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Vittorio Mezza- David Milzow - Ettore Fioravanti
Mezza Milzow Project
Abeat (2014)
1. Linea di fuga Blues (Mezza)
2. In tensione (Mezza)
3. Naufragio su un'isola deserta del Mar Mediterraneo (Mezza)
4. Sera che viene (Mezza)
5. Younique (Mezza)
6. Deep (Milzow)
7. Run, run, run (Milzow)
8. Dreamin' (Milzow)
9. Storducks (Mezza, Milzow)
10. Atonement (Mezza)
Ettore Fioravanti - batteria e percussioni Vittorio Mezza - pianoforte, Fender Rhodes David Milzow - sax tenore e soprano
Via Pasubio, 6 21058 Solbiate Olona
(VA) tel/fax +39 0331 376380
È un jazz colto e raffinato quello che sgorga dalle composizioni di Vittorio
Mezza e David Milzow, riuniti in un progetto di respiro internazionale che vede
coinvolto anche il batterista Ettore Fioravanti. Nella sua ricerca estetica
e concettuale, il trio propone un jazz che guarda al blues e alla psichedelica colta,
nel solco delle ricerche di Rick Wright con i Pink Floyd. Atmosfere che s'intuiscono
già dall'affascinante copertina, che un po' ricorda Magritte e il suo Impero
delle luci, un po' lascia cadere l'idea di una zona di periferia, non ben identificata,
metafora dell'incontro fra jazz e blues cui il trio dà corpo nell'album. Che si
apre con il caldo piano elettrico cadenzato di Linea di fuga Blues, affiancato
da un brioso sax soprano classicamente newyorkese, che dipinge atmosfere urbane
dal sapore contemporaneo. Nella parte centrale, il ritmo si fa più vivace, e Milzow
prolunga di conseguenza i virtuosismi di sax, creando un amalgama particolarmente
coinvolgente. A non far sentire la mancanza della profondità orizzontale del basso,
provvede il piano elettrico che detta il ritmo con un motivo a cinque note sul registro
grave.
Romantico, invece, il pianoforte classico di Younique, affiancato dallo struggente
sax tenore, mentre in Run, run, run, il suono celestiale del Fender è affiancato
da vibranti percussioni e un sax soprano che volteggia in primo piano, per un brano
che si fa metafora dello scorrere dell'esistenza, con suggestioni psichedeliche
che ricordano certi passaggi di The Piper at the Gates of Dawn.
Un progetto dalle interessanti sfaccettature, sospeso fra le due sponde dell'Atlantico,
dove, a conferire un'aura jazz a quello che è un impianto ritmico fondamentalmente
blueseggiante, intervengono i fraseggi di sax, improntati a una sobria eleganza:
un inseguirsi fra questo e il pianoforte, ora su atmosfere romantiche (il passaggio
di pianoforte in Sera che viene), che ricordano la scuola europea di Liszt
e Vlad, ora su atmosfere decisamente urbane vicine a
Brad Mehldau
o Craig Taborn. E, fra le pieghe dei fraseggi, si avverte una linea sonora
"sfrangiata", quel silenzio fra gli strumenti apparentabile allo stile di Thelonious
Monk, che si materializza come una presenza sfuggente, eppure importante nel
completare l'atmosfera.
Vittorio Mezza mette ordine nell'album, dettando la tempistica di ogni brano sul
Fender, e i sax di Milzow vi portano quella piacevole "anarchia" che scaturisce
dai frequenti virtuosismi di scala, eseguiti però in accordo con l'atmosfera dell'impianto
ritmico, e cioè con quel carattere "lunare" che invita al silenzio, alternato a
fraseggi dalla maestosa concretezza urbana, un tuffo nel caos della Fifth Avenue
o nei vicoli del Queen.
Anche il pianoforte, comunque, si prende i suoi spazi, lanciandosi in intensi
a solo, condotti prediligendo il registro grave.
Un album che ha un carattere letterario sia nei complessi arrangiamenti, sia nell'eleganza
dei titoli delle composizioni, alcuni in inglese, altri in italiano, che richiamano
sensazioni, attese, impeti, momenti di solitudine, dell'esistenza umana. Il risultato
è un suono americano contemporaneo, intenso e delicato come un romanzo di Rick Moody,
che guarda all'esistenza come un qualcosa di meravigliosamente crepuscolare, senza
troppe illusioni, consapevole delle zone di buio che si possono attraversare,
Un album dal sound adulto, jazz d'autore che non manca di emozionare l'ascoltatore.
Niccolò Lucarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 04/05/2016
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