Quartetto dalla struttura solida, piantata sulla ritmica di Danilo Gallo al contrabbasso, U.t. Gandhi alla batteria ed il titolare del gruppo al piano, completato dai sax di Nevio Zaninotto: ciò che spicca per tutto il cd è la loro coesione, che consente ai quattro di potersi contornare, quali ospiti, delle ance di Francesco Bearzatti, la tromba di David Boato e le indubbie qualità vocali della friulana
Elena Camerin. Ospiti, le cui rispettive esperienze si amalgamo opportunamente alla struttura del gruppo, per un buon risultato complessivo.
E fra le molteplici voci strumentali e le diverse punteggiature ritmiche l'apertura di Colori in movimento fa emergere variegate tinte, tutte stese sul prezioso walking portato da Danilo Gallo, grasso ed articolato il tenore di
Zaninotto, spinto e luminescente l'assolo del pianista, rigoglioso il fill di
U. T. Gandhi ai tamburi sul finale, vibrante ed esplosivo, ma pure di rara pulizia. Genovesi dispone di un tocco senza dubbio nitido, capace di percorrere ed attraversare anche ampie parabole di frasi che, per quanto ardite, proprio come nel pianismo dell'artista cui sembra essere dedicata questa Song for Keith, riescono a trovare a fondo corsa – per così dire – un loro equilibrio sonoro ed armonico nell'insieme, sebbene in taluni frangenti eccessivamente distaccate suonino le riflessioni del fraseggio, magari volutamente "meditative" – come risalta dall'assolo del sax, anch'esso artefice del medesimo approccio interpretativo – ma a tratti, altresì, estenuanti. Flessuosa la ballad On a misty light, nebbiosa la melodia, lattiginose le armonie, inevitabilmente catturano l'orecchio, mentre vivacizzata da un incedere latin, e dalla versata vocalità di Elena Camerin – che boppeggia con il sax del duttile
Zaninotto – è Red wizard, che tuttavia non lascia il segno, e non già per la scrittura, comunque ben concepita: sebbene la sua dotazione vocale non sia indifferente, specie sul registro più basso, l'approccio strumentale della vocalista convince di più nell'inciso che non in assolo, dove le sue linee improvvisative non splendono per originalità. E forse poco convinto è anche il sassofonista, che si limita ad esplorare le possibilità armoniche del brano con scontati su e giù di scale, piuttosto che con vere e proprie invenzioni d'estemporaneità.
Più aperto e chiaro il sax tenore di
Bearzatti, poroso, le sue intense note dialogano con il piano volteggiando per tutta la lunghezza della splendida e suggestiva Giulio. Capace di perdersi –letteralmente!– sui sovracuti e comunque dare contezza della propria intenzione musicale, lasciando così soddisfatto, in ogni caso, se non l'ascoltatore, la sua immaginazione,
Bearzatti si rivela l'esecutore più adatto alle atmosfere tenere e languide di questo pezzo, dedicato dal compositore siciliano al figlio: tutta l'intensità della larga ballad promana anche dall'escursione improvvisativa del suo sensibile compositore. E non poteva che venire eseguito dal clarinetto di
Bearzatti questo "rotiano" valzer, Fellini, dedicato al regista riminese, con chiusure lunghe ed intreccio di temi, proprio come nelle musiche che hanno siglato la collaborazione fra il grande regista ed il suo alter ego musicale: un doppio ritratto ben dipinto sia dal sassofonista interprete che dal pianista autore. E l'arioso tre movimenti dà margine a
Gandhi per personali interiezioni ritmiche che rendono particolare il brano, fra il serioso della celebrazione e lo scanzonato del finale, che dopo un falsa chiusura riparte per concludersi invece solo in un secondo momento – dopo un altro chorus tematico – con un profondissimo clarinetto "bearzattiano". Alla sezione fiati di Night funk aggiunge il proprio mood il suono determinato della tromba di David Boato, sia in combinazione con il sax di
Zaninotto che in un pregevole intervento solistico, riverberato e ricco di "sonori silenzi", mai casuali e semmai inseriti intenzionalmente per ricercare le frasi più ispirate o per infondere maggiore enfasi ai periodi successivi. Il funky è lento, anche poco cadenzato ritmicamente – probabilmente per volere dello stesso Genovesi – nonostante le bacchette siano sempre quelle raffinate e mai ossessive di
Gandhi, che anzi confeziona una inusuale ed originale fodera jazz. Ed anche il sax ha così l'opportunità di soffiare la propria impronta più personale senza necessariamente passare per i costrutti sincopati del funky classicamente inteso. Resta da comprendere allora il perché del titolo, ma la composizione "prende" anche senza troppe elucubrazioni mentali, risultando fra i momenti meglio riusciti del cd. Si apre all'unisono di tutti gli strumenti questa Smile blues, compresa la brava
Camerin che qui si riscatta, non certo per la voce che è fresca e finissima, ma piuttosto per il chorus vocale a lei affidato, lineare e mentalmente percorribile nelle sue svettanti escursioni acute, avvicinabili in qualche modo ai precedenti di una maestra del genere, l'agile Dee Dee Bridgewater. Resta invece freddo, keithjarrettiano -a lui piacendo-, il tocco del titolare, preciso, brillante anche, ma emotivamente poco incisivo, mentre a rapire è qua il contrappunto solistico di Gallo -sulla semplice ma trascinante armonia della composizione di Genovesi- cui fa riscontro il dialogo sommesso della batteria di
Gandhi, relegata a traccia un incessante fondale di puntualmente affidabili pulse, ma anche improvvisi anticipi e schiocchi di piatti, discreto ma evidentemente presente.
D'altra parte, ultima traccia del presente lavoro, è aperta dal sax soprano di
Zaninotto, meno efficace che al tenore ma comunque "in parte" in questa che rimane un modo per chiudere la sequenza di un album fatto di differenti inquadrature fotografiche, scatti che senz'altro ritraggono vari stati d'animo del pianista e musicista siciliano – il quale si rivela anche una buona e fantasiosa penna compositiva –, per un jazz tranquillo senza troppi sussulti tecnici, e quindi di facile ed immediato ascolto.
Antonio Terzo per Jazzitalia