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Max De Aloe Quartet
Lirico Incanto
Abeat for Jazz 2008
1. Vesti la Giubba - I PAGLIACCI; Ruggero Leoncavallo
2. Com'è lunga l'attesa - TOSCA; Giacomo Puccini
3. Preludio - MACBETH; Giuseppe Verdi
4. Ah, fors'è lui - LA TRAVIATA; Giuseppe Verdi
5. Nel golfo mistico; Max De Aloe
6. E lucevan le stelle - TOSCA; Giacomo Puccini
7. Tu che di gel sei cinta - TURANDOT; Giacomo Puccini
8. Mi chiamano Mimì - LA BOHEME; Giacomo Puccini
9. Coro a bocca chiusa - MADAMA BUTTERFLY; Giacomo Puccini
10. E lucevan le stelle - TOSCA; Giacomo Puccini (alternative version)
Max De Aloe
- Chromatic Armonica
Roberto Olzer - Piano
Marco Mistrangelo - Double Bass
Nicola Stranieri - Drums
Via Pasubio, 6 21058 Solbiate Olona
(VA) tel/fax +39 0331 376380
Non poteva trovare titolo più adatto per questo disco l'armonicista
Max De Aloe,
che nel 2008 ci ha regalato, insieme ad altri
tre ottimi interpreti come Roberto Olzer al piano, Marco Mistrangelo
al contrabbasso e Nicola Stranieri alla batteria, un bel pezzo di storia
della tradizione operistica italiana rivista in chiave jazz (e non solo). Un progetto
che in prima battuta potrebbe risultare ambizioso, quasi pretenzioso, se ci si limitasse
a scorrere l'elenco delle opere da cui sono tratti i brani. Sono tutti lì, in effetti,
i giganti che hanno contribuito alla storia musicale del nostro paese e che hanno
condizionato per secoli generazioni di artisti: Puccini, Leoncavallo, Verdi (con
l'unica eccezione per il brano Nel golfo mistico scritto dallo stesso De
Aloe).
Già da un primo ascolto però, ogni pregiudizio viene cancellato dall'originalità
degli arrangiamenti e dal talento dei quattro artisti che, grazie al contributo
del bravissimo sound engineering Stefano Amerio (non a caso definito il "quinto
musicista" della formazione), riescono a creare un suono squisitamente "lirico"
e poetico, ad accompagnare dentro atmosfere romantiche che ognuno di noi, almeno
una volta nella vita, ha vissuto ascoltando magari un frammento della Traviata,
della Tosca, della Bohéme, di Madama Butterfly o del Macbeth…
Anche il booklet del cd in un certo senso ha questo sapore, ricorda un po' i
libretti d'opera che si trovano tuttora in teatro, ricco come'è di testi che spiegano
l'evoluzione del lavoro e di contributi importanti come quello di
Paolo Fresu.
Lo stesso trombettista sardo offre lo spunto, insieme all'ascolto del disco, per
una riflessione sull'identità del jazz italiano che da diversi anni si interroga
su se stessa traducendo questa curiosità in musica di qualità.
Quale deve essere il rapporto tra contemporaneità e tradizione? Quale il senso
attuale di un jazz che deve essere dinamico e in perenne movimento? Può essere il
jazz figlio dell'opera? Secondo Fresu trattare il repertorio operistico italiano
oggi non è poi così strano, anche se potrebbe risultare complesso.
Max De Aloe
si avvicina a questa materia con attenzione e con rispetto, con un approccio filologico
interessante che non compromette il delicato equilibrio che c'è sempre nella musica
tra scrittura e improvvisazione. Jazz e opera sono legati in effetti da un sottile
filo fatto di cultura e di storia, di migrazioni e di linguaggi che hanno unito
due continenti ben prima che trombe e sassofoni invadessero le strade di New Orleans.
Questo scrive
Paolo Fresu e questa è la netta sensazione che si ha ascoltando
questo progetto che rimane, in ogni caso, piacevolmente jazz.
Un disco fatto anche dei ricordi familiari dello stesso armonicista (riversati
nell'arrangiamento), che non ha paura di raccontare e di raccontarsi, di esprimere
"la propria vulnerabilità": «Non posso ascoltare un'aria d'opera senza tornare
con la memoria al momento magico di quando in casa mia si pronunciava la fatidica
frase "montiamo lo stereo"…». Un'immagine nostalgica, come nostalgici (ma non
retorici) sono i passaggi più suggestivi di Lirico Incanto, che certamente
incarna la definizione più letterale di lirismo e cioè la manifestazione piena della
soggettività di un artista. Se è vero che è necessario un punto di vista per fare
musica, quello di
Max De Aloe è sicuramente lucido nei confronti di un jazz contemporaneo
che "ci costringe a fare i conti con le nostre tradizioni ma anche con la modernità
di affrontare un percorso di chiara matrice europea".
Elide Di Duca per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 05/12/2010
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