abeat 2001 - AB JZ 006 |
Antonio Zambrini
Quartetto
1. Mani-Festa-Forum (sociali)
2. PAT (Piace A Tito)
3. Melampo
4. Undici, dodici
5. Andante andante
6. Tano
7. Parole al vento
8. Una sera
9. La strada di Gino
10. Ariacqua
Tutti i brani sono composti e arrangiati da Antonio Zambrini
Antonio Zambrini piano
Kyle Gregory trumpet,
flugelhorn
Tito Mangialajo Rantzer double bass
Roberto Dani drums,
percussions |
Fin dal suo disco
d'esordio Antonio Zambrini si è rivelato come uno dei più interessanti
tra i nuovi compositori e pianisti della scena jazzistica europea.
Credo sia importante sottolinearne il ruolo di autore, dato che
spesso la critica ha preferito soffermarsi sulle sue qualità pianistiche (del
resto facilmente avvertibili dal primo ascolto) e sul buongusto innato che ad
esse appartiene; a proposito delle sue composizioni si è invece fin troppo
parlato di "voluta semplicità", quasi che Zambrini si compiacesse di un
gusto naïf che invece gli è del tutto estraneo.
I brani di questo artista sono solo apparentemente semplici, e il fatto
di evitare fronzoli di ogni tipo non impedisce loro di articolare un pensiero
musicale estremamente raffinato e complesso. La naturale ritrosia che Zambrini
nutre per il virtuosismo esteriore lo porta, anche nella creazione dei pezzi, a
mascherare dietro un'assoluta trasparenza di scrittura notevoli capacità di
costruzione, formale e melodica. Su tutto spicca uno straordinario gusto
armonico, che gli permette di inanellare progressioni di accordi assai
sofisticate con la massima naturalezza, senza alcuna sensazione di
artificiosità, e spesso nei temi di questo disco una melodia di poche note viene
guidata attraverso una foresta armonica assai ramificata (l'esempio migliore di
questa tecnica si ritrova nel bellissimo brano
Melampo).
La predilezione di Zambrini per l'uso dell'enarmonia lo accomuna a
livello ideale con musicisti che pure appartengono a sfere stilistiche assai
lontane dalla sua, come Ivan Lins, Antonio Carlos Jobim e
Djavan, oltrechè a figure cardine della musica del Novecento come Maurice
Ravel.
Rispetto ai dischi precedenti si nota una maggiore libertà dal punto di
vista ritmico, dovuta alla presenza di un musicista prodigioso quale è
Roberto Dani. Il suo set percussivo è dotato di una flessibilità unica, in
grado di fornire al leader continue proposte di figure asimmetriche (come nel
brano che apre il disco) senza che venga mai a mancare lo swing necessario a
sostenere l'impianto del gruppo. Solidità e libertà sembrano essere le
caratteristiche genetiche di Dani, e Zambrini ha l'intelligenza di saperle
utilizzare al meglio, inserendo nel suo pianismo una grinta diversa rispetto
alle tinte pastello predilette in passato.
Anche il basso di Tito Mangialajo Rantzer risponde in modo assai
incisivo alla batteria di Dani e stende intorno ad essa un'intelaiatura
ritmico/melodica in cui cantabilità e groove si mantengono in mirabile
equilibrio senza che un elemento sovrasti l'altro.
Il flicorno di Kyle Gregory sottolinea con la bellezza del suo
suono le curvature melodiche dei pezzi, e negli assoli dimostra una capacità di
costruzione in perfetta sintonia con quella di Zambrini, dando vita a un
pensiero musicale dove silenzi e respiri sono importanti quanto le note.
Ciascuno di questi musicisti ha fortunatamente superato da tempo la necessità di
esibire la propria bravura strumentale, scegliendo invece di concentrare la
propria attenzione sull'intensità del risultato finale, che viene mantenuta per
tutta la durata del disco senza cedimenti. La tensione resta alta anche nei
passaggi più tranquilli di questa musica, e l'ascolto conferma una volta di più
(sempre che ce ne fosse bisogno) la statura di questo musicista e dei suoi
compagni di viaggio
Carlo Boccadoro
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Data pubblicazione: 12/12/2001
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