molto importante ma bisogna stare attenti a non farla diventare troppo "consumistica". Oggi ci sono troppe informazioni in giro, troppi libri, troppi metodi e spesso, purtroppo, molta meno musica. La scuola dei miei sogni non dovrebbe mai rinunciare alla musica per la nozionistica, ma sforzarsi sempre di migliorare la conoscenza dello studente solo laddove questa serva realmente ad aumentare la sua espressività. Per quanto riguarda la voglia di farcela…beh, mi sembra che in generale ci sia oggi un maggior interesse superficiale per tutto e un desiderio minore di indagare approfonditamente qualcosa. Tuttavia molti dei miei allievi sono davvero motivati quindi voglio essere ottimista.

A.A.: Se ti chiamasse una popstar accetteresti di suonare con lui (o lei)?
W.B.: Dipende! Ho un concetto molto ampio della parola "pop". Ci sono certamente artisti che stanno scrivendo musica davvero interessante e il pop, quello vero ed autentico, possiede quella meravigliosa qualità della semplicità e dell'immediatezza che amo molto nella musica in generale.

A.A.: Un artista con cui non vorresti mai collaborare…
W.B.:
Non mi vengono in mente nomi – sicuramente non risponderei nemmeno ad una telefonata di Britney Spears…

A.A.: L'ultimo innovatore della chitarra come strumento...
W.B.: Negli ultimi anni credo Kurt Rosenwinkel. Il suo utilizzo di accordature alternative su The next step è molto interessante. Molti chitarristi prima di lui si sono serviti di queste accordature a fini compositivi ma non ricordo molti che le abbiano esplorate così a fondo melodicamente e nell'improvvisazione. E poi il suo utilizzo "pianistico" della chitarra ha avuto un grande impatto sulla nuova generazione di chitarristi.

A.A.: Quali sono i tuoi progetti futuri?
W.B.: Dovrei entrare in studio con il trio per il secondo disco nei prossimi mesi. Poi vorrei registrare anche in duo e sto iniziando proprio ora a scrivere musica originale per un progetto abbastanza ambizioso che ho in mente – ti posso solo dire che non sarà né un trio né un duo questa volta…

..::Intervista Semiseria::..

A.A.: Vediamo qualcosa di ancor più personale: nickname?
W.B.: Se ti dicessi che non ce l'ho?

A.A.: Piatto preferito?
W.B.: Ho un piatto preferito per stagione…ma un gran debole per i dolci e la pasta frolla…

A.A.: Colore preferito?
W.B.: blu

A.A.: Quali sono i tuoi interessi extraprofessionali?
W.B.: Cinema, letteratura, fotografia, stare a contatto con la natura…

A.A.: Stato civile?
W.B.: celibe

A.A.: Tre dischi da salvare dalla fine del mondo….
W.B.: altra domanda complessa...sicuramente Kind Of Blue, Ravel…ma all'ultimo minuto mollerei i dischi e porterei con me l'iPOD…

A.A.: Se fossi uno scrittore quale sarebbe il tuo genere letterario?
W.B.: Il racconto breve suppongo ma se fossi un regista sicuramente farei film a metà strada tra Bergman e la Strada di Fellini.

A.A.: Il rammarico di Walter Beltrami
W.B.: un aneddoto divertente: all'età di dieci anni credo, il padre di un amico mi regalò una vecchia chitarra jazz di cui voleva liberarsi… Né io né il figlio avevamo la minima idea di cosa fosse (il jazz non era di casa come avrai capito) e dal momento che pensavamo fosse una vecchia chitarra inutile solo perché non aveva l'aspetto di una normale chitarra elettrica ci venne l'idea geniale di aprirla per vedere come fosse fatta…morale della favola: la chitarra andò completamente distrutta e da allora mi sono spesso domandato se avessi per caso avuto tra le mani uno strumento dal suono meraviglioso!! E devo ammettere che l'esperienza fu del tutto inutile…ancora oggi non ho la minima idea di come sia fatta una chitarra all'interno…

A.A.: Quale è stato l'evento più bello della tua vita?
W.B.: Molti, tutti legati alle persone che amo e che ho amato. Penso di essere di un uomo fortunato…







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Data pubblicazione: 13/09/2005

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