Già al primo ascolto appare come un'opera estremamente raffinata - forse leziosa in qualche passaggio - tutt'altro che facile, vista anche la scelta della formazione priva dell'apporto, molto cercato da Bill Evans, di una batteria morbida, intensa nell'uso delle spazzole, oltre alla mancanza del piano, già, proprio del pianoforte.
L'incipit del primo brano, "Interplay", è di una raffinatezza estrema, vicina al contrappunto di un Modern Jazz Quartet, magnificamente interpretato dalle corde, intime e moderate, di Bebo Ferra, davvero bravo a ricamare un tessuto sonoro di sapore bachiano nel dialogo col vibrafono di
Dulbecco, un intreccio di rara purezza, omaggio alle scelte pentagrammatiche del grande Evans.
Fioravanti, in questo contesto, sa introdursi da leader discreto e sensibile (ma quanto ama Scott LaFaro?), come anche in "Funkallero", esibendo una realizzazione calda, di grande gusto; nell'ascolto di questa nuvola di fraseggi bop colpisce la costruzione del dialogo con
Dulbecco, un "colloquio" che necessita di essere ascoltato più volte per coglierne non solo il virtuosismo ma, soprattutto, l'anima profondamente moderna nel reinterpretare un "masterpiece".
"We well meet again", ballad bellissima e toccante, è introdotta da un Ferra melodioso che apre le porte della comunicazione musicale al vibrafono, grande protagonista di linee melodiche talvolta, troppo "meditate". Notevole l'intervento di
Fioravanti, morbido e puntuale nel sottolineare gli armonici del vibrafono.
L'Evans più intimo ed emozionante si ritrova in "Peace piece", breve e leggero passaggio di frasi e coloriture tecnicamente perfette. "Very early" è un bop, molto fresco, da trio: colpisce l'intervento di Ferra, equilibrato, si alterna l'impeccabile solo di
Dulbecco (anche se talvolta far peccato dà più emozione!).
In "B minor waltz", uno dei 3/4 più belli mai scritti da Bill Evans, Fioravanti inizia quasi etereo, poi
Dulbecco e Ferra
interpretano in modo tanto interiore da giungere un po' distanti
all'ascoltatore, per un'interpretazione non sempre condivisibile. Convincente "Turn out the stars", bella performance dei tre, una delle più toccanti dell'opera, notturna, soave, allo stesso tempo incisiva e meditativa, nella quale il contrabbassista dà ancora una volta il meglio di sé.
Logica la collocazione di "In april" quale brano conclusivo dell'omaggio, ed anche questo è prova della cura con cui i 13 takes sono stati scelti, come un excursus ben pensato e meglio sentito nella produzione del pianista, nel quale il trio lascia intendere di quale Bill Evans si suoni: il migliore. Un pianista, un musicista di cui si sente la mancanza per l'emozione, la sensibilità, l'eleganza che ha saputo dare alla sua produzione, segno inimitabile di un'anima pensosa, delicata, capace di trasmettere come poche con passione e tecnica, momenti di vita indimenticabili, un patrimonio di gusto e profondità umana che non conoscerà mai il silenzio. Grazie a Fioravanti e Co. per avercelo ricordato.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia