Max De Aloe
è uno degli esponenti di spicco della musica jazz contemporanea, con una produzione
discografica che, anche di recente, ha riscosso consensi positivi tra gli esperti
di settore.
Parlare di armonica cromatica richiama ai più il nome di Thielemans; De Aloe invece
ha una personalità che lo contraddistingue e molte idee; cercheremo in questa intervista
di conoscere in maniera più approfondita questo musicista. Ha aperto in duo con
Roberto Olzer, la ventitreesima edizione del festival 'Time in Jazz' di Berchidda
e partendo da questa esperienza, iniziamo la nostra chiacchierata.
La rassegna di Berchidda è senza dubbio uno dei festival più rinomati in Italia,
che ogni anno annovera un gran numero di spettatori; puoi riassumere le tue sensazioni dopo l'esibizione e quale messaggio o caratteristica
ti ha colpito del festival?
Suonare a "Time in Jazz" è un'esperienza certamente non comune. Prima di tutto è
un festival ormai di grande prestigio internazionale ma, ancora di più, colpisce
l'amore con cui è organizzato e voluto anno dopo anno. Non parlo solo di
Paolo Fresu
che ne è l'ideatore e il direttore artistico, ma di tutti i volontari che ne fanno
parte. C'è un'energia non comune e soprattutto è vincente la scelta di luoghi magici
nell'entroterra sardo dove vengono tenuti i concerti. Per fortuna "Time in Jazz"
regala ai suo spettatori musica con progetti scelti accuratamente in una cornice
di una Sardegna autentica che non ha nulla a che fare con i panfili attraccati nei
porti esclusivi. Poi, il fatto che un grande musicista come Fresu, che stimo da
molti anni, ci abbia voluto per il suo festival non può che farmi un immenso piacere.
Max De Aloe
oggi, dopo avere sperimentato formazioni tradizionali e collaborazioni originali,
come quella con Gianni Coscia alla fisarmonica che nel 2000 lo ha fatto notare come giovane talento del jazz italiano, in
Apnea si propone in duo, immerge la sua armonica in una sfera musicale intimistica
e senza confini, attingendo da modelli classici, proponendo un cd fortemente originale
soprattutto per un armonicista. Nell'ultimo lavoro, dal titolo APNEA sei affiancato del pianista Bill Carrothers.
Da dove nasce l'idea e come è nata la collaborazione con Bill Carrothers
?
Bill Carrothers è un musicista che stimo da molti anni. Ho i suoi CD tra
i miei preferiti.
E già da tempo volevo realizzare un progetto con musiche che nascessero dall'ispirazione
dei romanzi dello scrittore giapponese Murakami Haruki. Bill si è rivelato essere
il partner ideale per questo progetto.
De Aloe hai qualche progetto nel cassetto o prevedi ulteriori pubblicazioni nel 2010?
E' uscito da pochi giorni il nuovo cd del quartetto dal titolo Bradipo. E' un CD
concepito come una lunga suite. Un'ipotetica colonna sonora di un film. L'ascoltatore
attento ritroverà storie scritte in note come L'aria in mezzo, brano ispirato
al film "Mare Dentro" di Alejandro Amenàbar o Pianosequenza che omaggia il
celebre "Nodo alla gola" di Hitchcock. Lee & Jackson è invece è il racconto in musica dell'amore disperato e affascinante
tra Lee Krasner e Jackson Pollock, ridisegnato in maniera sorprendente nel film
di Ed Harris del 2000. Bradiposi chiude
con la citazione onirica de La strada di Nino Rota. E' stata inserita anche
una suite nella suite dedicata ai Pink Floyd, gruppo che ha fatto dell'unione delle
immagini alla musica la sua forza.
'Rovistando nella tua produzione discografica ('La danza di Matisse', 'L'anima
delle cose', 'Apnea') si nota passione per la pittura, la poesia, i romanzi.
Si possono definire questi i tuoi elementi di ispirazione? Cosa fa scaturire le
tue composizioni?
La letteratura, il cinema, l'arte sanno sorprendermi ed emozionarmi. Sono facili
fonti di ispirazioni. La musica è poi il mio modo di tradurre queste emozioni in
qualcosa di più concreto. Ma anche la vita quotidiana, il mondo che mi circonda,
i musicisti con cui collaboro sono elementi che mi fanno essere quello che sono
e come tale tradurre tutto poi nel mio modo di scrivere musica e di interpretarla.
Io mi relaziono a un mio nuovo CD e progetto live proprio come un regista davanti
al suo nuovo film. Ogni CD ha una sua storia, un suo svolgimento, dei suoi attori.
Tendo a considerare i brani di un CD come molto correlati tra loro. Hai in mente
il concetto che sta alla base di una compilation? Ecco, tutto l'opposto. Non apprezzo
l'ascolto random. Brano dopo brano, un disco ci racconta qualcosa. Non è solo un
contenitore di canzoni. Ha una sua anima, una sua storia che va dalla prima all'ultima
nota suonata, brano dopo brano.
Sei appena tornato da un tour in Africa, che cosa porti a casa da quest'esperienza?
Sono stato due settimana in continuo movimento e suonando praticamente tutte le
sere tra il Mozambico, il Sud Africa e lo Zimbabwe. Un'esperienza meravigliosa da
tutti i punti di vista. L'Africa è tantissime cose insieme: ma, al di là dei luoghi
comuni, ha anche una grande Cultura. Da scrivere con la C maiuscola. Ho trovato
attenzione per la musica, rispetto, grande comunicativa, voglia di conoscere, di
ascoltare, di capire, di confrontarsi. Ho suonato anche con tanti musicisti locali
e probabilmente inizierò una collaborazione con un gruppo dello Zimbabwe. Hanno
una curiosità e una voglia di ‘appassionarsi' che non sempre si trova più nel nostro
Occidente. Spero di tornarci presto anche per tenere dei corsi di musica. E' meraviglioso
cercare d'insegnare a chi ha così sete di apprendere.
E non è la solita retorica, ma tu non hai idea di quanto abbiamo noi da imparare.
Anche musicalmente.
Affianchi alla professione di musicista, quella di didatta. Il CEM (Centro Espressione
Musicale) è ormai un punto di riferimento per aspiranti musicisti, se ne è parlato
di recente anche in televisione; una realtà nella provincia di Varese, una scuola
che tra gli insegnanti propone alcuni nomi molto noti della musica Jazz.
Il Cem è anche coinvolto nell'organizzazione del festival Jazz di Gallarate, di
cui sei il direttore. Cosa consigli ai giovani che vogliono affrontare l'attività
di musicista jazz, e come vedi la situazione del Jazz in Italia?
E' una domanda difficile. Il jazz è diventato qualcosa che si deve vendere. Ci sono
spazi importanti, ma sono destinati ai grossi nomi. In questi anni si è verificata
una ‘spettacolarizzazione del jazz'. Ci sono star in Italia con cachet da 10/20
mila euro a serata. Il pubblico va dove ci sono grossi nomi e grande pubblicità,
ma è meno affascinato dal piccolo club. I piccoli club mancano e sono quelli che
servono da palestra ai musicisti emergenti. Sono nati i corsi di jazz quasi in ogni
conservatorio italiano ma ironia della sorte non esistono molte possibilità per
far esibire questi studenti. Sembrerà strano ma non vedo molti giovani veramente
affascinati, appassionati e soprattutto curiosi. Speriamo che tutti questi corsi
nei Conservatori non appiattisca la fantasia. Il jazz di oggi ha bisogno di musicisti
certamente preparati ma soprattutto visionari, innovativi, personali.
Credi che l'armonica riuscirà a collocarsi al pari di altri strumenti musicali
e trovare il suo spazio tra gli strumenti studiati nei conservatori e nelle jazz clinics, o che sia purtroppo ancora considerata poco più di un giocattolo?
Per l'armonica è molto dura. Io nel mio piccolo, come anche altri armonicisti del
resto, cerco di far vedere che questo strumento ha sorprendenti versatilità. Lavoro
anche molto sulla didattica. Spero che il futuro sia migliore. Una cattedra di armonica
in un conservatorio italiano, come succede in molti paesi stranieri, potrebbe aiutare.
L'armonica ha bisogno di essere considerata come un vero strumento musicale, quale
in effetti essa è.
Olzer, Stranieri e Mistrangelo sono i tuoi ultimi compagni di viaggio con cui hai
pubblicato lirico incanto e road movie e il nuovo Bradipo. Un gruppo che convince
per qualità ed affiatamento.
Si può parlare di alchimia e complicità da cui si possa ottenere creatività musicale
e nuove idee?
Assolutamente sì. Sono musicisti che stimo per la loro curiosità musicale e umana.
Con loro è un vero laboratorio di idee e stimoli. L'energia nasce da lì. Inoltre
ognuno di noi ha una grande stima musicale dell'altro.
L'intervista si conclude con un pensiero per
Bruno
de Filippi, scomparso pochi mesi fa e con cui hai stretto un rapporto
professionale e di amicizia. Ci parli di Bruno e qual è il tuo ricordo?
I ricordi che ho di Bruno sono moltissimi e bellissimi. Jazzitalia ha già pubblicato
un appassionato articolo di Bruno con un'intervista della brava
Eva Simontacchi
alla figlia di Bruno, Franca, e molti interventi di noi amici. Lui non è mai stato
un insegnante di musica. Non era un didatta, ma mi ha sempre spinto a suonare e
a studiare. Tra le mille immagini che ricordo me ne viene in mente una di lui che
mi accompagna con la chitarra mentre tento di improvvisare con l'armonica su
The
Days Of Wine And Roses. Io avrò avuto vent'anni ed eravamo nella
sua casa in collina a Magreglio, sopra al Lago di Como. Poi ricordo quando mi ha
presentato Toots Thielemans ai Giardini Reali di Torino prima del concerto
di Toots con
Cedar Walton. Poi a Genova con Ron Carter e le tante sere al
Capolinea. Ma anche una volta che siamo stati ospiti di una trasmissione
notturna di una tv locale e annoiati dal presentatore ce ne siamo andati di soppiatto
durante la pausa pubblicitaria. Bruno raccontava storie meravigliose e ne aveva
talmente tante che ogni volta riusciva a raccontarne di nuove. Ero affascinato da
un mondo dove i protagonisti potevano essere a seconda della storia, Mina piuttosto
che Louis Armstrongoppure Gerry
Mulligan, Astor Piazzolla, Luigi Tenco, Lucio Battisti, George
Benson, Jim
Hall e mille altri. Per Natale uscirà un dvd di un mio spettacolo in
solo. Il dvd contiene anche un'intervista a Bruno
de Filippi e l'intero lavoro è dedicato alla sua memoria.