Un progetto non certo facile quello di cercare di rendere vive e palpitanti
le canzoni delle nostre nonne, di quell'Italia che ancora cercava se stessa – come
un po' tutti i Paesi del resto – dopo la spaventosa catastrofe, determinata dalla
seconda guerra mondiale.
Elena Camerin,
accompagnata da un ben amalgamato quartetto, ci ha provato e ne è uscito un disco
da ascoltare più volte per apprezzarne l'atmosfera che si respira, gli arrangiamenti,
il tipo di vocalità e gli assolo che danno un'interpretazione inaspettata a testi
spesso infarciti di retorica o di melodramma che ci appaiono indubbiamente lontani.
Le canzoni sono datate anni '50, nella maggior
parte, e primi '60 e tra esse compaiono i successi
dell'allora Regina della canzone italiana, Nilla Pizzi, trionfatrice dei
primi festival di Sanremo – Grazie dei Fiori,
L'edera – del Mimmo nazionale, Domenico Modugno,
il primo ad imporsi oltreoceano e a far diventare una canzone italiana –
Nel Blu Dipinto Di Blu – un vero e proprio standard,
al punto da essere soprannominato "Mister Volare", dalla prima parola del
ritornello della canzone, e del quale la
Camerin
esegue anche Vecchio Frack e
Resta Cummè.
Nel CD trovano posto anche un brano dell'indimenticabile Fred Buscaglione,
Guarda che Luna; un'accorata
Arrivederci di Umberto Bindi, un successo
di Arturo Testa, Io sono il Vento, una
sua composizione, Boccuccia di Rosa, una canzone
della tradizione napoletana, Anema e Core, e
il pezzo finale Canzone da due Soldi, che ricorda
come l'Italia abbia sempre avuto una tradizione canterina "sulla strada".
In parecchi pezzi, ci sono momenti di intersecazioni e commenti tra voce
e strumenti, quasi una lotta impari tra il più debole e il più forte. In questi
casi si avverte uno sforzo nell'emissione vocale che fatalmente ne penalizza le
qualità. Assai più convincenti, risultano allora i due episodi in cui la cantante
si fa affiancare da un solo strumento, "Resta cummè", un'interpretazione
appassionata, accorata, commentata dal corposo contrabbasso di
Danilo Gallo,
con molta discrezione nei momenti cantati e con un sognante assolo tra una ripresa
e l'altra del tema. Azzeccato anche l'effetto eco, quasi a sottolineare la paura
dell'amato di essere abbandonato; "Arrivederci", che esordisce con una romantica
introduzione del pianoforte di Alfonso Santimone mentre la
Camerin,nel
modo di declamare un testo desolatamente senza vie d'uscita, ci ricorda la Mina
dei tempi migliori. Ci fa venire in mente invece quel modo fanciullesco e sorridente
che ha a volte
Tiziana
Ghiglioni, quando canta "Vecchio Frack".
Molto lunga e interessante, perchè evita fino all'ultimo di far capire chiaramente
di che canzone si tratta, l'introduzione strumentale – più di metà del tempo – di
"Guarda che luna", caratterizzata da un incalzante lavoro di piatti e mallets
di U.T.Gandhi, su cui si insinua il sax contralto di
Nicola Fazzini,
che opta per una esposizione eterea e delicata, interrotta bruscamente da una
Camerin
inaspettatamente sguaiata ed aggressiva.
Decisamente swingante la versione di "Nel blu dipinto di blu" e assai
simpatico il finale, con il ritornello ripetuto in coro da tutti e 5.
La vita per un cantante jazz è difficile. C'è sempre il rischio di voler
strafare, nella declamazione, o di gigioneggiare, quasi a compiacersi di quello
che si è appena cantato, alla ricerca di uno stile personale e sopra tutto di un'espressività
che trasmetta qualcosa a chi ascolta. Inoltre, rispetto agli altri musicisti, c'è
una percentuale maggiore di variabilità, almeno nelle esecuzioni dal vivo, legata
alla mancanza totale o all'abbassamento della voce, semplicemente per motivi di
salute. Ma quando una vocalità riesce a raggiungere certe parti profonde, accade
il miracolo e siamo felici e beati come all'inizio di un nuovo rapporto amoroso.
Giovanni Greto per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 13/01/2007
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