Intervista con Giovanni Falzone
Settembre 2011
di Eva Simontacchi
Fotografie: A. Boccalini
Giovanni Falzone, musicista poliedrico, eclettico, ricco di idee e d'inventiva,
compositore dalla ricca vena creativa è oggi da annoverare tra i più originali e
prolifici artisti e compositori italiani riconosciuti in tutt'Europa. La sua avventura
inizia nella banda musicale di Aragona, all'età di 17 anni, per poi proseguire con
lo studio della tromba presso il Conservatorio V. Bellini di Palermo, dove si diploma
in soli quattro anni sotto la guida del Maestro G. Ciavarello. I suoi studi proseguono
presso il Conservatorio G. Verdi di Milano per lo studio del jazz, sua grande passione
fin dal primo ascolto. Collabora stabilmente per otto anni, fino al
2004, anno in cui si dedica definitivamente
al jazz e alla composizione, con l'Orchestra Sinfonica di Milano, suonando con direttori
e solisti di fama internazionale quali Giuseppe Sinopoli, Claudio Abbado, Carlo
Maria Giulini, Riccardo Chailly, Yutaka Sado, Luciano Berio, Vladimir Jurowski,
Valere Giergev. Si aggiudica, bruciando tutte le tappe e dimostrando talento, dedizone
e passione per la musica e la composizione, prestigiosissimi premi, anche a livello
internazionale, quali Best Talent Umbria Jazz Clinics 2000,
Django D'Or 2004 come miglior nuovo talento,
Top Jazz 2004 Musica Jazz, come miglior nuovo
talento, Trofeo Insound 2008 per la categoria
fiati, e il premio accordato dall'Academie Du Jazz 2009,
2° classificato come Miglior Musicista Europeo.
Prolifico nella scrittura e nella composizione, ha all'attivo numerosi progetti
e album a suo nome, tra cui: "Music For Five" (Splasc(H) Records
2002, "Big Fracture" Soul Note
2003, "Earthquake Suite" Soul Note
2004, "Suite For Bird" Soul Note
2005, "Meeting In Paris" Soul Note
2006, "R-Evolutin Suite" Soul Note
2007, "Stylus Q." Abeat
2008, "Around Jimi" Cam Jazz
2010, "Songs" IF DUO (abeat Records,
2011). In qualità di Band-Leader ha suonato
in vari Festival Jazz Nazionali ed Internazionali: Umbria Jazz Winter, "Villette
Jazz Festival" di Parigi, Clusone Jazz, AH-UM Jazz Festival, Bergen Natt Jazz, Copenaghen
Jazz Festival, Aarhus International Jazz Festival, Sardinia Jazz Festival, Pavia
Jazz Festival, Vicenza Jazz Festival, Monticelli Jazz, Molde Jazz Festival, La Palma
Jazz, Bolzano Jazz, Teano Jazz, Tortona Jazz Festival, Iseo Jazz Festival, Festival
Delle Silene, Edinburgo Jazz Festival, Odessa Jazz Festival (Ucraina) Bordeaux Jazz
Festival, ZerozeroJazz, Auditorium Parco della Musica (Roma), Skopje, Villa Celimontana,
Grenoble Jazz Festival, Nantes Jazz Festival, etc..
Insegna strumento e musica d'insieme jazz presso il Conservatorio "G. Verdi" di
Milano dal 2005, al Conservatorio "G. Verdi"
di Como dal 2008 e ha collaborato con i corsi
individuali di strumento e musica d'insieme della New York University Florence,
alternando l'attività solistica a quella compositiva.
L'ultimo suo album è "Around Ornette" per l'etichetta Parco della Musica di Roma.
La prima domanda che sorge spontanea è: come è successo che hai preso questa
importante decisione di lasciare l'ambito classico per passare al jazz?
Per molti anni mi sono dedicato alla musica classica perché era quello che gli studi
in qualche modo mi chiedevano di fare. Quando mi sono iscritto al Conservatorio,
e vedevo che tutti mi dicevano che avevo questa facilità per suonare la tromba,
ho pensato bene di concentrarmi al massimo, per cercare di terminare gli studi nel
minor tempo possibile, visto che ero "vecchio" rispetto alla media degli iscritti.
E così è stato per fortuna, perché a 22 anni mi sono diplomato, dopo soli 4 anni.
In realtà ero concentrato sugli studi, perché vedendo che le cose che facevo mi
venivano bene, e tutti mi incoraggiavano a diventare professionista nell'ambito
classico, sono andato avanti. E così è stato perché le prime audizioni che ho fatto
subito dopo il diploma sono andate bene, e ho iniziato a lavorare nell'ambito classico,
per cui in realtà io mi sono ritrovato a lavorare in quell'ambito, ma fin dai primi
momenti e dai primi studi ho sempre ascoltato il jazz. A onor del vero quello più
arcaico, perché nella zona mia, di Agrigento - io sono di un paesino in provincia
di Agrigento che si chiama Aragona - non c'era la possibilità di ascoltare molto
jazz, e quel poco che c'era era quello più popolare, tant'è vero che i miei genitori
quando ho manifestato il desiderio di avere una musicassetta di jazz, mi hanno regalato
Armstrong. Non però le musiche di Armstrong strumentista dei primi dischi Hot Five,
Hot Seven, ecc. ma l'Armstrong più popolare, quello di "Hello Dolly", "C'Est Si
Bon", "What A Wonderful World", e così via. Per cui in realtà io
per molto tempo ho pensato che il jazz potesse essere questo. Però anche già solo
questo, quello più popolare, un po' più semplice all'ascolto, mi piaceva. Di conseguenza
studiavo classica pensando che un giorno avrei quantomeno cercato di capire cosa
fosse quella musica. E così è stato. Mi sono diplomato, ho vinto un paio di audizioni
che mi hanno subito messo in orchestra; non mi sono quasi neanche accorto della
transizione: sono passato dall'essere studente a lavorare in orchestra. Lavorando
in orchestra bisogna chiaramente mantenere un certo tipo di impegno, perché si tratta
di un lavoro molto serio. Così il jazz da un lato mi piaceva, ma dall'altro avevo
questo lavoro molto impegnativo, che mi assorbiva parecchia energia, e che non mi
dava ancora la possibilità di concentrarmi altrove.
E qui ci avviciniamo al punto in cui ti avvicini maggiormente al jazz…. Com'è
successo?
A due anni dal diploma, dopo varie collaborazione qua e là per l' Italia sono arrivato
a Milano. Ho vinto il concorso per l'Orchestra Sinfonica di Milano e qui in qualche
modo, rispetto alle altre volte, per la prima volta in vita mia diventavo stabile.
Cioè, anziché fare il contrattino che si fa normalmente con le compagini orchestrali,
con scritture a tempo determinato, che possono durare quindici giorni, un mese,
due mesi, per la prima volta mi fermavo in un posto a lungo termine. Vista la situazione
più stabile ho iniziato a pensare che probabilmente fosse arrivato il momento di
approfondire l'aspetto jazzistico che bussava sempre più chiaramente alla mia porta.
Se devo analizzare i momenti principali o di svolta della mia vita, sono tutti momenti
abbinati a delle casualità pazzesche che ho saputo cogliere e approfondire, però
la radice è spesso stata una casualità. Un giorno, uscendo da una sessione di registrazione
per la Decca con Riccardo Chailly dalla Sala Verdi del Conservatorio di Milano affittata
per l'occasione, nella bacheca del Conservatorio leggo che sarebbe nata quell'anno
la nuova classe di jazz, e mi sono detto: "Che coincidenza! Sarà una coincidenza
ma voglio capire perché è successa questa cosa. Ormai sono stabile qui a Milano,
vedo di far conciliare le due cose. Vediamo, magari una volta chiederò un permesso,
una volta mi organizzerò con l'insegnante"…. e così è stato, e ho iniziato a intraprendere
questo studio. Nel frattempo collaboravo con l'orchestra sinfonica, ed ero dunque
un professionista, però il jazz, a parte l'interesse che avevo avuto durante i primi
anni di studio, non avevo mai avuto modo di approfondirlo. Il fraseggio e il linguaggio
sono totalmente diversi rispetto a quello al quale ero abituato. Anche l'armonia;
non conoscevo nulla di tutte queste materie, avendo studiato musica classica al
Conservatorio. Poi nella realtà molte cose sono simili. Nelle due discipline riesci
a trovare le affinità, però lì per lì è tutto diverso a livello di impatto.
E' successo tutto molto rapidamente: raccontaci come.
Si, in effetti. Mi sono iscritto e ho iniziato a studiare il jazz. Ho avuto la fortuna
di incontrare Tino
Tracanna che per me è stata una delle persone importanti della mia vita
di musicista jazz grazie al suo approccio e al suo metodo d'insegnamento. A parte
che è un grande musicista e ho una stima di lui infinita, anche come insegnante,
essendo un musicista che si è creato in maniera autodidatta, mi ha sempre messo
in condizione di farmi innamorare del jazz senza farmi pesare molto il fatto che
fossi piuttosto all'asciutto riguardo a questa materia. Anzi, è stato uno dei primi
musicisti che mi ha incoraggiato, perché mi ricordo che dopo il primo anno di frequenza
del corso un giorno ci disse "Ragazzi, la prossima volta portate dei brani, che
proviamo a leggerli e a montarli in classe". Tutti quanti portammo due o tre brani.
Quando fu il mio turno cominciammo a provare i miei brani e Tino a un certo punto
ricordo che mi disse: "Questi brani sono abbastanza particolari, spiegami come li
hai scritti." Era molto incuriosito dalla mia scrittura. E io risposi che avendo
a che fare ogni giorno con la musica classica contemporanea, o comunque classica,
o anche antica, perché ho avuto la fortuna di suonare da Monteverdi a Berio, mi
ero detto: "Mi piacerebbe approfondire questo modo di coniugare le cose, visto che
derivo da questo mondo e il jazz mi piace". Trovo che comunque l'aspetto della creatività
estemporanea sia la realtà che mi interessa di più approfondire nella mia vita,
però mi piacerebbe farlo in maniera come più mi appartiene. Io fino adesso ho fatto
questo percorso, non vorrei chiaramente cancellarlo. Se fosse possibile mi piacerebbe
che diventasse un tesoro. Grazie all'intelligenza e all'apertura mentale di Tino,
che anziché dire: "No, sai il jazz è quella cosa lì", come spesso fanno gli insegnanti
un po' più chiusi o bigotti (in tutte le discipline ce ne sono), mi disse "Porta
il tuo materiale, mi piace il modo di scrivere che hai, e vediamo di approfondire".
Quando arrivai al numero di pezzi necessari per registrare un disco mi disse "Questi
brani per me sono da registrare, assolutamente, anzi mi farebbe piacere farlo insieme".
E così è stato. Mi sono ritrovato ad andare in studio con dei musicisti che sono
Ferdinando
Faraò alla batteria, Tito Mangialajo al contrabbasso,
Francesco Pinetti al vibrafono (che era un mio compagno di classe all'epoca)
e Tino Tracanna
che in quel caso compariva come ospite. Abbiamo registrato questo disco che si chiama,
appunto, "Music For Five". Il titolo nasce proprio dal fatto che a differenza degli
altri miei compagni di classe mi ero accorto che in maniera del tutto naturale e
spontanea avevo scritto le parti per cinque musicisti anziché come si fa normalmente,
scrivendo uno spartito con le sigle creando poi l'arrangiamento man mano. Mi era
venuto spontaneo proprio perché ero cresciuto con quel tipo di formazione. Ho voluto
che questa componente, questa particolarità emergesse dal titolo del disco "Music
For Five". Questo è stato l'inizio della mia avventura. Lo stesso anno mi sono recato
a Umbria Jazz, Siena e Nuoro per seguire i seminari estivi, facendo un vera e propria
full immersion. Quell'estate è stata molto determinante per me. A Perugia ho incontrato
un insegnante di tromba che mi ha veramente incoraggiato e mi ha detto: "Secondo
me se tu credi in ciò che stai facendo, può diventare la tua vita, perché hai un
modo molto particolare di intendere la musica, e se riesci a svilupparla con serietà
puoi diventare davvero qualcuno". Ho creduto molto a quelle parole, tant'è vero
che quell'anno ho ottenuto la borsa di studio. Così quell'anno una volta rientrato
in orchestra ho iniziato a pensare che probabilmente quella fosse la mia strada,
e ho continuato ad approfondire sempre più il jazz, ho iniziato a scrivere sempre
più, e l'orchestra stessa è stata fonte di un grande contributo, nel senso che oltre
chiaramente a darmi una possibilità di lavorare, di mantenermi ed essere tranquillo,
non avevo bisogno di distrarmi per andare a fare cose che non mi interessavano.
L'orchestra mi ha dato proprio la possibilità di concentrarmi su quello che mi interessava,
che era appunto l'aspetto compositivo e creativo della musica. Dopo i primi risultati
la direzione artistica dell'orchestra mi ha commissionato, per due stagioni consecutive,
alcune composizioni originali che vedevano coinvolti sia musicisti classici che
improvvisatori, da eseguire all'interno della stagione da camera.
Il fatto che fossi in orchestra ad assorbire quelle sonorità, quegli strumenti,
quei modi di concepire il contrappunto, mi ha molto aiutato a comprendere alcune
regole compositive. Chiaramente un piccolo merito in questo l'ho avuto perché per
ogni brano che suonavo analizzavo la partitura, ero molto curioso. Poi studiavo
sul campo. Non ho studiato sui libri, quelli convenzionali. Poi ho approfondito
perché mi interessava capire l'aspetto più formale delle cose però all'inizio è
stata una sorta di esplorazione sul campo perché analizzavo molto attentamente le
partiture. La tromba in orchestra ha tante pause, quindi durante le pause ascoltavo
cosa facevano gli altri, osservavo la partitura, mi sottolineavo le cose che mi
piacevano, poi andavo a casa e cercavo in maniera del tutto autodidatta di rielaborare
delle informazioni, scrivendo di volta in volta piccoli frammenti compositivi da
fare eseguire, durante l'intervallo, ai miei colleghi. Probabilmente questo mio
approccio anticonvenzionale è proprio dovuto al fatto che la mia formazione è avvenuta
in maniera atipica.
Dunque sei riuscito nel tuo intento di sfruttare al meglio la tua esperienza
per utilizzare un linguaggio e idee originali nel campo della composizione jazzistica
che è ciò che ti appassiona…
Si, quell'esperienza mi ha dato sicuramente molto a livello di formazione, poi pian
pianino ho studiato le regole più specifiche del jazz, ho studiato composizione
ed ho approfondito in maniera più capillare. Analizzando il mio percorso mi sono
reso conto che ho sempre approcciato le cose seguendo la passione per poi approfondirle
in un secondo tempo. Con la tromba è stata la stessa cosa: prima ho imparato a suonare
ad orecchio, poi mi sono dedicato allo studio. Torniamo al periodo orchestrale.
Il secondo anno dopo la rappresentazione del mio lavoro cameristico per quintetto
di jazz e orchestra da camera, sotto consiglio di un mio caro amico feci ascoltare
la registrazione alla Soul Note. Spedii il materiale senza alcuna speranza e
Bonandrini dopo l'ascolto di questo live con l'orchestra mi convocò di corsa
e mi disse: "Ti voglio mettere sotto contratto", e mi diede questa grande
soddisfazione. Così ebbe inizio il periodo Soul Note, con tutti i dischi usciti
con loro. Nel frattempo chiaramente mi cresceva la speranza che questa realtà potesse
diventare la mia vera forma di espressione musicale. E in maniera molto naturale
cominciai a pensare di staccarmi dall'orchestra. Per circa quattro anni, dal
2000 al 2004,
continuai a collaborare con l'orchestra pur lavorando anche sui miei progetti jazzistici
facendo tanti sacrifici, perché per stare bene in un'orchestra devi lavorare molto,
devi studiare tanto, devi essere preciso, insomma, una difficoltà diversa. Però
man mano andando avanti capivo che non potevo continuare così, perché mi accorgevo
sempre più che ciò che mi interessava era l'idea di poter aggiungere qualcosa di
mio alla musica che eseguivo. Con la musica classica sei molto più vincolato nel
fare ciò. Pian pianino, pian pianino mi sono sganciato dall'orchestra incoraggiato
dai risultati che man mano crescevano: nel 2004
a giugno ricevevo il premio "Django d'Or" come miglior nuovo talento, poi a dicembre,
sempre dello stesso anno, la rivista Musica Jazz Italiana mi premiava come Best
Talent. Questi riconoscimenti mi hanno senza dubbio incoraggiato. Nel frattempo
sentivo che il mio suono si andava trasformando, per cui cominciavo a non sentirmi
più a mio agio in sezione. Siccome avevo fatto molto bene quel lavoro e la sezione
era formata da straordinari professionisti, quando mi resi conto che il mio suono
stava cercando un'altra direzione, chiamai tutti i miei colleghi e dissi loro: "Vi
ringrazio per questo importante periodo della mia vita, ma io da qui in poi devo
andare per la mia strada". Per me è stata un'esperienza bellissima e ho intrapreso
un nuovo percorso in maniera veramente serena. A distanza di sette anni posso dire
di non essermi mai pentito nemmeno per tre secondi. Non tornerei mai indietro. Se
dovessi rifare tutto quello che ho fatto, si! Ma non cambierei nulla di ciò che
ho fatto.
Una scelta felice e vincente senza traumi, e con molte soddisfazioni
ben meritate. Ci parli del tuo ultimo progetto "Around Ornette"?
Questa è l'ultima creatura, e come tutte le ultime creature è la più
bella perché è la più vicina al momento stesso in cui sto parlando. Si tratta di
una registrazione fatta a seguito di un concerto riuscito al Teatro Villoresi di
Monza, poi l'indomani siamo andati all'Auditorium di Roma e ho fatto un altro live
e l'abbiamo registrato. Il disco uscirà per "Parco della Musica Records" una nuova
etichetta che produce jazz da 5 o 6 anni e uscirà a settembre del
2011. Questo progetto è stato inciso da un gruppo
di musicisti straordinari, che mi hanno fin da subito manifestato grande interesse
e che mi reputo fortunato ad aver messo insieme. E' un progetto dedicato a
Ornette
Coleman. Lui è stato un grande caposcuola, e ci tenevo a fare un tributo
che fosse un tributo a lui, che è un musicista ancora attuale e vivente ed è bello
per me rendere omaggio a un musicista che è ancora qui tra noi. Allo stesso tempo
volevo realizzare un tributo che avesse a che fare con la mia visione della musica,
per cui, dato che considero Ornette un caposcuola assoluto, e lo reputo uno di quei
musicisti che hanno dato un grandissimo contributo al '900,
volevo fare un tributo a lui sotto una veste un po' più ampia, mescolando il mio
background personale derivato dalla musica classica contemporanea al free jazz che
è quello in cui Ornette si distingue di più in assoluto, e al jazz più mainstream.
Per cui ho voluto mettere insieme questi tre elementi e ne è risultata una suite
in otto movimenti che ho da poco registrato per l'Auditorium Parco della Musica
di Roma in uscita nel mese di settembre 2011.
I musicisti che fanno parte di questo progetto sono
Francesco Bearzatti
al sax e clarinetto, Beppe Caruso al trombone,
Paolino
Dalla Porta al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria. Il
progetto è suddiviso in quattro brani di mia composizione e quattro brani di Ornette,
che ho rivisitato e rielaborato quasi in maniera integrale, nel senso che ho aggiunto
delle parti come special e come background. Si tratta di piccole cellule tematiche
derivate dalle sue composizioni, che ho sviluppato ed elaborato per farne poi un
discorso compositivo più articolato in modo da poter utilizzare il quintetto sia
sottoforma di piccola orchestra, mi riferisco al fatto che ci sono delle pagine
elaborate, arrangiate e scritte per tutto l'ensemble, sia come combo dove ogni musicista
in maniera molto libera partecipa e da il proprio contributo all'intero svolgimento
del quadro sonoro.
Detto ciò mi viene da concludere l'intervista con l'augurio che questo progetto
possa andare in giro a suonare per cercare di essere una alternativa ai tributi
più convenzionali, e con un ringraziamento indiretto attraverso questa musica a
Ornette
Coleman per avermi dato tanto e per avermi reso un musicista libero
nei confronti di questo genere musicale che mantiene come forza principale il fascino
di una continua metamorfosi.
Secondo me quando il jazz non avrà più questa prerogativa principale come prerogativa
importante ed elemento primario per affrontare qualsiasi tipo di lavoro, diventerà
forse una musica un po' più di maniera, e vorrei non lo diventasse mai. Oggigiorno
mi capita spesso di sentire molte cose che mi fanno pensare che ci sia la tendenza
a far diventare il jazz un po' musica di maniera, e c'è poca autenticità sia nei
gesti, sia nel preparare un progetto, sia nel suono delle cose che si sentono in
giro. Per quanto mi riguarda nel mio piccolo, senza peccare di presunzione, mi piacerebbe
che il jazz mantenesse sempre questa forma di incognita…. Quando ascolti qualcosa
che non comprendi subito al primo ascolto, forse quell'ascolto merita più attenzione
e forse ha anche il desiderio di raccontare, seppur piccola, la propria storia.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 18/12/2011
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