Parliamo un attimo della tua discografia. Il cd
Virus è del
2002…
F.B.: Sì, ma non è il mio primo disco da leader. Il primo è un disco in quartetto per la Caligola,
Suspended steps, con Max Chiarella, Marc Abrams e Paolo Birro, uscito nel '97, disco che mi aveva già dato una bella spinta, facendomi arrivare quarto nella classifica della rivista specializzata "JazzMan"… Poi per un bel po' non ho più fatto niente di mio, finché non mi sono trasferito in Francia, dove ho registrato
Virus e due anni dopo
Hope.
A.T.: Virus rispetto a
Hope è impostato elettricamente con l'organo di Emmanuel Bex…
F.B.: Sì, l'organo settato in maniera elettronica, elaborato attraverso un computer
A.T.: Già che ci siamo, uno dei brani è Going to the… cosa?
F.B.: Il brano successivo è Casbah, quindi è una preparazione per arrivare a quel pezzo lì che ha una visione piuttosto dura, tra l'arabo e l'israeliano, ci sono dentro due scale che richiamano le due rispettive culture, che sono molto simili anche se purtroppo sono in conflitto.
A.T.: Proprio con Virus sei stato votato dalla rivista "Musica Jazz" come "Miglior giovane talento del 2003": è cambiato qualcosa con questo riconoscimento?
F.B.: Intanto improvvisamente ho cominciato a lavorare in Italia a mio nome con questo gruppo, ho iniziato ad avere concerti come
leader, cosa che prima invece capitava raramente: per anni, fino ad allora, avevo fatto il sideman, mentre a seguito di quel premio ho cominciato ad avere molto più spazio, più notorietà, diversi festival a mio nome,
con tanto di nominativo esposto in cartellone e conseguente responsabilità del proprio progetto. E nel contempo hanno preso a contattarmi anche altri artisti per suonare, tra cui Gianluca Petrella, con il cui gruppo abbiamo registrato un nuovo disco, circa un anno e mezzo fa, anche se esce adesso… Ho avviato una collaborazione con Stefano Battaglia, con il quale ho appena realizzato un disco che uscirà per la ECM. Ho preso a suonare in Francia con altri artisti, fra i quali vorrei citare
Jean-Pierre Como, d'origine siciliana, un musicista molto particolare, un compositore molto valido.
A.T.: Hope invece è del giugno 2004, sembra più romantico, ed ha una sua particolare "acusticità" data anche dalla tromba di Enrico Rava…
F.B.: …sì infatti ho scritto il primo pezzo, T Tango, esattamente pensando a lui, adeguando il suono del gruppo all'inserimento della sua voce.
A.T.: C'è anche qualche scorcio di tipo "felliniano", per esempio in Soap bubble …
F.B.: Quello è un pezzo composto parecchi anni fa per i "Kaiser Lupowiz", un gruppo rock-kletzmer con cui suonavo, e che ho voluto rifare con Rava perché a lui piaceva molto, fin dalla prima volta che lo ha ascoltato. In effetti è un brano molto "felliniano", come dici, ma con quel gruppo facevamo dal rock al kletzmer, un suono molto estremo.
A.T.: E come sei riuscito a inserire Rava dentro questo progetto?
F.B.: È stato coinvolto da Marco Valente della
Auand, e chiaramente m'ha fatto molto piacere, perché indubbiamente
Enrico è la voce più importante del jazz italiano.
A.T.: In generale comunque anche in
Hope c'è un in qualche misura dell'elettronica, anche se…
F.B.: … ti confesso una cosa: ho fatto molta musica pop, nel corso degli anni, ho suonato per cinque anni in discoteca, tutte le sere, lavorando con vari dj e come dj, registrando molta musica elettronica. Per cui questo tipo di situazioni fa parte del mio background e dunque quando faccio dei progetti miei, metto dentro tutto, non sto a pensarci più di tanto, viene naturalmente.
A.T.: Ti faccio un nome: Aldo Romano…
F.B.: Intanto è diventato un mio grande amico, è un grande personaggio, un grande musicista, un grande compositore.
A.T.: Molti dei musicisti italiani, grazie alla sua ala protettiva, sono riusciti a suonare prima in Francia e poi magari sono diventati noti anche in Italia, paradossalmente.
F.B.: A me è successo così… Già avevo una certa notorietà in Italia, ma certamente dopo essere stato in Francia, a lavorare con dei gruppi importanti di lì, sono stato accolto in maniera diversa qui in Italia. Un po' perché qui siamo molto esterofili.
A.T.: E qualcun altro a cui pensi di dovere molto, professionalmente e umanamente?
F.B.: Ma sono tantissimi, anche perché penso di dover molto a tutti i musicisti con cui ho suonato, anche in America.
A.T.: Qualcuno in particolare?
F.B.: Devo molto a Valery Ponomarev, che fu il trombettista di Art Blakey negli anni '80: con lui ho avuto l'opportunità di registrare un disco molto importante, con Ben Riley, batterista di Monk, e con il quale ho fatto molte tournée negli Stati Uniti, cosa che per gli Italiani sconosciuti, com'ero io all'epoca, non è una cosa molto facile.
A.T.: Prima invece ricordavi Jean-Pierre Como …
F.B.: Sì, sto collaborando con lui in Francia. Con Jean-Pierre abbiamo in comune l'amore per la melodia, per la musica anche popolare, e anch'io ho un ascolto musicale a trecentosessanta gradi, vado dal trash, al rock, al punk…
A.T.: E Bex si inserisce nel tuo mondo per i tuoi trascorsi elettronici, una questione di sonorità?
F.B.: In effetti, ho suonato parecchi anni in "The Organ Trio", ma in maniera abbastanza tradizionale. Quando ho scoperto che
Bex usava l'organo in maniera personale, l'ho subito voluto con me, ed il gruppo ha preso una piega molto interessante, quella che cercavo. Poi a volte suggerisco io a Bex l'uso dei suoni, gli dico: "Qua vorrei che assomigliassi ad un clarinetto, così intersechiamo le voci…"; altre volte è lui a propormi delle sonorità folli, che finiscono per prendermi molto.
A.T.: Una tua sensazione, ricordo, emozione, di Hengel Gualdi, visto che vi accomuna lo strumento.
F.B.: Lo ricordo solamente per averlo visto in televisione quando ero piccolo, ho sempre un ricordo di un grandissimo clarinettista e professionista. Ho pure letto una sua intervista su non ricordo quale giornale e ho avuto l'impressione di una persona molto umile, quindi certamente un grande artista.
A.T.: Parliamo del progetto che hai presentato al Terniinjazz#5,
Sax Pistols, il trio con Stomu Takeishi al basso a cinque corde e
Dan Weiss alla batteria.
F.B.: Sì, possiamo chiamarlo "progetto di Terni" perché in effetti è stato "patrocinato" da
Luciano Vanni, il quale ci ha dato la
possibilità di stare due giorni a provare, quindi ha svolto una grandissima parte in esso. Così come, del resto,
Marco Valente, il quale mi ha fatto incontrare Dan Weiss che non conoscevo, al contrario di
Stomu che conoscevo già.
A.T.: Come vi siete incontrati?
F.B.: Stomu suona con Paul Motian, nel trio di Cuong Vu e con tanta altra gente ancora. Lo avevo visto dal vivo tante volte, avevamo parlato di realizzare una cosa insieme e finalmente ne abbiamo avuto l'occasione.
A.T.: Quindi non è vero che avete suonato insieme per la prima volta appena scesi dall'aereo?
F.B.: No, non è vero: abbiamo provato un giorno intero, poi siamo andati a Roma per un primo concerto, e successivamente abbiamo suonato a Terni. Ed il trio era già ben rodato.
A.T.: E dunque, come nasce questo trio?
F.B.: Il progetto nasce perché io sono rockettaro d'animo. Ho trascorso la mia infanzia nella provincia friulana, dove con i coetanei ascoltavamo
Led Zeppelin, i Deep Purple, poi è arrivato il punk, Ramones,
Sex Pistols, eccetera. Quindi ho accumulato dentro anche quel sound, anche come forma di ribellione, potenza di suono, stile di vita se vuoi... Ma col sax era molto difficile riuscire a rendere quel certo suono. Finalmente, grazie ad una pedaliera elettronica che filtra il suono del sax e lo trasforma praticamente in una chitarra – esattamente ciò che volevo –, sono riuscito ad ottenere una risultato di quel tipo, così da poter esprimere quello stesso genere di energia e potenza.
A.T.: Ma al di là della pedaliera, c'è uno studio dietro, per quanto riguarda l'emissione del fiato?
F.B.: Beh, sull'idea di partire con questo progetto mi son messo a casa con la pedaliera a studiare e vedere come potesse uscire quello che era il suono che avevo in testa, la mia idea.
A.T.: Quindi non è un progetto fine a sé stesso: a quando, dunque, il disco?
F.B.: Il disco dobbiamo ancora registrarlo. È un progetto a cui tengo moltissimo, tra l'altro ci siamo divertiti moltissimo a suonare insieme, in tutti e tre concerti che abbiam fatto la gente è andata fuori di testa… È stato gratificante! Ad ottobre abbiamo dei concerti, e poi andremo in studio.
A.T.: Scambieresti il tuo sax con quello di Coltrane o di
Sonny Rollins?
F.B.: Amo il mio sax, il mio strumento, mi ci trovo benissimo, sono entrato quasi in simbiosi. Quindi no. Poi avrei molto riguardo a suonare quei sax lì, e poi credo che non cambierebbe molto nel mio modo di suonare, non farei miracoli. Sono contento del mio strumento, sinceramente.
A.T.: Un tenorista straniero con il quale avresti voluto suonare e non ce n'è stata la possibilità?
F.B.: Ne dico due, anzi due stranieri ed uno italiano. Uno è un musicista che avrà oggi cinquant'anni, ed è Joe Lovano, che secondo me ha rivoluzionato il linguaggio e il suono, il modo di suonare. L'altro appartiene alla nuova generazione, si chiama Chris Speed: mi piace moltissimo sia al clarinetto che al sax, ha un suono ed un modo di suonare originale e secondo me meriterebbe molta più visibilità di quella che ha. Quello italiano, il più grande, come ho sempre dichiarato, è Pietro Tonolo: dopo averlo ascoltato mi ha veramente aperto la mente, per quanto poi lui ed io siamo agli antipodi come modo di intendere la musica. Credo che
Tonolo sia davvero un musicista di livello internazionale.
A.T.: E l'ultimo che sei andato a sentire suonare dal vivo?
F.B.: Credo Joshua Redman, che sono andato a vedere con il progetto "Elastic", perché mi interessava l'uso dell'elettronica.