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Il giro d'Italia a bordo di un disco:
Mario Caccia, Abeat Records

di Alceste Ayroldi
foto di Fiorenzo Pellegatta

La seconda tappa del Giro d'Italia a bordo di un disco ci porta a casa dell'Abeat, per chiacchierare con Mario Caccia, intraprendente patron dell'etichetta e anche organizzatore di importanti rassegne.



Qual è la vostra filosofia di vita? Perché fare il discografico?

La musica ha sempre accompagnato la mia esistenza sin dalla più tenera età. Ascoltavo sbalordito il suono del pianoforte sedendomi, silenziosamente ed al contempo rapito, a fianco di una mia parente che si esercitava. Il suono aveva su di me un potere ipnotico. Successivamente, probabilmente interpretando seppur in maniera inconsapevole una mia attitudine, ho cominciato a suonare, a studiare musica sempre intraprendendo sentieri mai precostituiti. Il mio approccio è sempre stato istintivo ed anche lo studio (chitarra, pianoforte, contrabbasso) è stato spesso discontinuo e raramente di impostazione e rigore accademico. Ancora oggi per me la musica è un sentimento che mi accompagna e sostiene in ogni mia decisione o sfida: suono professionalmente da circa trent'anni, sono editore discografico da tredici, più recentemente mi occupo anche di organizzare eventi o rassegne musicali. Una delle più impagabili soddisfazioni è vedere la gente partecipare ai concerti ed uscire emozionata e contenta. Sono diventato discografico per caso, ma mi piace pensare di aver seguito il mio istinto.

Come reperite i nuovi talenti?
Nella maggior parte dei casi ascoltando materiale che i giovani artisti mi mandano

Come scegliete i musicisti?
In genere le cose nascono parlando con amici e musicisti con i quali collaboro da anni. Poi si mettono insieme idee e si ipotizza anche un'eventuale rosa di musicisti. Se invece la domanda si riferisce più genericamente alla scelta del materiale da pubblicare, che spesso mi arriva già pronto e definitivo, allora gli steps sono generalmente, una scelta d'istinto dopo uno o più ascolti, successivamente un confronto con il mio socio Gianfranco Calvi per valutazioni sia di tipo artistico che di strategia di promozione e comunicazione per meglio valorizzare il progetto in questione.

Quali sono le vostre politiche relative alla distribuzione?
Seguiamo e cerchiamo d' interpretare tutte le possibilità che il mercato offre. Dalla distribuzione tradizionale e vendita attraverso i negozi specializzati dei dischi fisici al digitale.

Quali mezzi utilizzate per raggiungere il vostro pubblico, anche potenziale?
Dalla promozione cartacea alla comunicazione attraverso social networks. Spesso ci avvaliamo della collaborazioni di uffici stampa.

A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a mp3, peer to peer, o c'è dell'altro?
Tutte le questioni accennate nella domanda suggeriscono l'idea di una filosofia imperante secondo la quale la musica (intesa come opera dell'ingegno umano) debba essere fruibile gratuitamente. Ho sentito recentemente anche intellettuali di estrazione varia esprimersi in quest'ottica. Anche a me non dispiace l'idea in sé; sarebbe proprio bello poter dividere (condividere) con tutti gli esseri umani i frutti dell'ingegno (siano esse bellezze artistiche piuttosto che invenzioni tecnologiche o scoperte scientifiche). Peccato che ciò al momento abbia scarsa aderenza con la realtà o il sistema di vita che soprattutto la cultura dominante oggi ci impone per vivere (o sopravvivere). Nella pratica attualmente l'industria discografica è ormai polverizzata, così come sono ormai entrate in declino tutte le figure professionali che gravitano attorno alla valorizzazione e commercializzazione della musica: una filiera che parte dall'artista e che coinvolge (coinvolgeva) discografici, produttori, editori, stampatori, grafici, distributori e negozianti. Sono ottimista di natura per cui penso che probabilmente stiamo solo attraversando un periodo storico di così grande e veloce trasformazione globale per cui molti degli equilibri storici sono momentaneamente saltati. Prima o poi si ritornerà a rimettere mano alla salvaguardia dei diritti di copyright per garantire un minimo di sopravvivenza a coloro che fanno della musica la loro mission.

Qual è lo scenario futuro?
Non ho idee chiare. La ruota ha ormai compiuto un movimento per cui non credo si possa tornare indietro e recuperare un mercato e/o dei sistemi di diffusione e vendita che ormai sono divenuti arcaici. Stiamo assistendo alla cancellazione di figure professionali magari antiche (la filiera che descrivevo poco sopra) che non vengono sostituite da altre nuove. Qualcosa perciò non mi torna. E' una questione di ordine economico ed antropologico a mio avviso perché sono ormai molti i settori professionali entrati in disgrazia i cui posti di lavoro, rimasti vacanti, non vengono sostituiti magari attraverso altri ruoli. Di questo passo nel mondo ci saranno sempre meno occupati e occorrerà metter mano a delle nuove metodologie di redistribuzione economica.

Per combattere il nemico comune non sarebbe meglio coalizzarsi? Quali sono gli ostacoli alla creazione di un consorzio o un network?
Se il nemico comune, come penso io è in realtà un "sistema", credo che non basti né un consorzio né un network. Non è più una battaglia di categoria quella che dovremo affrontare ma una rivoluzione culturale.

Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi di crisi è meglio essere "più piccoli"?
Alcune major, per evitare i fallimenti, hanno reinventate un nuovo modo di fare business che ha spesso conciso con uno snellimento del personale e una ottimizzazione dei guadagni. Ma la mia utopistica domanda è: siamo sicuri che questo modello di comportamento obbligato da parte delle aziende in crisi, non rappresenti in realtà la sconfitta del sistema attuale. Un consorzio o network con delle nuove finalità etiche potrebbe essere interessante. Non c'è dubbio che il problema dei posti di lavoro, il conseguente divario sempre più crescente tra ricchi e poveri rappresenterà la vera sfida del futuro dell'umanità e i problemi del mercato discografico non verranno risolti se non interpretando in maniera radicalmente nuova la disciplina del lavoro in generale (intesa come possibilità per tutti di guadagnarsi la pagnotta). Può anche darsi che sia finito un ciclo storico, per cui, il mercato discografico, esploso nella seconda parte dell' ultimo secolo non avrà più lo stesso clamoroso successo. La storia insegna che alcuni cicli finiscono, altri riescono e riprendersi dopo magari un periodo di appannamento, cert'altri infine muoiono definitivamente. I piccoli sopravvivono semplicemente perché hanno costi infinitamente più bassi di gestione.

Cosa potrebbero fare le istituzioni per migliorare e aiutare il settore, soprattutto per la lotta contro la pirateria?
Punto primo, in Italia si fa un gran parlare di cultura ma osservo che in molti paesi stranieri la cultura la si fa con cospicui aiuti privati e soprattutto statali. Un artista di ritorno dal Brasile mi ha detto che lo stato, nonostante le enormi difficoltà in cui versa, mette a disposizione per il settore culturale delle risorse in percentuale doppia rispetto anche ai paesi che spesso prendiamo come riferimento (Francia o alcuni del Nord Europa, per esempio). Invece in Italia è solo un gran parlare…come del resto si fa del su tutte le questioni e in maniera inconcludente. Troppe parole e pochi fatti. La recente proposta del ministro Franceschini di sgravare fiscalmente coloro che decidono di donare soldi per i beni culturali potrebbe a mio avviso essere allargate anche ai settori artistici tout court (musica, teatro e cinema). Aggiungo che la burocrazia nel nostro paese è tale per cui spesso anche i più volenterosi vengono scoraggiati. Le leggi ed i regolamenti sono talmente numerosi e mal scritti per cui anche la loro interpretazione è spesso non univoca. In materia di pirateria in Italia ci sono leggi inapplicabili (penso alla legge Urbani di qualche anno fa) che pur cercando di mettere una pezza non sono servite a nulla e a nulla serviranno.

La vostra struttura organizzativa si completa con il management? Ritenete, comunque, che possa essere utile per completare il percorso e fidelizzare al meglio i vostri artisti?
Pensiamo di sì anche se a onore del vero il nostro supporto manageriale si riferisce ad una piccolissima parte degli artisti con i quali collaboriamo discograficamente. In realtà, in Italia il management stenta a decollare, in parte anche per i motivi di cui sopra. Un sistema talmente cavilloso di regole ha fatto si che suonare in Italia sia diventato materia talmente complessa che o ci si comporta come nel Far West (dove molti fanno quello che vogliono in spregio alle migliaia di regole esistenti o normative, spesso slegate dalla realtà, o sproporzionate rispetto alla natura degli eventi stessi) oppure spesso si lascia perdere; ci sono spesso difficoltà, per esempio, persino di interpretazione legislativa. Ho a che fare con colleghi stranieri, direttori di etichette, distributori ma anche musicisti che quando toccano con mano la giungla burocratica Italiana mi domandano se non siamo pazzi da legare !?

Quali sono le difficoltà che incontrate e qual è la tendenza del mercato dello spettacolo dal vivo?
Poiché la musica vive di sussidi statali, regionali e comunali praticamente estinti per il patto di stabilità e poiché anche i privati ormai hanno difficoltà a sponsorizzare eventi o rassegne, registriamo negli ultimi tre anni un un crollo verticale della musica live, quella che generava indotto e lavoro. Le regole complicate e fuori ogni ragionevolezza, i costi dei vari adempimenti fanno il resto! Segnalo anche che è in corso una abbattimento medio dei cachet artistici davvero inusuale.

A tal proposito, come giudicate lo stato di salute del jazz attualmente (sia quello italiano, che internazionale)?
Musicisti d'oro e musica d'argento! Un piccolo ma significativo divario tra la bontà del musicista italiano, spesso di categoria davvero internazionale per abilità tecnica, ed espressiva, e la musica prodotta che marca un territorio forse ultimamente un po' troppo ripiegato su se stesso. Un atteggiamento implosivo che oggi, nuovo millennio, epoca della comunicazione che abbatte ogni confine geografico mi sembra assai strano. Alcuni amici musicisti, quando riporto questo mio pensiero la prendono male. In realtà vorrei solo stimolare a fare meglio, avendo un potenziale a mio avviso inespresso.

Il pubblico del jazz, almeno in Italia, è statisticamente provato che sia formato perlopiù da persone over 35 anni. In altri stati, però, ciò non succede. Secondo te quali sono i motivi di fondo? I prezzi dei biglietti sono troppo alti? Il jazz non trova spazio negli ordinari canali di comunicazione dei giovani? E' frutto di una crisi culturale?
Tutte le cose elencate nella domanda sono condivisibili e rappresentano delle concause. Quindi è inutile porre l' accento su una questione o sull' altra: occorrerebbe darsi da fare per una piccola rivoluzione culturale; questo potrebbe rappresentare un nuovo punto di partenza.

E' un fenomeno che mi dispiace constatare, ma la tendenza dell'Opera è quella di annoverare un pubblico sempre più giovane. Forse anche per il fatto che molte opere sono rivisitate da registi di chiara fama che lo hanno svecchiato parecchio. Nel jazz, però, anche lo svecchiamento non sempre porta risultati entusiasmanti. Come mai?
In Italia il pubblico in generale ha una immagine della musica jazz stereotipata e carica di pregiudizi. Trovare il sistema di proporre formule maggiormente fruibili secondo me è altamento raccomandabile per cercare di abbattere un muro che al momento appare invalicabile. Dopo di che la definizione "jazz", così come tutte le definizioni generiche (pop, rock e via dicendo) è davvero ampia e raccoglie innumerevoli sottocategorie diciamo o sottogeneri. Ce ne sono per tutti i gusti! Il fatto di rivisitare o svecchiare può essere utile alla causa e come tutte le manifestazioni artistiche può contenere tratti di artisticità assoluta o meno. Poi si deve vedere se un risultato di botteghino oggi corrisponderà o meno un domani a qualcosa di più significativo su un piano complessivo artistico generale. Spesso ciò che trionfa oggi viene presto dimenticato ed altri artisti vengono scoperti o rivalutati con il tempo.

Non pensi che il jazz, in Italia, difetti in organizzazione e coordinamento? Sarà forse perché lo Stato e gli enti territoriali lo tengono sullo stesso livello delle sagre di paese (con tutto il rispetto anche per queste)?
Il difetto di organizzazione e coordinamento dipende, a mio avviso, da chi ne è responsabile, punto e stop. Conosco sagre di paese, piuttosto che festival o rassegne musicali, di qualsiasi genere o tenore, perfettamente organizzate e altre articolate in maniera approssimativa. Certamente la gestione, nella stragrande maggioranza dei casi, mi risulta essere sempre demandata all'esterno. Quasi sempre i responsabili degli eventi culturali, siano essi assessori o direttori di enti preposti delegano: alla Proloco, ad enti od associazioni del territorio, società esterne eccetera. Se dunque le manifestazioni sono male organizzate vuol dire che chi ha poteri decisionali ha svolto male il proprio incarico, delegando a persone sbagliate o non all'altezza, o magari semplicemente in debito di esperienza.

La diversificazione del prodotto artistico, e quindi discografico, anche al di fuori dell'ortodossia jazzistica, può essere utile, oppure ritenete migliore la specializzazione in un singolo settore musicale?
Il catalogo Abeat ha da sempre privilegiato la diversificazione. Operiamo nel jazz ed anche nella world music con un catalogo che spazia dalla musica più tradizionale a quella di matrice avanguardistica; cerchiamo di operare scelte di qualità prescindendo dal genere, certamente facendo riferimento ad una sensibilità personale che, mi rendo conto, può essere giustamente discutibile ed in continua trasformazione.

Quali sono i prossimi progetti?
Ce ne so davvero tanti in fase di realizzazione e progettazione e non vorrei far torto a nessuno.







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Data pubblicazione: 01/06/2014

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