Nel 1995 nacque
l'Helios quartet che, rispetto alla odierna formazione, cambia solo nella
linea di basso che un tempo fu tratteggiata da Attilio Zanchi (peraltro maestro
del leader, anche contrabbassista) ed oggi condotta da
Paolo Ghetti.
E dopo tanti anni di lavoro, come afferma anche lo stesso Altarocca nelle
note interne al booklet, il progetto assume forma editoriale, attraverso la spumeggiante
label J-Digital.
Tautologicamente si potrebbe dire che Altarocca si ispiri alla
tradizione ellingtoniana, a Monk, oppure ad Esbjorn Svensonn, i primi due anche
tributati in Helios. Certo, la lista potrebbe allungarsi a dismisura, soprattutto,
affinando l'orecchio in più ascolti. Cosa certa è che, al di là degli stereotipi,
Helios è un bel lavoro. Ciò senza disdoro alcuno e senza muovere farisaici appunti
a tutti i costi. Il consesso dei musicisti è d'indubbio singolo valore: i sassofoni
di Tracanna, sempre pronto a stupire con fraseggi fluorescenti, il perfetto
timing di Paolo
Ghetti che funge da collante ritmico insieme a
Massimo
Manzi, maître del groove. Ma al di là delle singole valenze, ad aggio
della buona riuscita del lavoro, appare a chiare lettere l'affiatamento dei quattro
musicisti. Un filo rosso che sottende ad evidenziare che il leader è solo apparente:
già, perché ogni brano, in ogni parte, è suonato ad otto mani.
Nove rotondi brani che mettono in rilievo la verve compositiva di Alessandro
Altarocca ondeggiante tra il callido mainstream (JPO)
e le roccaforti europee (Diamante,
Emysfero, Serena),
sempre con una decisa cifra autoriale che pochi possono vantare.
Un pianismo dalle inflessioni poliglotte, affascinante nei passaggi metrici
classici e ben tornito nelle improvvisazioni. Non si gioca con l'ovvietà anche negli
standard: Come Sunday di Ellington,
Eronel di Monk e All of
You di Cole Porter, suonano con grinta ed asciuttezza, palesando una
ritmica schietta e vivace.
Un modo sonoro per dire che il jazz c'è ancora, ed è vitale.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 28/02/2009
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