Dedicarsi alla musica libera comporta la necessità di avere canali più
aperti di diffusione, rispetto alle tradizionali etichette discografiche che spesso
tendono ad adagiarsi su prodotti sicuri di semplice ascolto e in generi già codificati
dall'ascoltatore. Per questo motivo l'unione di tipo cooperativo di improvvisatori
capaci e totalmente privi di barriere porta sovente a quella libertà di ricerca
che può rendere possibile la "scintilla" della vera arte, quella che rischia. E'
successo per l'AACM, l'associazione dei musicisti creativi di Chicago che
ha fatto scuola e storia per l'America ma è successo anche in Europa, ad esempio
nel caso della tedesca FMP.
Da questi importanti precedenti prende le mosse una realtà italiana come
quella di El Gallo Rojo Records.
La presentazione al loro catalogo contiene affermazioni battagliere ma
che l'ascoltatore trova poi confermate nei lavori: " El Gallo Rojo Records è
un colpo di lama nel sipario, un'irruzione di luce, un'interruzione in quel tessuto
di prevedibilità che avvolge ormai tutte le tradizioni troppo consolidate. E' un
gioco di maliziosi depistaggi e di libere associazioni (…) utile a ritrovare il
gusto del racconto su più livelli…"
E via così, esprimendo altri "desiderata" che chiunque ami la musica "rischiosa",
quella che sa tenersi lontana dalla banalità, non può non sottoscrivere con entusiasmo.
Quelli di El Gallo ci tengono a riaffermare una non appartenenza
a etichette stilistiche già abusate e aprono ad una multimedialità intelligente
che lega musica, immagini, parole, fotografie, etc. In quest'ottica sono curate
le copertine dei cd, frutto di un lavoro artistico alternativo a quanto è di moneta
corrente nel mercato discografico del jazz.
Quando poi si passa ai cd ci si rende conto che i propositi sono sicuramente
mantenuti: sarà difficile, sarà sperimentale, sarà avanguardistica, sarà questo
ed altro insieme, ma il comun denominatore dei lavori patrocinati da El Gallo
Records è la distanza siderale dal mainstream.
Questo spirito è ben rappresentato nel primo disco della carrellata:
Plunge della Zeno De Rossi Sultry. Un
lavoro dai ritmi obliqui, in cui nulla può essere dato per scontato, come nella
title-track Plunge. I temi hanno spesso un sapore filmico, in qualche caso
hanno un vago sentore di vintage (sarà l'organo?) ma poi si aprono a squarci improvvisativi
schiettamente jazzistici. The Daniel Quinn Theme.
Un vago gusto arabeggiante compare qua e là a mischiare ancor più le carte,
insinuandosi in un brano onirico come il bellissimo Zakaz,
impreziosito da una prestazione superba di tutti i solisti: dal pianoforte elettrico
ospite di Anthony Coleman, noto per le sue collaborazioni con John Zorn,
al clarinetto di Chris Speed che si muove sinuoso e come avvolto dal drumming
di Zeno De Rossi. Nell'impasto proposto da Zeno De Rossi entra di
tutto: dal rock'n'roll ai ritmi latini; in un quadro che sembra una cartolina da
mondo globale di suoni echi ed immagini con accostamenti anche molto particolari,
come il clarinetto e la chitarra distorta e volutamente heavy di
Sincer o i ritmi funkeggianti e frantumati di
Ida y vuelta.
Un altro lavoro interessante è quello del quintetto costituito da una
formazione più classica, imperniata sui tre ritmi + sassofono e chitarra. Ma le
consuetudini finiscono qui, la musica infatti è un altro esemplare esercizio di
libertà artistica.
Si tratta di Brian had a little Plate,
lavoro dei Rootless, nome collettivo dietro il quale si muovono cinque musicisti
interessanti come Luca Dell'Anna, Massimiliano Sorrentini, Francesco
Bigoni, Danilo
Gallo,
Simone Guiducci.
I temi si muovono in ambito prettamente jazzistico, ma non sono buttati lì per caso,
solo per dare il la alle improvvisazioni. Brian's little
plate, per portare un esempio, è un tema notturno ma mosso, spezzato
dal contrabbasso e ripreso dopo soli di grande varietà ed interesse di Bigoni,
Dell'Anna e
Guiducci.
Peraltro l'interplay tra sax e chitarra è interessante in tutti brani. Da segnalare
anche la ballad Song for my mother e la stralunata
ed irriverente Lopa Tola, che nella foga
finisce per collassare su sé stessa.
Ancora la chitarra ma nelle mani di
Domenico Caliri
è protagonista di un lavoro in trio assieme a Giovanni Maier e al già citato
Zeno De Rossi alla batteria. Il cd Achtung!
Prodotto sotto il nome Wergeld, si apre con un lungo omaggio ad Albert
Ayler, Light in darkness, la cui musica
risulta ancora difficile e stimolante dopo quasi quarant'anni. Il brano che si accende
col passare dei minuti termina in maniera concitata, quasi di fanfara, e sarebbe
sicuramente piaciuto allo stesso Ayler. Tra rullate e ammiccamenti rock si
cela invece una seconda citazione, questa volta dal già citato musicista di avanguardia
John Zorn. Zebdi Interessante è anche
l'ironica ballad-spiritual-blues, Our Prayer
composta dal fratello di Albert, Don Ayler, che gioca maliziosamente sui
temi, tempi e ritmi più abusati della musica nera.
In questa carrellata dei lavori di El Gallo Rojo ho lasciato per
ultimo il lavoro che –ma è un giudizio personale e soggettivo- ho trovato più interessante.
Sarà anche per l'ironia del nome del gruppo, Henry Taylor, che
nasconde dietro un sorridente nom de plume la valente mente del gruppo,
Enrico Sartori, alle ance e alla composizione della maggior parte dei brani.
Interessante il brano d'atomosfera Il giallo
ed il ribollente Triadi, rilassato ed ispirato
l'omaggio a Carla Bley in Jesus Maria.
Il clarinetto di Sartori mi ricorda nel suono -ed in alcuni momenti
solistici-quello del poco conosciuto e sottovalutato John Carter. Un pezzo
meditabondo e ricco di echi, Dvjie kune, introduce
poi al brano forse più interessante del lavoro, Underdog,
introdotto sornionamente da alcuni gorgheggi in stile carteriano per proseguire
su un ritmo di marcia che sfocia in un breve tema delicato e sognante. L'aspetto
che mi conquista del brano è la varietà delle atmosfere ed il susseguirsi di momenti
diversi ed anche contrastanti tra loro, tenuti però insieme da un legato
di idee. Dal tema infatti prende le mosse un rapido solo di pianoforte di Fabrizio
Puglisi che sale di temperatura fino a cedere il posto al clarinetto, in un
breve ma infuocato passaggio free che però subitamente si spegne tra le mani del
contrabbasso di Antonio Borghini, il quale ha il compito di riportare a terra
il suono fino al rientro di tutto il quartetto per un rapidissimo ritorno al tema
delicato e sognante, ma ancora una volta l'incantesimo lirico si spezza ed il temino
viene presto decomposto e frammentato nella coda.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 27/05/2007
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