Dalle belle appassionate note di copertina di Davide Ielmini, il quale non fa mistero delle più disparate citazioni (da Pirandello a Wilde, da Disney a Z.Bauman, a Bryman) e scomoda così eccelse memorie per darci uno spaccato più o meno interessante di questo lavoro discografico di
S. Guiducci, tenteremo di operare uno screening musicologico più tecnico di questo Cd…
La freschezza sonora di
Slang mette in luce da subito la compattezza del gruppo. Il tempo composto su cui è imperniato il tema viene ben scandito dal tocco leggero e raffinato dei piatti, discreti e coloristici, di
Stefano
Bagnoli e dalla linea così fluente e articolata, senza ombra di pause del basso di Eberhard Weber, già noto al pubblico internazionale e nome di spicco nel jazz contemporaneo. Una cesura ritmica lancia il primo solo del sax di Matthew Renzi, dal suono secco e ben dosato che, forte dell'accompagnamento di
Guiducci va alla ricerca di punti di tensione, svolazzando quasi in contrappunto all'onnipresente Weber, finchè cede il testimone alla chitarra di
Guiducci il cui solo si evolve con blocchi di accordi verso la riproposizione del tema che sul finire ci lascia udire le poche ma interessanti note di tromba di Kyle Gregory.
Altra atmosfera più di jazz metropolitano ci offre
Tango, una bella composizione di Renzi, che, a differenza del titolo, non ha nulla a che fare con la celebre danza argentina. Armonicamente molto interessante il brano ci lascia intravedere scorci più europei attraverso il calibrato e meditato solo di tromba esplorante le varie possibilità relazionali delle armonie, concatenate in maniera tale da richiedere una quasi perfetta aderenza alla loro essenza. Il solo di chitarra osa leggermente di più, affrontando percorsi a volte più spigolosi anche con brevi linee outsides. Forse un accompagnamento più sobrio del basso, con poche note, avrebbe ispirato ancor più il nostro
Guiducci.
The Least of These si apre con un declamato molto forte nei volumi sonori e che introduce il tema, come un corale epico scandito dalla scrittura omoritmica e dal suono grave dei tamburi intersecati da riffs bicordali del basso, quasi a cadenzarne tutto il brano.
Vari giochi di interplay si giocano su questo terreno: ognuno dice la propria anche se non si avvertono particolari elementi di novità. Inoltre il brano risulta un po' troppo lungo e il free finale non aiuta ad un ascolto più coinvolgente.
A risollevare le sorti
interviene
Short(er) un bel brano di
Antonio
Zambrini, pianista ospite in questo Cd. Il suono si ammorbidisce sia per la presenza del piano, sia per la preferenza accordata ad un brano di matrice più jazzistica che ispira i bei soli di sax e di piano dello stesso
Zambrini, preciso, senza
sbavature alcune e senza eccessiva tensione. Gli elementi sincretistici di cui
questo lavoro discografico è pregno, continuano ad evidenziarsi di brano in
brano: fusione di varie culture, di vari intenti, filosofie e ideologie,
riscontriamo tra le note di questi brani che, seppur tentano di non adeguarsi a
codici già scritti, pur sempre richiamano alla memoria terreni già battuti e
suoni già sentiti in tempi anche non molto lontani da noi.
E così la bella introduzione a
Song to Bilbao, noto brano del chitarrista statunitense
Pat
Metheny, affidata alla fisarmonica e alla voce di Fausto Beccalossi, testimonia quanto detto prima: l'unisono voce e fisa crea un impasto gradevolissimo che funge da richiamo alla cultura "altra"…propriamente latina.
Il tema si svolge conforme alla struttura a canzone di
tipo AABA, con la particolarità di una B di sole tre misure in 4/4, che alterna
accenti in battere e levare (che per comodità di scrittura e lettura armonica è
possibile scrivere anche come quattro battute in 6/8) e che contiene un solo di
chitarra più snello e preciso.
Milano or Where?, brano conclusivo di improvvisazione collettiva teso, forse, a esplorare le varie risorse strumentali, non fornisce, a mio parere, un contributo al CD.
Dino Plasmati per Jazzitalia
Vedere Guiducci alla testa di una
formazione composta da autorevoli all stars non è più oramai una sorpresa. La
piacevole scoperta prosegue invece quando al termine dell'ascolto di questo
"Slang", ci si accorge di essersi imbattuti davvero in un bel lavoro
che, in definitiva, riflette concretamente gli ultimi positivi anni di
produzione del chitarrista mantovano. Poco importa se delle sei composizioni
presenti, soltanto una (Slang, ricca di cantabili ingredienti folky tipici del
Guiducci migliore), scaturisce dall'originale penna del leader. Una sapiente
continuità di suono sorregge, rendendolo alquanto originale, l'intera
impalcatura del progetto, pregnante di una fervida immaginazione compositiva che
si dipana lungo tutto il corso del cd. L'intriganza folclorico modale di The
Least Of These ricorda i vecchi dischi ECM di Weber, qui presente con il
suo solido e inconfondibile lirismo che funge da perno nell'intero disco. La
Short(er) di Zambrini ricorda invece stranamente un'approccio -
perdonate la citazione - più metheniano che shorteriano, mentre il vero omaggio
al chitarrista statunitense è la bella versione di Song For Bilbao, con
ospite Fausto Beccalossi alla fisarmonica. Infine, sia Renzi che Gregory,
regalano al progetto un bel tocco di classe strumentale unito all'impeccabile
chitarrismo di Guiducci, frizzante e sicuro come sempre. (Gianmichele Taormina - Jazzit)
Dalle riletture celebri di My Secret
Love al composito quadro di Slang , il chitarrista cambia partner
musicali senza offuscare la brillantezza dei risultati. Non c'era forse, modo
migliore per introdurre l'ascoltatore nella nuova ambientazione sonora: l'ariosa
title track si muove sinuosa sul flusso creato dai piatti di Stefano
Bagnoli e dagli elastici fraseggi del contrabbasso di Eberhard Weber,
prima di trovare approdo nel prezioso tema esposto da Matthew Renzi al sax
tenore e da Kyle Gregory alla tromba. I tenui, dissimulati scarti
armonici e le suggestioni del folk acustico di "Slang" si stemperano
nella morbidezza di "Tango", scritta da Renzi, ma giocata sulla
contrapposizione fra le sortite solistiche di Gregory e Guiducci: laconica e di
grande rigore timbrico la prima, vivace e irrequieta la seconda. Più in là,
l'acustica di Guiducci si cimenterà da solista anche con "Song To Bilbao"
di Metheny, dispensando nuovi lampi di energia e dimostrando sensibilità
nell'interplay con l'accordion di Fausto Beccalossi. "Short(er)",
firmata dal pianista Antonio
Zambrini, presenta un profilo accomodante e distensivo, quasi a fare da
cuscinetto fra i due episodi più ombrosi e "lunari" della scaletta; "The
Least of These" è un affresco di forte impatto emotivo, mosso dal lento
pulsare di Weber, sul quale tromba e clarinetto intrecciano le loro voci
dolenti, mentre "Milano or Where?" riflette nella sostanza sonora il
punto interrogativo espresso nel titolo, ammantandosi del fascino
dell'irrisolto. Lo "slang" di Guiducci non rischia mai di diventare
lingua per iniziati, ma casomai conversazione intima che sappia coniugare
felicemente passione e controllo formale. (Simone Maiolo - CHITARRE -
Febbraio 2004)
Dopo la fortunata pubblicazione nel 2002 di My
Secret Love e
l'esperienza del Gramelot Ensemble e delle sue molteplici collaborazioni,
il bravo chitarrista e autore Simone
Guiducci firma Slang: 6 brani di
ottimo jazz moderno, senza diretta ascendenza bebop, stilisticamente molto
vicino alle produzioni ECM: musica minimale, fiabesca, onirica e crepuscolare.
Il CD è caldo e avvolgente, privo di asprezze e garbato; a livello armonico è
tenuemente modale, con qualche slancio tonale, in un delicato quanto
affascinante equilibrio. Guiducci è stato aiutato da Eberhard Weber al
contrabbasso, Stefano
Bagnoli alla batteria, Kyle Gregory alla tromba e flicorno,
Matthew Renzi al sax tenore e clarinetto; ospiti anche Antonio
Zambrini, che suona il piano su Short(er), e Fausto
Beccalossi alla fisarmonica in Song To Bilbao di Pat
Metheny. Ecco, questo sembra il nome di maggior riferimento per
Guiducci, che, vuoi per la passione per il canto (quindi le melodie) vuoi per
gli studi jazzistici, è giunto ad un legame (almeno in questo disco) piuttosto
marcato con il grande caposcuola. Come Metheny,
Guiducci
fa convergere la sapienza e il gusto per una musica strumentale con la seducente
liricità di melodie e la linearità di ritmi, fruibili pure da un pubblico più
vasto e meno specializzato. Ciò non si traduce necessariamente in una musica
semplice e/o banale. Tuttavia non si può tacere una scarsa propensione
all'innovazione, comunque mitigata dalla qualità dei brani proposti (però solo
la title track è di Guiducci)
e dalla qualità del suonato di tutti i musicisti, a cominciare dal leader, che
suona la chitarra acustica con trasporto, gusto, tecnica e proprietà di
linguaggio, assolutamente un gradino sopra a molti, compresi alcuni "papà"
americani. Guiducci
ha ben assimilato l'importante lezione di Metheny
(ma pure quelle di Garbarek e Towner), che è quella di aver saputo coniugare sia
nel macro (la sua intera carriera) sia nel micro (nei brani) la poesia e la
descrizione; e, seppure la poesia non sia solo canto e puro suono, e la prosa
non sia solo immagine imitativa della natura, le due cose non sono facilmente
accostabili, quindi di solito riscontrabili, nelle opere artistiche. Questo è il
quadro stilistico e l'anfitrione Guiducci
lo dipinge veramente molto bene: nel lettore CD questo disco riprende a suonare
da capo senza che minimamente ci annoi, anzi...(Carlo Pasceri AXEMagazine N. 86,
marzo 2004)
Invia un commento
Questa pagina è stata visitata 7.188 volte
Data pubblicazione: 07/02/2004
|
|